Il processo d’integrazione europea tra utopia e disincanto

Il "no" francese e olandese alla costituzione europea ha avuto ripercussioni anche sui Paesi del sud est europeo, ma l’UE non deve ritrarsi dal processo di integrazione della regione balcanica

01/07/2005, Redazione -

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Christophe Solioz

Christophe Solioz

Di Christophe Solioz, Ginevra, 19 Giugno 2005. (Titolo originale: "European Integration Process between Utopia and Disenchantment? Responsibility for the region’s Future").
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Carlo Dall’Asta

Il processo d’integrazione europea dei Balcani occidentali rappresenta un convincente ed efficace incentivo a consolidare la stabilità, a migliorare la situazione economica e a velocizzare il processo di riforma in Croazia, Macedonia, Bosnia ed Erzegovina, Serbia e Montenegro come pure in Kosovo. Sono coinvolte due organizzazioni che si basano essenzialmente sui risultati ottenuti e sul porre condizioni: il Consiglio di Europa (CdE) e l’Unione Europea (UE). Naturalmente c’è una differenza politica nella rilevanza di queste istituzioni: il CdE era inizialmente più importante; ora, con la prospettiva dell’integrazione dell’UE che diventa probabilmente più concreta, l’UE ha il ruolo chiave nella regione.

I negoziati con la Croazia inizieranno una volta che il Paese coopererà pienamente col Tribunale delle Nazioni Unite per i Crimini di Guerra, che ha sede all’Aja. Per ciò che concerne la Bosnia ed Erzegovina, Olli Rehn – il Commissario Europeo per l’allargamento – dovrebbe dare quest’estate l’avvio alle procedure per l’apertura dei negoziati del Patto di Stabilizzazione e Associazione (SAA) – a patto che il Paese abbia ottemperato ai vari requisiti. Se gli Stati Membri condivideranno la valutazione del CE, lo inviteranno a presentare delle direttive di negoziazione per il SAA. Ma ora ci si può domandare se davvero andrà così.

È qui opportuno menzionare che lo scorso anno il CE, nella sua bozza di uno Strumento di Assistenza Pre-Accesso (IPA), ha assunto che i Paesi della regione avrebbero finalmente acquisito lo status di candidati verso il 2010, e la membership verso il 2020.(1) Certo, il Processo di Stabilizzazione e Associazione (SAp) non dovrebbe essere percepito come un percorso rapido verso l’integrazione, ma come un processo graduale. Nonostante l’evidente specificità dei processi di transizione nelle repubbliche ex Jugoslave, si dovrebbe ricordare che ai Paesi dell’Europa centrale ed orientale occorsero 15 anni di dure scelte e di profondi cambiamenti prima di essere accettati nella UE. Questo dovrebbe aiutare tutti gli interessati ad accettare il fatto evidente che la strategia di ingresso dei Paesi della regione richiederà un certo lasso di tempo per essere completata.

Ma il recente scarso entusiasmo mostrato dall’Europa è fonte di preoccupazione e potrebbe in definitiva rappresentare una forza di resistenza ad ogni ulteriore allargamento – eccettuate la Bulgaria e la Romania, sempre che anch’esse ottemperino a tutte le condizioni. Perciò noi potremmo chiederci se i Paesi dei Balcani Occidentali non siano persi a metà strada tra la prospettiva di una rinnovata politica di vicinato e la promessa dell’allargamento. Inizierò con la prima possibilità.

Balcani Occidentali: primo caso di ‘Europa Allargata’?

In seguito all’allargamento della UE del 1 Maggio 2004, la Politica di Vicinato Europea (ENP) – una strategia adattata ad una ‘Europa Allargata’ – intende prevenire l’emergere di nuove linee di divisione sul continente europeo e stabilire strette relazioni basate sul partenariato con Stati non membri UE, focalizzate sul rafforzare la sicurezza e la stabilità.(2) La ENP ha una massiccia e completa copertura della regione, riguardando tutti gli Stati europei CIS, inclusi quelli del Caucaso meridionale e tutti gli Stati mediterranei del processo di Barcellona. Ma la ENP non rappresenta una politica di allargamento, né mira ad aprire la prospettiva della membership ai Paesi coinvolti o a fornire specifiche prospettive di accesso – anche se non pregiudica le prospettive per alcuni Paesi che potrebbero a un certo punto, in futuro, fare richiesta di membership, cosa fortemente voluta dall’Ucraina, dalla Moldavia, dalla Georgia e dalla Armenia.

