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Il Montenegro al bivio
Una delle questioni più importanti nei Balcani di oggi: la sopravvivenza della Federazione di Jugoslavia e il futuro del Montenegro. Ne offre un’ampia prospettiva questo testo di Luka Zanoni.
Breve quadro di riferimento
In questi giorni il Montenegro sta vivendo le ultime ore di incertezza sul proprio futuro nella federazione: la decisione circa l’indipendenza della repubblica oppure il suo mantenimento all’interno della Federazione di Jugoslavia. Non renderemmo conto dell’intera questione se non menzionassimo anche gli altri attori di questa delicata questione. Il Montenegro infatti non sta per nulla giocando questa partita politica da solo, ma bensì con la Serbia, la Federazione e l’Unione Europea; là dove gli attori principali sono appunto il presidente del Montenegro Milo Djukanovic, il presidente della SRJ Vojislav Kostunica, in misura minore i premier della Serbia e del Montenegro, Zoran Djindjic e Filip Vujanovic e in misura determinante il responsabile della politica estera e della sicurezza dell’UE Javier Solana.
Nonostante buona parte della stampa internazionale, ma soprattutto quella italiana, non abbia coperto questa questione, in realtà si tratta di una delle questioni decisive all’ordine del giorno nei Balcani. Ovviamente non è l’unica, ma di certo è una di quelle che dà maggiori problemi, in modo particolare se si guardano le implicazioni indirette di una possibile secessione del Montenegro dalla mini Jugoslavia.
Tuttavia è bene dire sin da ora che la stessa opinione pubblica montenegrina non ha ancora avuto modo di cogliere l’intera questione, per il fatto che le proposte uscite dal dialogo Solana-Djukanovic non sono ancora state rese pubbliche. Pertanto ci si muove ancora su un terreno di incertezza. Dalle recenti dichiarazioni pubbliche degli attori in campo, riportate dai media, entro marzo sarà trovata la soluzione all’impasse.
Facciamo un passo indietro. Il Montenegro di Djukanovic, vincitore delle elezioni nel 1997 inizia una politica di distacco dal regime di Milosevic, mossa ben accolta e sostenuta dalla cosiddetta comunità internazionale. Inoltre va aggiunta la presa di distanza dalla politica centrale che il Montenegro adottò durante la guerra in Kosovo del 1999, anche se ciò non gli risparmiò le sanzioni (bombe comprese) imposte dalla comunità internazionale dirette soprattutto contro la Serbia di Milosevic, e che colpirono anche la piccola repubblica. Ciò nonostante, si ricorderà, che il Montenegro adottò come moneta ufficiale il marco tedesco, prendendo ulteriormente le distanze dal regime di Belgrado.
Mediante quella che possiamo definire un’economia parallela, fatta anche di traffici e scambi illegali, la repubblica del Montenegro è riuscita in questi anni a distanziarsi sempre più dal potere di Belgrado, tanto da diventare de facto autonoma. Numerose politiche del governo montenegrino contribuiscono a segnare la differenza con Belgrado: l’assenza di un visto di ingresso per i cittadini italiani che soggiornano in Montenegro, l’indipendenza dei gestori della telefonia mobile, l’importazione di prodotti dalla Slovenia, Croazia e Italia, ovviando l’economia di import federale. Prezzi e costi differenti, in particolare per quanto concerne il carburante. Rivendicazioni di differenza e indipendenza della lingua, dell’educazione scolastica, etc. Non da ultimo poi il non riconoscimento del nuovo potere del parlamento federale di Belgrado uscito dalla rivoluzione di velluto del 5 ottobre 2000.
