Il pericoloso limbo della politica macedone
A quattro mesi dalle politiche anticipate, la Macedonia non ha un governo. Tra veti presidenziali e piazze in tumulto, lo scontro rischia di polarizzarsi su base etnica
Sono passati quattro mesi da quando si sono tenute le elezioni parlamentari anticipate in Macedonia, ma il nuovo governo non è stato ancora formato. Mentre la crisi istituzionale si va aggravando sempre più, i partiti politici perdono tempo in negoziati segreti, incitando proteste, rilasciando comunicati stampa superficiali e affermazioni contraddittorie. Il tempo previsto dalla costituzione per creare una nuova maggioranza parlamentare è terminato e non vi è alcun segno che l’impasse possa essere presto sbloccata. Sono quindi possibili diversi esiti: dalla costituzione di un governo guidato dall’opposizione ad un’ulteriore polarizzazione politica che potrebbe portare allo scontro etnico, sino a proteste più radicali…
Le elezioni dell’11 dicembre scorso hanno dato 51 seggi al VMRO–DPMNE, partito al governo dal 2006; 49 invece al maggior partito d’opposizione, i socialdemocratici dell’SDSM; 10 per il DUI, partner nella coalizione della VMRO dal 2008; 5 per il nuovo movimento BESA; 3 per il nuovo Alleanza per gli Albanesi; e 2 per il DPA. I due partiti che costituivano la maggioranza uscente, VMRO-DPMNE e DUI, sono riusciti quindi a confermarla, ma di un unico seggio, 61 sui 120 nel nuovo parlamento. Nikola Gruevski, leader della VMRO, ha ricevuto quindi un mandato dal presidente Gjorge Ivanov per provare a formare un nuovo governo ma i negoziati a porte chiuse con il DUI di Ali Ahmeti sono falliti.
La piattaforma di Tirana e il veto del presidente
Ci si aspettava allora che Ivanov, come prevede la costituzione, assegnasse il mandato al secondo partito con il maggior numero di seggi in parlamento, in questo caso, l’SDSM. Ma questo non è mai avvenuto e a partire dal 29 gennaio 2017, il paese è di nuovo in uno stallo politico e istituzionale.
Dopo che il leader della VMRO non è riuscito a formare una nuova maggioranza, Ivanov ha chiesto a Zaev, a capo dell’SDSM, di fornirgli almeno 61 firme di parlamentari come prova del fatto che avesse una maggioranza in parlamento: una condizione che Ivanov non aveva chiesto precedentemente a Gruevski. Quando l’SDSM ha fornito le firme richieste, Ivanov ha posto nuove condizioni: Zaev doveva ripudiare la cosiddetta “Piattaforma di Tirana”, che si era nel frattempo costituita, affermando che era anticostituzionale e che metteva a rischio la natura unitaria dello stato.
Tutti i partiti etnici albanesi rappresentati in parlamento – guidati dal DUI e coordinati da Tirana e Pristina – il 7 gennaio, giorno del Natale Ortodosso, hanno infatti reso pubblica una piattaforma politica congiunta che ha trasformato la natura dell’attuale crisi, da politico-istituzionale a etnica. La piattaforma, vista da parte di alcuni dei macedoni etnici e dai sostenitori della VMRO-DPMNE come anticostituzionale, è stata posta come condizione necessaria dai leader dei partiti albanesi per entrare a fare parte della nuova colazione al governo.
La situazione è però diventata presto ancora più ingarbugliata: dopo il fallimento dei negoziati tra VMRO e DUI e l’apertura di quelli tra SDSM e DUI, un’iniziativa civica, denominata “Per una Macedonia Unita”, ha cominciato a protestare davanti al parlamento e in tutto il paese. Lo scopo dichiarato delle manifestazioni di piazza è quello di preservare l’unità della Repubblica di Macedonia. Ogni notte, in un’atmosfera tesa, migliaia di persone protestano contro il miliardario statunitense George Soros, contro la piattaforma di Tirana e contro tutti coloro che vengono percepiti come nemici dello stato. Tra le prime vittime della rabbia ci sono quei giornalisti noti per essere voci dissenzienti: descritti continuamente dalla VMRO come mercenari e traditori, sono stati presi di mira più volte mentre raccontavano le manifestazioni. Senza alcun dubbio le proteste sono indotte, organizzate e sostenute dalla VMRO, e la piattaforma di Tirana viene utilizzata solo come pretesto. Del resto era anche evidente che molte delle richieste della piattaforma di Tirana, se presentate come ultimatum, avrebbero istigato proteste pubbliche.
In quest’atmosfera surriscaldata Zaev ha dovuto trovare un modo per distanziarsi dalla Piattaforma, focalizzando l’attenzione su altri punti del programma del suo “futuro governo”. Zaev ha inoltre dichiarato di essere pronto a dialogare su qualsiasi questione, ma che non andrà contro la costituzione. Ha anche accettato la richiesta di un uso maggiore della lingua albanese nel paese, una delle richieste della piattaforma di Tirana, ma ha rifiutato, in quanto a suo avviso incostituzionale, l’introduzione di insegne bilingue, stemmi bilingue sulle uniformi della polizia o banconote bilingue. Bujar Osmani, portavoce del DUI, ha per contro dichiarato che l’introduzione di stemmi sulle uniformi e banconote bilingue sarebbe in linea con quanto previsto dalla carta costituzionale.