Nondimeno, la ENP offre ai vicini della UE l’opportunità di partecipare a varie attività della UE attraverso strette cooperazioni politiche, di sicurezza, economiche e culturali. Nel lungo periodo, il CE prevede di aprire certi programmi della UE ai partner ENP. Piani d’Azione specifici per Paese hanno lo scopo di condurre le nazioni interessate il più possibile vicine alla UE.(3) Come anche il SAp, questo è un approccio su misura, che tiene conto delle specificità di ciascun Paese. Michael Emerson (2004) ha sottolineato che lo scarto tra obblighi e incentivi previsti dalla ENP è troppo pesante perché la politica divenga una leva strategica nel senso della europeizzazione e della trasformazione degli Stati coinvolti. Perciò gli incentivi dovrebbero essere rafforzati. L’aspetto della libertà di movimento ne è l’esempio migliore: mentre per gli Stati interessati essa è in cima alla lista delle priorità, il CE accenna solo che ‘l’UE potrebbe considerare la possibilità di facilitare l’ottenimento dei visti.’ Ciò che manca è una strategia concreta che dica ai Paesi che cosa fare per entrare nella lista dei Paesi che beneficiano di un regime senza obbligo di visto.(4)

Balcani Occidentali: ultimo caso di Unione Europea?

Per contrasto, il SAp prevede per i Balcani Occidentali una strategia molto più focalizzata, con incentivi efficaci e una agenda chiara – anche se molto esigente. Nondimeno, la regione attualmente sta passando una crisi economica e sociale, che potrebbe facilmente riversarsi sulla politica, minando la democrazia e le istituzioni in tutta la regione. Come menzionato dalla Commissione Internazionale sui Balcani (2005), presieduta dall’ex Primo Ministro italiano Giuliano Amato, il profilo della regione presenta ancora un insieme di Stati deboli e di quasi-protettorati internazionali; inoltre si può osservare un calo di speranze e di prospettive nella maggior parte dei Paesi dei Balcani Occidentali e, ultimo ma non meno importante, la stanchezza del donatore, che presenta contemporaneamente non solo malumore per l’allargamento, ma anche seri dubbi sul futuro dell’allargamento europeo. Timothy Garton Ash (2005) ha espresso questi ultimi in modo particolarmente acuto: ‘Fino ad ora l’allargamento ha rafforzato, non indebolito l’UE. Ma a un certo punto la continua estensione finirà con l’indebolire l’Unione …. Se l’Unione arrivasse ad includere tutti i resti dell’Impero Ottomano, finirebbe col condividere anche la sorte dell’Impero Ottomano.'(5) Perciò, noi possiamo domandarci se la ENP non possa rappresentare un Piano B, un’alternativa al processo di integrazione orientato alla UE, nel caso che Paesi come la Bosnia ed Erzegovina, la Serbia e Montenegro, il Kosovo e – perché no? – la Croazia definitivamente fallissero nel tentativo di unirsi all’UE. Se così accadesse, la delusione nei Balcani Occidentali sarebbe enorme.

Come sopra menzionato, la prospettiva di integrazione con l’UE, quindi la prospettiva concreta della membership, fornisce una struttura coerente e una strategia al complesso e difficile sforzo di riformare la regione. Come evidenziato dalla Commissione Internazionale sui Balcani, la cornice dell’accessione potrebbe anche guidare a un genuino dibattito costituzionale: particolarmente in Bosnia ed Erzegovina ma anche in Serbia e Montenegro come anche in Macedonia, nuove soluzioni costituzionali potrebbero essere negoziate nell’ambito strutturale del processo di accesso all’Europa,(6) ammesso che le autorità internazionali riconoscano l’importanza di un reale controllo locale del processo di riforma. ma se l’UE dovesse ritirarsi dagli impegni presi a Salonicco il 16 Giugno 2003,(7) sarebbe alto il rischio che ogni Paese interessato faccia marcia indietro sui propri impegni di riforma o di cambiamenti costituzionali.