Quest’ultima scelta si deve al fatto che la rappresentanza montenegrina in quella sede è costituita dalla coalizione Zajedno za Jugoslaviju guidata da Predrag Bulatovic, ovvero rappresenta l’opposizione al governo di Djukanovic. Bulatovic, presidente del maggior partito di opposizione montenegrino l’SNP decisamente filoserbo, si oppone alla coalizione indipendentista composta da il DPS, l’SDP e dai Liberali. Il blocco indipendentista ha dato vita lo scorso anno ad un governo di minoranza con l’appoggio del Partito Liberale, intenzionato a rimanere al governo finché non verrà indetto un referendum che consegnerebbe ai cittadini montenegrini la decisione di scegliere se rimanere con la Serbia nella Federazione oppure optare per l’indipendenza e per il riconoscimento internazionale della Repubblica del Montenegro.
E’ chiaro quindi che l’attuale governo montenegrino, che da tempo non riconosce la politica di Belgrado, si adopera sempre più, anche con accese tensioni, per il distacco tra le due repubbliche.
Il Montenegro un caso a sé
Come già accennato la posta in gioco è piuttosto alta e la stampa locale ha battuto insistentemente pagine e pagine sulla attuale crisi.
La posizione di Bruxelles è da qualche tempo quella del mantenimento della Federazione di Jugoslavia, consolidando in questo modo una sorta di status quo geopolitico con la motivazione che ciò sicuramente darebbe meno problemi all’intera regione balcanica. Uno dei problemi principali che vengono avanzati in questa tesi è la possibilità che la volontà secessionista montenegrina si possa estendere a catena anche presso le altre regioni della penisola. Si tratta dell’idea dell’effetto a catena per cui le volontà secessioniste del Montenegro potrebbero influenzare, prime fra tutte il Kosovo e la Bosnia ed Erzegovina, e un domani, secondo i calcoli dei diplomatici e degli esperti potrebbero animare il desiderio di indipendenza anche di piccole entità quali la Vojvodina, il Sangiaccato e così via.
È parere di chi scrive, che questo scenario, anche se realistico si basi su una serie di paralleli fuorvianti. Innanzitutto lo status del Montenegro non è per nulla simile a quello delle altre realtà poco fa nominate. Il Kosovo è regolato secondo la risoluzione 1244 delle Nazioni Unite e di fatto è un protettorato internazionale, guidato da un amministratore internazionale, con una presenza NATO sul territorio. È vero che la 1244 vincola il Kosovo alla Repubblica Federale di Jugoslavia e pertanto se questa venisse a mancare potrebbe essere messa in questione proprio una delle basi di tale accordo. Tuttavia non bisogna dimenticare che la stessa risoluzione prevede il raggiungimento di una autonomia governativa della regione, che se pur nel quadro della Federazione, darebbe diritto al Kosovo almeno ad un iniziale distacco politico da Belgrado.
La Macedonia dal canto suo sta cercando a fatica, e con un consistente ritardo, di implementare l’accordo di Ohrid che prevede tra le altre cose, oltre al riconoscimento dei pieni diritti della comunità albanese, un forte decentramento politico. In ogni caso per ora non si è mai fatto cenno ad alcuna separazione della regione a prevalenza albanese dalla restante a prevalenza macedone. Infine la Republika Srpska è un’entità della Bosnia ed Erzegovina, così come sancito dagli Accordi di Dayton. Pertanto è parte integrante della BiH e la sua messa in discussione significherebbe la messa in discussione degli accordi stessi e dei confini della BiH riconosciuta internazionalmente come una cosa sola. Per quanto riguarda la Vojvodina e, in misura minore per il momento, il Sangiaccato, non si tratta per alcun motivo di potenziali repubbliche, ma di regioni che ambiscono all’autonomia, quella in vigore fino al 1989 anno in cui venne soppressa dall’allora presidente Milosevic.
Il Montenegro andrebbe quindi considerato un caso a sé stante, ossia quello di una repubblica che è parte di una federazione, condizione stabilita in base al referendum indetto nel 1992.
Vero è tuttavia, che in questione ci sono parecchi aspetti da sottolineare e che riguardano le relazioni future tra il Montenegro e la Serbia, ma che rimandano ad un ordine di considerazioni differente rispetto ai casi menzionati più sopra.