In quest’atmosfera caotica Zaev ha nuovamente richiesto a Ivanov un mandato per formare un nuovo governo. Il gabinetto del presidente, secondo quanto riportato dall’agenzia stampa MIA, avrebbe risposto che gli ostacoli alla consegna del mandato non sono stati rimossi e che “Ivanov non consegnerà un mandato per formare un governo ad una persona o ad un partito che intende, od ha nel suo programma, di creare una piattaforma che mini la sovranità, l’integrità territoriale e l’indipendenza della Macedonia”.
Reazioni internazionali
Avendo la percezione che la situazione stia deteriorandosi drammaticamente la comunità internazionale ha iniziato a spingere per una soluzione rapida della crisi, temendo che quest’ultima possa dare vita ad un conflitto intra ed inter etnico.
Dopo aver fatto visita alla Macedonia, l’Alto rappresentante Ue per la politica estera Federica Mogherini ha di fatto dato il suo via libera ad una possibile maggioranza tra socialdemocratici e partiti albanesi. La Mogherini ha infatti dichiarato che il Presidente Ivanov dovrebbe riconsiderare la propria decisione e consegnare il mandato per formare un governo al leader che può garantire una maggioranza in parlamento.
La rappresentante degli Usa presso l’OSCE, Kate M. Byrnes, ha aggiunto che l’azione di Ivanov non era in linea con gli impegni presi con l’Osce, con i principi cardine della democrazia e con lo stato di diritto, valori al cuore dell’organizzazione. Come ci si poteva aspettare la Russia ha utilizzato l’occasione per opporsi agli interessi Ue sostenendo la narrativa della VMRO. “Le interferenze dall’esterno sugli affari interni della Repubblica di Macedonia stanno prendendo forme sempre più oltraggiose”, recita un comunicato del ministero degli Esteri russo.
Vi sono poi state altre dichiarazioni pubbliche che hanno ulteriormente riscaldato l’atmosfera. Un parlamentare albanese della maggioranza di governo, Mesila Doda, ha dichiarato in più occasioni che “la Macedonia non esiste e che non è altro che un’antica provincia albanese”, chiamando poi gli albanesi macedoni a prendere il destino nelle proprie mani. Allo stesso modo Zijadin Sela, leader dell’Alleanza degli albanesi e sindaco di Struga, in Macedonia, in un’intervista ha dichiarato che “i macedoni non esistevano 100 anni fa”.
Questo tipo di dichiarazioni hanno spinto la Mogherini a chiedere ai politici di “placare la loro retorica e non permettere a questa crisi di trasformarsi in un conflitto geopolitico buttando benzina sul fuoco”.
Tenere fuori l’SDSM
Vladimir Gligorov, analista del Vienna Institute for International Economic Studies e figlio dell’ex presidente macedone Kiro Gligorov, in un suo commento ha sottolineato che l’obiettivo della VMRO è di delegittimare l’SDSM su basi nazionaliste a patriottiche, per accreditarsi così come l’unico rappresentante dei macedoni etnici. “La speranza è che spingendo ad una polarizzazione del voto su base etnica la VMRO, un partito nazionalista, vinca”, ha dichiarato Gligorov aggiungendo che “ogni cambiamento alla costituzione implica una maggioranza dei due terzi, difficile da raggiungere data la divisione politica macedone tra due partiti principali contrapposti. Quindi l’intervento del Presidente non è necessario anche se le sue preoccupazioni fossero ben fondate”.
“E’ quindi chiaro che tutto questo sta accadendo per tenere l’SDSM fuori dal gioco politico, e la VMRO al potere. Non si tratta di conflitto etnico", ha concluso Gligorov.
L’intera crisi sembra quindi legata al trovare una via d’uscita dai supposti illeciti di cui si sarebbero macchiati i principali esponenti della VMRO ed emersi nello scandalo intercettazioni. In questo exit plan i partiti etnici albanesi assieme allo stesso primo ministro albanese Edi Rama, stanno di fatto paradossalmente giocando a favore di Gruevski e della sua élite. Anche Rama ha infatti il suo piccolo interesse di breve periodo da inseguire: dopotutto giocarsi la carta del nazionalismo è sempre una buona idea durante le campagne elettorali e le parlamentari in Albania, previste per giugno, si stanno avvicinando rapidamente.
Allo stesso modo in cui la Turchia di Erdoğan ha condizionato le elezioni in Olanda aiutando i conservatori a riscaldare l’atmosfera, così Rama sta facendo per Gruevski in Macedonia. Se non ci fosse stata alcuna Piattaforma di Tirana Ivanov non avrebbe probabilmente avuto scuse per consegnare il mandato di formare un nuovo governo ai socialdemocratici.