Il Patriarca e il Kosovo
Il nuovo patriarca serbo Irinej ha ricevuto la sua investitura ufficiale lo scorso 3 ottobre nel Patriarcato di Pec, in Kosovo. La cerimonia, nonostante l’invito della chiesa ortodossa serba a non politicizzare l’evento, ha sollevato polemiche sulla direttrice Pristina – Belgrado
“Oggi a Pec sono state poste le basi per il turismo religioso serbo in Kosovo. Tutti potranno avvantaggiarsene: la Serbia spiritualmente e il Kosovo materialmente”. Così recitava uno dei commenti pubblicati sul sito d’informazione B92 la scorsa settimana, subito dopo l’investitura del nuovo patriarca serbo Irinej all’interno del monastero del Patriarcato di Pec (Peja), nel Kosovo nord-occidentale.
Domenica 3 ottobre migliaia di credenti ortodossi da Serbia, Montenegro, Bosnia e dalla diaspora sono arrivati in autobus nell’antico monastero, sede del Patriarcato serbo. Irinej è entrato in carica nel gennaio 2010 dopo la scomparsa del suo predecessore Pavle, un uomo che ha goduto del rispetto e della venerazione di molti serbi. Sebbene Irinej fosse stato investito a Belgrado, la cerimonia ufficiale è stata tenuta proprio all’interno delle mura del patriarcato di Pec. In sette secoli di storia della chiesa ortodossa serba, Irinej è il quarantaquattresimo patriarca.
La liturgia è stata condotta dai vescovi serbo-ortodossi venuti da tutto lo spazio ex-jugoslavo, ed è stata presenziata da rappresentanti di altre chiese ortodosse provenienti da tutto il mondo: Russia, Bulgaria, Romania, Cipro, Grecia, Polonia, Stati Uniti. La cerimonia è stata poi caratterizzata dall’alta presenza dei rappresentati di altre confessioni, tra cui cattolici, anglicani, evangelisti, musulmani ed ebrei, insieme a numerosi rappresentati internazionali. In Kosovo, tutto questo è stato letto come un messaggio di supporto al nuovo patriarca, ritenuto persona saggia e moderata.
La Serbia è stata invece rappresentata dal suo presidente, Boris Tadic. L’assenza di altri politici di Belgrado era attesa, dopo l’invito della chiesa ad evitare qualsiasi politicizzazione di un evento strettamente religioso. Un invito arrivato dopo lunghe trattative tra rappresentanti della chiesa, autorità serbe, kosovare e internazionali.
Voci di corridoio insistono che la leadership politica del Kosovo aveva intenzione di partecipare alla cerimonia, richiesta però ritenuta inaccettabile dalla Chiesa serba. Unica eccezione è stato l’invito al sindaco albanese kosovaro di Pec, che però ha messo in chiaro che avrebbe declinato l’invito se anche gli altri rappresentanti kosovari non sarebbero stati ammessi all’investitura. Cosa poi avvenuta.
La leadership kosovara avrebbe quindi “minacciato” di presentarsi comunque al Patriarcato se fossero stati invitati politici da Belgrado. Nonostante gli appelli, l’ex leader radicale Tomislav Nikolic e l’ex sindaco di Cacak Velimir Ilic hanno tentato di presenziare all’evento, ma l’accesso al Kosovo è stato loro negato dalla polizia kosovara e da agenti Eulex.
Dopo l’investitura, Irinej si è rivolto alla folla, paragonando l’attuale situazione ad altri tragici eventi della storia serba, e facendo riferimento “ai tanti serbi del Kosovo cacciati e oggi rifugiati”, e a quei “pochi e coraggiosi” riusciti a tornare. Irinej ha poi denunciato “la negazione delle radici storiche e spirituali serbe” in Kosovo.