Primo fra tutti il fatto che in Montenegro gli indipendentisti non costituiscono una maggioranza schiacciante. Anche se la presidentessa del parlamento montenegrino, la liberale Vesna Perovic, ha fatto sapere al presidente di turno dell’ OSCE, il portoghese Jamie Gama, che secondo i recenti sondaggi gli indipendentisti guadagnerebbero il 18% in più rispetto al cosiddetto blocco federale (Vijesti, 20 febbraio 2002), in realtà non è ancora ben chiaro quale potrebbe essere la percentuale esatta degli stessi. Non a caso L’OSCE ha più volte dichiarato che il referendum sull’indipendenza passerebbe se e solo se una significativa maggioranza votasse a favore, ovvero almeno il 55% dei votanti. Tenendo conto dei risultati delle scorse elezioni si potrebbe affermare che questa percentuale è ancora troppo alta per decretare mediante referendum l’indipendenza del Montenegro. Questo per il fatto che il 42,05% degli elettori ha votato per la coalizione indipendentista di Djukanovic (Pobjeda je Crne Gore) contro un 40,67% che ha votato per la coalizione Zajedno za Jugoslaviju, spaccando letteralmente in due il paese. Il Partito Liberale (7,65%) continua a dare il suo appoggio al governo di Filip Vujanovic semplicemente come supporto fino alla tenuta del referendum.
Nonostante il fatto che Solana abbia dichiarato già da tempo di non voler esercitare alcuna pressione sulla piccola repubblica, sottolineando che le sue sono solo idee per una soluzione pacifica dei rapporti tra le due repubbliche, di fatto un certo ambiente politico e parte della stampa montenegrina hanno interpretato i suggerimenti di Solana come una forte pressione che rema verso il mantenimento della federazione. La pressione esercitata dall’Unione Europea sul Montenegro ha acceso gli animi di molti, ivi compresi alcuni degli intellettuali montenegrini favorevoli all’indipendenza. Reazioni ai suggerimenti di Solana sono giunte anche dall’influente think tank occidentale l’International Crisis Group (ICG), che in un lettera aperta ha sollevato alcune questioni fondamentali. L’ICG rivolgendosi a Solana sottolinea che: 1) il Montenegro ha già adottato una moneta europea e si è mosso verso una maggiore apertura al mercato rispetto alla Serbia (Montenegro tariff average 3% , Serbia tariff average 10%) e non può a questo punto tornare indietro; 2) la questione del distacco dalla SRJ va posta in termini di decisione dei cittadini; 3) cosa che non si può nascondere, la pressione europea per il mantenimento della federazione fa il gioco delle fazioni politiche, sia belgradesi che di Podgorica, decisamente meno progressiste "in termini di moderni valori europei" ICG-CEPS open letter on Montenegro" 14 febbraio 2002).
Il 21 febbraio anche una trentina di intellettuali montenegrini, tra cui giuristi, sociologi e storici, ha inviato un proprio messaggio all’Unione Europea, agli USA e all’ONU, nel quale viene ribadita la legittimità della scelta da parte del popolo montenegrino circa l’indipendenza del paese in cui vivono, mediante referendum. Il professor Slobodan Blagojevic, docente presso la facoltà di diritto di Podgorica, si è richiamato alle decisioni prese anni or sono dalla Commissione Banditer, facendo notare che secondo suddetta commissione tutte le repubbliche della ex Jugoslavia hanno a loro tempo avuto la possibilità di scegliere il distacco dalla federazione, tranne il Montenegro. Pertanto la pressione che ora esercita la UE per il mantenimento della federazione contrasterebbe con i principi legali stabiliti dalla Commissione Banditer. Inoltre – aggiunge Blagojevic – "il Montenegro è a un bivio storico ed è preoccupato dal momento che gli elementari diritti dei suoi cittadini vengono gestiti da quegli stati che si fondano sui principi dello stato di diritto e della democrazia" (Vijesti 21 febbraio 2002).
