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Il Montenegro nella morsa di due nazionalismi
Le amministrative di domenica scorsa tenutesi nella città di Nikšić in Montenegro hanno segnato da un lato la sconfitta di Đukanović nella sua roccaforte, dall’altro hanno messo in luce che il paese è ostaggio di due nazionalismi contrapposti
Il presidente del Montenegro Milo Đukanović dopo la sconfitta alle elezioni parlamentari di sei mesi fa, ha perso le comunali nella sua città nativa nonostante una campagna dispendiosa e senza scrupoli. Usando una metafora pugilistica, potremmo dire che comunque Đukanović e il suo Partito democratico dei socialisti (DPS) hanno subito un knockdown alle comunali di Nikšić, ma non il k.o. Restano infatti il partito maggioritario ma senza alleati per formare una maggioranza a livello comunale. Dall’altra parte, la coalizione filo-serba “Per il futuro di Nikšić” ha conquistato più voti delle altre coalizioni che appoggiano il governo nazionale in parlamento, ma non ha certo trionfato.
Il DPS con la sua coalizione “La squadra europea per Nikšić” puntava ad ottenere la maggioranza assoluta dei seggi nel consiglio comunale per dimostrare di essere ancora vitale e far vedere che la sconfitta alle elezioni parlamentari fosse solo un incidente di percorso. Obiettivo invece della coalizione “Per il futuro di Nikšić”, sostenuta dalla struttura mediatica e logistica del presidente serbo Aleksandar Vučić, era quello di superare i voti del DPS e affermare la propria superiorità rispetto ai partner di coalizione nazionali, costringendo così il premier Zdravko Krivokapić ad un rimpasto di governo.
I risultati
La coalizione guidata dal DPS di Đukanović non ha ottenuto la maggioranza assoluta, ma ha ottenuto la maggioranza dei voti, 40,4 percento, mentre i filo-serbi non sono riusciti ad avvicinarsi alla coalizione guidata dal DPS ma sono arrivati secondi ottenendo quasi il 26 percento.
Paradossalmente, l’alleanza “La pace è la nostra nazione”, guidata dal partito dei Democratici del presidente del Parlamento Aleksa Bečić, nonostante il terzo posto, è la vera vincitrice della tornata elettorale. A differenza delle due coalizioni guidate dai nazionalisti, montenegrini e serbi, che hanno perso voti rispetto alle elezioni parlamentari di sei mesi fa, i Democratici sono cresciuti in maniera esponenziale: dal 14 al 23 per cento.
Il successo dei Democratici ha ammortizzato, in parte, il risultato deludente del partito URA, che non è andato molto oltre il 4 percento, e ha rafforzato la posizione del premier Krivokapić e del governo.
Il grande perdente delle elezioni a Nikšić è il presidente della Serbia Aleksandar Vučić e la sua macchina mediatica composta dai tabloid e le TV spazzatura che non sono riusciti a influenzare il voto. Al contrario, il loro lavoro sembra abbia prodotto effetti controproducenti, convincendo gli elettori moderati a votare per coalizione “La pace è la nostra nazione”.
La stessa cosa, più o meno, si può dire per i media di Sarajevo, e in minore misura quelli di Zagabria, che hanno provato a tirare l’acqua al mulino del presidente Đukanović. Il Montenegro di Milo è stato l’esempio da seguire negli ultimi 15 anni per i partiti politici e i media bosniaci che inseguono il sogno di una Bosnia Erzegovina unitaria, senza le due entità, Republika Srpska e Federazione BiH. La sconfitta di Đukanović, sia in agosto che domenica scorsa, è vista infatti a Sarajevo come il trionfo del sedicente progetto “Il mondo serbo” sulla falsariga de “Il mondo russo”, che prevede il triangolo Belgrado, Podgorica, Banja Luka.
“Le elezioni a Nikšić assomigliano a quelle in Bosnia Erzegovina prima della guerra degli anni Novanta, ovvero rappresentano la fotocopia del censimento. Certo, in Montenegro non corriamo il rischio di una guerra, però analizzando i risultati del voto di domenica, possiamo arrivare alla conclusione che la coalizione del presidente Đukanović ha preso quasi tutti i voti di quelli che si dichiarano montenegrini e dichiarano di parlare la lingua montenegrina. L’alleanza dei partiti filo-serbi ha conquistato quasi la stessa percentuale dei voti dei cittadini che si sono dichiarati serbi. Mentre, se mettiamo insieme il numero dei voti delle coalizioni che appoggiano il governo del premier Krivokapić, abbiamo, più o meno, lo stesso numero di quelli che hanno dichiarato di parlare la lingua serba in Montenegro”, così a OBC Transeuropa fotografa il risultato delle elezioni a Nikšić l’analista politico e scrittore Muharem Bazdulj.