“Da questo luogo santo, in questo momento di gioia, e insieme di pena, mandiamo il nostro grido di dolore verso i potenti del mondo, nelle cui mani giace oggi il destino del Kosovo e della Metohija, pregando il Signore che non pecchino nel prendere decisioni sullo status di questa provincia serba, in direzione che possa privare il popolo serbo del suo diritto secolare alla propria patria, alle proprie case e proprietà, ai propri santuari e alle tombe degli antenati”, ha detto Irinej rivolgendosi alla Comunità internazionale.
“Il Kosovo è stato per secoli parte integrante della Serbia e i serbi che qui abitano non possono che guardare allo stato di cui si sentono parte. Qui c’è spazio a sufficienza per serbi, albanesi e per tutti gli altri popoli che lo abitano. Serbi e albanesi hanno vissuto insieme per secoli, perché non possono vivere insieme anche oggi?”, ha dichiarato Irinej.
Il nuovo patriarca si è poi rivolto direttamente agli albanesi del Kosovo: “Appellandomi a questo momento solenne, con amore e rispetto non solo verso i serbi del Kosovo, ma anche verso l’onorevole popolo albanese e verso gli altri popoli che qui vivono, il nostro è un invito alla pace e all’unità, come predicato dalla giustizia divina e da quella umana”.
Da parte albanese kosovara, però, le parole di Irinej sono state accolte con scetticismo. I principali quotidiani di Pristina hanno parlato di “politicizzazione” del discorso di Irinej e della cerimonia in generale.
“Miroslav Gavrilovic Irinej, dopo la sua investitura di domenica a Pec, non si è trattenuto da tenere un discorso politico, anche se prima aveva fatto appello ai politici serbi di non attendere alla cerimonia, di cui aveva sottolineato il carattere spirituale e non politico”, ha scritto il quotidiano “Zeri”. “La leadership della chiesa ortodossa serba ha inviato un appello contro la repubblica del Kosovo durante l’investitura di Irinej”, ha fatto eco il “Kosova Sot”.
Albin Kurti, leader del movimento “Vetevendosie” ha accusato i politici di Pristina di aver permesso che la cerimonia avesse luogo in Kosovo. Secondo Kurti “le chiese serbe in Kosovo sono diventate ambasciate della Serbia” mentre “il governo se ne sta calmo e tranquillo a Pristina” e “non è interessato a quello che succede nel paese”.
Lo stesso Kurti, riportano alcuni media, era a Pec nel giorno dell’investitura. Secondo voci circolate tre i serbi presenti alla cerimonia, la sua presenza potrebbe essere legata alla sassaiola scatenata contro alcuni autobus di ritorno da Pec.
Se infatti nessun incidente è stato registrato prima e durante l’investitura di Irinej, protetta da una forte presenza di Eulex, Kfor e polizia kosovara, durante il ritorno una decina di autobus sono stati attaccati. Tra questi, secondo la radio serba KiM, ci sarebbe anche un autobus della Kfor italiana che riportava a casa i bambini della vicina enclave di Gorazdevac. Una donna è rimasta gravemente ferita nella sassaiola
L’eparchia di Ras-Prizren (che raccoglie i fedeli serbo-ortodossi del Kosovo) ha protestato attraverso il proprio sito web contro la Comunità internazionale, accusata di aver ignorato l’incidente.
Per i pellegrini serbi arrivati a Pec il Kosovo è il cuore della Serbia. Durante il viaggio però, questi hanno potuto toccare con mano una realtà ben diversa. Dal momento dell’ingresso in Kosovo, sono stati accompagnati da gesti di ostilità da parte della popolazione albanese incontrata lungo la strada. Tutta Pec era coperta di bandiere albanesi al vento, mentre lungo strade che portano al monastero erano stati posti cartelli che ritraevano il volto Irinej e la scritta “Criminale di guerra” e “Vai al diavolo”, presto rimossi dai soldati della Kfor.
“Temo che un giorno, per i miei figli, il Kosovo non sarà che la più desiderata, ma dolorosa destinazione turistica”, ha detto affranta una donna serba, appena scesa da uno degli autobus rientrati a Leposavic, nel nord del Kosovo, con le finestre in frantumi.