Incontri ravvicinati
Di particolare importanza è stata poi la visita di Solana a Belgrado, avvenuta sempre il 21 febbraio. Il responsabile della politica estera dell’UE ha incontrato separatamente per ben due volte, sia il presidente Djukanovic che Kostunica, così come gli altri attori politici, ossia il ministro Labus, il premier serbo Djindjic e il premier montenegrino Vujanovic.
Le dichiarazioni di Solana rilasciate durante la conferenza stampa all’aeroporto di Belgrado poco prima della sua partenza, sono state decisamente positive. Solana ha dichiarato infatti di essere più ottimista alla sua partenza che non al suo arrivo: "Me ne vado con la sensazione che abbiamo fatto un passo avanti e che continueremo col lavoro. I colloqui si sono svolti in un’ottima atmosfera. Se l’atmosfera è costruttiva allora il processo è costruttivo. Penso che sia una buona notizia per tutti, e anche per me" (Danas, 23-24 febbraio 2002). Più o meno sullo stesso tono sono state anche le dichiarazioni del presidente federale Vojislav Kostunica, "l’intero processo, evidentemente, ha preso una certa dinamica" ribadendo che esiste una "seria prospettiva" che nei prossimi dieci giorni venga presentato al pubblico un concreto accordo politico sul futuro della federazione (Danas, cit.). Negli ultimi giorni va notato che Djukanovic ha abbassato il tiro delle sue dichiarazioni, facendo trapelare la sensazione che la proposta di Solana possa essere accettata. Alla domanda dei giornalisti riuniti alla conferenza stampa, se ciò possa significare che il referendum non si terrà più, Djukanovic ha detto che "il referendum non è un mostro di cui la società democratica deve temere, ma bensì una procedura istituzionale. A nessuno della comunità internazionale viene in mente di contrastare il futuro del Montenegro. Quel diritto (il referendum) lo possiedono tutti i popoli, pertanto anche quello serbo e montenegrino e ora stiamo discutendo in quale momento possiamo far valere tale diritto. D’altra parte il Montenegro non è solo nei Balcani. Anche l’UE ha i suoi interessi" – ha concluso Djukanovic (Danas, cit.; cfr. anche Vijesti 22 febbraio 2002).
Il testo di Solana
Per comprendere appieno le parole di Djukanovic, che in questo momento a molti politici montenegrini suonano un po’ come una sorta di ritirata dall’idea indipendentista, è necessario precisare quali sono i termini della questione sul futuro della federazione. Anche se occorrerebbe chiedersi fino a che punto Djukanovic abbia sempre caldeggiato l’idea dell’indipendenza o se si è invece trattato di un modo come un altro per rimanere al potere tutto questo tempo.
Nonostante non sia ancora stato reso pubblico il piano di soluzione della crisi, alcuni elementi si possono già anticipare. Il discorso di Djukanovic farebbe riferimento ad una moratoria che se accettata sposterebbe il referendum ad una data che va dai tre ai cinque anni. L’offerta di Solana in modo plausibile, ma non ancora ufficiale, la si può desumere da un testo che egli stesso ha scritto e che è stato pubblicato esclusivamente sul quotidiano montenegrino Vijesti il 22 febbraio 2002, ovverosia dopo l’incontro avuto con Djukanovic e Kostunica. Vediamo di riprenderne i punti salienti.
Il testo di Solana suggerisce la formazione di un Unione tra Serbia e Montenegro, e nel corso del testo si precisa che tale unione avrebbe un solo posto presso le Nazioni Unite e che esisterà un meccanismo secondo il quale il Montenegro non dovrà più essere dominato dalla Serbia come ai tempi di Milosevic. Tempi in cui, ricorda Solana, il Montenegro si è sempre distinto per un significativo ruolo contro il potere di allora. "La UE non si è dimenticata del ruolo chiave del Montenegro durante gli anni bui di Milosevic. Siamo grati al popolo del Montenegro e ai suoi leader, e ci preoccupiamo di loro". Il testo di Solana insiste soprattutto sulla possibilità di integrazione europea. Il concetto di sovranità è cambiato molto all’interno dei paesi che compongono l’Unione europea, esistono nuove prospettive anche per quei paesi come la Scozia e la Baviera, che oggi senza dubbio godono del sentimento di identità, del dinamismo economico e di una significativa autonomia. "Perché non potrebbe essere un’attraente prospettiva anche per il Montenegro?" si chiede Solana. "Infine – il responsabile della politica estera della UE suggerisce che – esiterà una disposizione che renderà possibile ad ogni repubblica – dopo un certo numero di anni – di riesaminare questa sistemazione e decidere del proprio futuro" (le citazioni del testo di Solana sono tratte da Vijesti 22 febbraio 2002).
