A cura di Ljubica Zubica
Mentre nei circoli degli intellettuali liberali serbi si continua a parlare di denazificazione della Serbia, della necessità di fare i conti col recente passato, di discussione sui crimini commessi nelle guerre nella ex Jugoslavia, la scena politica sembra andare in tutt’altra direzione.
Dopo un mese di estenuanti consultazioni seguite alle elezioni del 28 dicembre 2003, finalmente ieri è stato eletto il presidente del parlamento, il quale ricoprirà la funzione di presidente della repubblica, fino a nuova elezione di quest’ultimo (ricordiamo che le ultime tre tornate elettorali per eleggere la carica più alta dello stato sono fallite per mancanza del quorum necessario).
Il nuovo presidente del parlamento serbo è Dragan Maršićanin, vice presidente del Partito democratico della Serbia (DSS) di Vojislav Koštunica. Il nuovo presidente è stato eletto grazie ai voti del Partito socialista serbo di Slobodan Milošević, ottenendo la fiducia di 128 deputati sui 245 presenti alla votazione.
Nel frattempo sono stati eletti anche cinque vice presidenti del parlamento: Gordana Pop-Lazić e Stefan Zankov del Partito radicale serbo (SRS); Predrag Marković del G17 Plus, Vojislav Mihailović del Partito per il rinnovamento serbo e Nuova Serbia (SPO-NS); Zoran Andjelkovic del Partito socialista serbo (SPS).
Questa mossa politica, apparentemente intenzionata a fugare la possibilità di nuove elezioni parlamentari a breve termine, ha fatto tornare indietro le lancette dell’orologio addirittura di qualche anno.
Nonostante non sia affatto scontato che l’SPS partecipi alla formazione del nuovo governo, e nonostante non sia affatto la prima volta che i socialisti di Milošević appoggino un governo altrui (già era accaduto con la votazione della legge sulla radiodiffusione proposta dal governo della DOS), le reazioni non hanno tardato a farsi sentire. Soprattutto da parte del Partito democratico (DS) che immediatamente ha preso le distanze da questo nuovo connubio.
Certo, l’accesa lotta per il potere all’interno del Partito democratico (del defunto Ðinđić), diviso tra le correnti di Boris Tadić, Zoran Živković e Čedomir Jovanović, non ha facilitato il compito di riportare la Serbia ad una sorta di normalità istituzionale. A nulla sono serviti i tentativi del DS di prorogare l’elezione del presidente del parlamento a dopo l’assemblea del partito, prevista per il 21 febbraio, durante la quale verrà eletta la nuova leadership.
Insomma, dopo la vittoria del radicali e l’exploit dei socialisti, nel caos politico serbo sembra che i partiti responsabili della scellerata politica degli anni novanta abbiano ancora diverse carte da giocare.
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Segue una breve nota cronologica sul Partito socialista serbo, pubblicata nell’edizione odierna del quotidiano di Novi Sad "Dnevnik".
Dalla stabile maggioranza al furto di voti
Breve cronologia della vita politica del Partito socialista serbo
Alle prime elezioni pluripartitiche del 1990 l’SPS conquista una convincente maggioranza e ottiene 194 seggi dei totali 250; solo due anni più tardi questo partito ottiene un quinto di voti in meno, mentre il numero dei seggi scende a 101. La prima volta in cui l’SPS non è in grado di formare un governo forte e stabile, ma nel marzo 1993 forma un governo di minoranza, che viene appoggiato dal Partito radicale serbo di Vojislav Šešelj. La crisi del governo di minoranza segue sette mesi dopo la sua formazione, dopo di che vengono indette nuove elezioni. Alle elezioni anticipate del 1993 l’SPS rimedia di nuovo la propria posizione politica ottenendo 123 seggi, ma non riesce ad ottenere la maggioranza relativa in parlamento, la quale viene comunque assicurata dalla coalizione post elettorale con la Nuova democrazia (gli attuali Liberali della Serbia). Alle elezioni parlamentari del 1997 questa coalizione si rinforza con un altro partner: la Sinistra jugoslava (JUL). Il blocco SPS-ND-JUL ottiene 110 seggi, sufficienti per formare un governo stabile.
Durante il decennio di governo del SPS sono stati usati, per il mantenimento del potere, diversi mezzi, dalla imposizione delle regole elettorali, le quali sono state spesso cambiate e, di norma, a svantaggio dei partiti di opposizione, fino all’abuso dei media statali e la falsificazione dei risultati elettorali. Dopo il furto dei voti alle elezioni locali del 1996 seguono, per diversi mesi, le proteste dei cittadini. Subito dopo le proteste di massa dei cittadini in tutte le città della Serbia, dal 24 settembre al 5 ottobre 2000, l’SPS riconosce la sconfitta alle elezioni presidenziali. I socialisti finalmente finiscono all’opposizione dopo le elezioni parlamentari del dicembre 2000, alle quali si presentano da soli e ottengono 37 seggi.
Vedi anche:
– Gli oligarchi della finanza vogliono il potere
– Difficoltà nella formazione del governo serbo
– Ma che succede in Serbia?
– La Serbia immobile
– La Serbia di Weimar
– Risultati preliminari delle elezioni in Serbia