In questo nuovo contesto politico, potremmo chiederci se la menzionata prospettiva della Commissione Internazionale sui Balcani – membership entro il 2014 – sia realistica. Certo, i ‘no’ francese e olandese – rispettivamente il 29 Maggio e il 1 Giugno 2005 – alla Costituzione dell’UE hanno scosso i Balcani come un’onda d’urto, perché hanno anche messo in discussione le speranze di membership di ciascun Paese. Più ragionevolmente, è improbabile che l’UE proceda rapidamente come in passato e quasi certamente obbligherà le prossime nazioni entranti, la Bulgaria e la Romania, ad aderire alla lettera ai criteri di accesso.(8) Per la Croazia, la Bosnia ed Erzegovina, la Serbia e Montenegro, la Macedonia come per l’Albania è troppo presto per valutare i ‘danni collaterali’, ma certamente i criteri per la candidatura e la membership saranno resi più rigidi. Questi Paesi devono anche confrontarsi col fatto che dopo il previsto accesso di Romania e Bulgaria nel 2007, l’allargamento potrebbe essere congelato finché la UE a 25 membri non dimostri di essere in grado di gestire nuovi membri. Ma il dibattito costituzionale tuttora in corso all’interno della UE deve mantenere la parola data e non minimizzare l’esigenza costante di una coerente strategia di integrazione per tutti i Paesi dei Balcani. Ormai l’Unione Europea ha iniziato a comprendere di avere l’obbligo di guidare gli sforzi di stabilizzazione ed integrazione nei Balcani, e questa tendenza non dovrebbe essere invertita. Proprio oggi c’è la necessità di riaffermare risolutamente la prospettiva europea per l’intera regione, per superare il corrente status quo e per perseguire l’allargamento focalizzando nuovamente il processo di integrazione seguendo le linee di una strategia di ‘formazione di Stati membri’ permettendo così una più efficace e pragmatica sequenza di passi politici che prendano in considerazione l’attuale insieme di Stati deboli e protettorati internazionali, come suggerito dalla Commissione Internazionale sui Balcani.

Christophe Solioz è Direttore Esecutivo della Associazione Bosnia ed Erzegovina 2005.

Note

(1) Commissione della Comunità Europea (2004), Proposal for a Council Regulation Establishing an Instrument of Pre-Accession Assistance. Bruxelles: Com (2004) 627 finale, 29 Settembre.

(2) Vedi Commissione della Comunità Europea (2004), Communication from the Commission: European Neighbourhood Policy. Strategy Paper. Bruxelles: COM (2004) 373, 12 Maggio.

(3) Vedi Commissione della Comunità Europea (2004), Communication from the Commission to the Council: On the Commission Proposals for Action Plans under the European Neighbourhood Policy (ENP). Bruxelles: COM (2004) 795, 9 Dicembre.

(4) Emerson, Michael (2004), European Neighbourhood Policy: Strategy or Placebo? Bruxelles: CEPS Working Document, N. 215, Novembre. Disponibile su http://www.ceps.be.

(5) Ash, Timothy Garton (2005), ‘For a Pax Europeana’, in The Guardian (Londra), 14 Aprile.

(6) Vedi Commissione Internazionale sui Balcani (2005), The Balkans in Europe’s Future, p. 25.

(7) ‘La Agenda di Salonicco per i Balcani occidentali’ ha enfatizzato il bisogno di rafforzare il SAp e di intensificare le relazioni tra i Balcani occidentali e l’UE tramite l’introduzione di un Partenariato Europeo ispirato dai programmi nazionali per l’adozione dell’acquis nel processo di adesione.

(8) Vedi Rehn, Olli (2005), ‘Enlargement is a success story’, in International Herald Tribune (Parigi), 18-19 June, p. 6.

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