Il messaggio di Solana è chiaro: la federazione si trasforma in un Unione di due repubbliche e la questione del referendum viene posticipata ad un numero imprecisato di anni. L’offerta di Solana, elemento non nuovo, è l’ingresso nell’Unione Europea, come garanzia di sviluppo e stabilità economica e politica del paese. Tuttavia è piuttosto pleonastico aggiungere che il compimento di tale promessa dovrà attendere almeno l’intero prossimo decennio. Né la Serbia né il Montenegro sono candidati per i prossimi ingressi nell’UE.
Una replica al messaggio di Solana è contenuta in una, dai toni accesi, lettera aperta redatta dalla Matica crnogorska, dalla DANU (Dukljanska Akademija) e altri istituti accademici indipendenti montenegrini. Il contenuto della lettera è riassumibile in queste parole: ciò che sta facendo l’UE non è soddisfacente per buona parte del popolo montenegrino e il veto posto sul referendum contrasta con il diritto universale di tutti i cittadini di scegliere il proprio destino e il paese nel quale vivere. Inoltre viene fatto esplicito riferimento al ruolo che "l’intelligenzia creativa montenegrina" in questi anni ha condotto contro il regime di Milosevic e le sue azioni di genocidio. Non mancano infine riferimenti storici: "Quello che succede adesso, purtroppo, assomiglia tanto al crudele anno1918 e alimenta la faticosa esperienza storica montenegrina, secondo la quale la libertà e l’indipendenza non si possono ottenere senza vittime nel sangue" (Vijesti 22 febbraio 2002).
Le conseguenze sui delicati equilibri politici interni al Montenegro
L’ambiente politico montenegrino, e serbo anche se in misura minore, da tempo lancia segnali di irrequietezza. In modo semplicistico si possono suddividere in due le fazioni politiche montenegrine. Da una parte la coalizione Zajedno za Jugoslaviju stretta su posizioni filo serbe e favorevole pertanto al mantenimento della federazione, e dall’altra una sorta di blocco indipendentista di cui fanno parte il DPS, l’SDP e i Liberali. Il Partito Liberale di Miodrag Zivkovic, come più sopra esposto, ha accettato di dare l’appoggio al governo di Vujanovic e quindi di assecondare le idee di Djukanovic, per il semplice fatto che è stato promesso che entro la primavera dell’anno in corso si sarebbe tenuto il tanto sospirato referendum sull’indipendenza. Tuttavia una volta capito che il referendum probabilmente non ci sarà, considerazione mutuata dalle recenti dichiarazioni del presidente Djukanovic (già dopo l’incontro con il presidente austriaco, Milo Djukanovic uscì in pubblico dicendo: "non ho mai affermato che il referendum si sarebbe tenuto sicuramente" – Danas, 16-17 febbraio 2002 e Vijesti 13 febbraio 2002), sono iniziate le polemiche e le minacce di abbandono del governo.