Va ricordato che il presidente Đukanović, dopo l’indipendenza del Montenegro nel 2006, ha puntato molto sull’identità montenegrina in contrapposizione con quella serba, che prevedeva, tra l’altro, l’introduzione della nuova lingua montenegrina e la fondazione della nuova Chiesa ortodossa montenegrina. Il risultato di questa politica si è intravisto al censimento nel 2011 quando il 44 percento dei cittadini si è dichiarato montenegrino e il 29 percento serbo, però al contempo, il 43 percento dei cittadini si è dichiarato di madrelingua serba e il 37 percento montenegrina.
Mondi contrapposti
Il DPS recentemente si è trasformato in un partito nazionalista duro e puro. Questo cambio di rotta gli ha permesso di monopolizzare i voti dei cittadini che si dichiarano montenegrini e nutrono un risentimento forte contro i serbi-montenegrini, la Chiesa ortodossa serba e la Serbia, spingendo però il partito in un isolamento politico. Praticamente, gli unici alleati rimasti al partito del presidente Đukanović sono le formazioni politiche delle minoranze dei bosgnacchi e degli albanesi.
Dall’altra parte, i leader del Fronte democratico (DF), l’alleanza dei partiti filo-serbi, guardano in maniera troppo miope alla questiona serba nel Montenegro. Puntando solo sul sentimento nazionalista serbo condannano se stessi a un target di elettori molto limitato, visto che meno di un terzo dei cittadini si dichiarano serbi. Senza contare che, inevitabilmente, cadono in una posizione di vassallaggio dell’uomo forte di Belgrado. Una volta era Slobodan Milošević, oggi è Aleksandar Vučić
Né il DPS, né il DF riescono a catturare i cosiddetti elettori fluidi, ovvero i montenegrini che non vedono le due identità, montenegrina e serba, in collisione. Cittadini che ritengono che una persona possa dichiararsi montenegrina, amare il Montenegro come l’unica patria, essere fedele della Chiesa ortodossa serba in Montenegro, riconoscere le radici comuni con i serbi e considerare la Serbia come un paese fraterno.
La coalizione “La pace è la nostra nazione” guidata dal presidente del parlamento e leader del partito dei Democratici Aleksa Bečić ha fatto breccia in quell’elettorato fluido dal punto di vista identitario. In buona parte grazie all’appoggio della Chiesa ortodossa serba in Montenegro, ma anche al linguaggio moderato e le scelte oculate dei quadri dirigenziali.
Željko Invanović, uno dei giornalisti più importanti del Montenegro, afferma a OBC Transeuropa, che la sconfitta di domenica è una pietra tombale per il DPS di Đukanović. "Nikšić è stata la roccaforte del Partito democratico dei socialisti per più di 30 anni. Non hanno perso di misura, ma 23 – 18 in termini di seggi nel consiglio comunale. Si tratta di uno svantaggio che non si può recuperare a livello nazionale, perché il DPS non ha alcun potenziale di coalizione. Se il DPS dovesse continuare a seguire la strada del nazionalismo estremo, condannerebbe se stesso ad una lunga permanenza nei banchi dell’opposizione. Poi, con il passare del tempo la gente si accorgerà che il corso euro-atlantico del Montenegro non cambia, che il ritorno al potere del DPS è sempre più lontano, e Đukanović perderà il suo potere ricattatorio che ha costruito nei precedenti 30 anni. Molto presto, anche i partiti delle minoranze si renderanno conto che non conviene loro stare all’opposizione per dimostrare fedeltà a Đukanović”, ritiene Ivanović.
Secondo Invanović, al Montenegro serve un DPS riformato che torni alla sua politica di centro-sinistra, alla politica di inclusione e non di esclusione: “Senza la trasformazione del DPS, il Montenegro è condannato ad una divisione brutale, perché il DPS nazionalista alimenta e tiene in vita il DF. I due nazionalismi si nutrono a vicenda e il prezzo lo paga il Montenegro che rimane loro prigioniero”.