I Liberali sin da subito hanno precisato che non hanno alcuna intenzione di rinunciare all’idea indipendentista e grosso modo dello stesso parere si sono dichiarati gli altri alleati del partito di Djukanovic i membri dell’SDP di Ranko Krivokapic. Decisamente più ottimisti e speranzosi si sono dimostrati i leader della coalizione Zajedno za Jugoslaviju. In una riunione del 23 febbraio i leader della suddetta coalizione pro federazione si sono incontrati nella capitale montenegrina per fare il punto sulla situazione. Dall’incontro di Predrag Bulatovic dell’SNP, Dragan Soc della NS e Bozidar Bojovic della SNS sono usciti due apprezzamenti per i suggerimenti di Solana che riguardano in particolare: un unico soggetto internazionalmente riconosciuto, ossia la sopravivenza di uno stato comune composto da Serbia e Montenegro, e secondo, l’assenza di un imminente referendum.
La Coalizione per la Jugoslavia insiste invece sul ristabilimento di un’unica moneta e di un unico sistema economico e di mercato (Vijesti, 24 febbraio 2002). Punti sui quali hanno insistito parecchio anche il ministro delle finanze serbo Bozidar Djelic e il governatore della Banca Centrale jugoslava (NBJ) Mladjan Dinkic. Secondo Dinkic "se non si ha una moneta, una dogana e una politica estera di commercio uniche non si ha uno stato unico" (Vijesti, 24 febbraio 2002). Un po’ meno irritato è stato Djelic che ha ribadito la non ufficialità delle informazioni che circolano in questi giorni riguardo il piano di Solana. In particolare sia Djelic che Dinkic sono rimasti sorpresi da una notizia riportata da B-92 nella quale veniva scritto che secondo il piano proposto dalla UE, l’unione di Serbia e Montenegro avrebbe quattro ministeri, ossia: difesa, esteri, integrazione economica e commercio interno. E inoltre non sarebbero previste le funzioni del premier e del presidente. La notizia lo stesso giorno è stata smentita dalla portavoce di Solana, Christina Gallach (B-92, 22 febbraio 2002).
Aldilà dei battibecchi politici su questioni non ancora chiaramente definite sembrano ben altre le cose, sulla scena politica montenegrina, che vale la pena di tenere sottocchio.
Da qualche tempo è comparsa con un certo grado di attenzione la figura di Svetozar Marovic, vicepresidente del DPS, il partito di Djukanovic. Secondo alcune analisi si potrebbe verificare una situazione che a ben guardare non sarebbe poi così sorprendente. Si tratterebbe della caduta dell’attuale governo di minoranza, dal momento che due partiti sembrano decisi a non appoggiare il piano proposto dalla UE, e dell’emergere della figura di Svetozar Marovic. Quest’ultimo da tempo si è dimostrato piuttosto moderato e incline ad accettare le proposte di Solana. Provocando una sorta di spaccatura interna nel DPS. Una delle analisi fatte in questi giorni vede il ruolo cruciale che potrebbe detenere la Coalizione per la Jugoslavia in un’alleanza con il DPS, mentre Marovic potrebbe condurre un putsch all’interno del partito e mettere fuori scena il presidente Djukanovic. (cfr., Pred odlukom, Monitor 22 febbraio 2002).
Le rivalità tra Marovic e Djukanovic riguardano la posizione da assumere nei confronti dell’Unione Europea e pertanto del destino stesso del Montenegro. Marovic che solo un anno fa spingeva per la realizzazione immediata del referendum, e che a ben guardare era parte integrante del programma del suo partito e grazie al quale gli elettori lo hanno votato, sembra essere sceso su posizioni molto più accomodanti nei riguardi delle proposte di Solana. "Noi siamo interessati ad essere parte della UE sia come Serbia che come Montenegro e come Jugoslavia, che sia uno stato unito, che sia qualche altra unione oppure eventualmente che siano due stati indipendenti" (Ruza i krst, Monitor 15 febbraio 2002). Tra i sostenitori di Marovic si possono trovare tanto alcuni esponenti del suo partito quanto alcuni politici dell’opposizione, come Dragan Soc della NS. Ma sembra che Marovic goda del favore anche di qualche personalità occidentale disposta a risolvere la crisi tra le due repubbliche in favore del mantenimento della federazione. In sostanza Svetozar Marovic viene visto come il rappresentate di quell’ala del DPS più moderata e non così tenacemente risoluta sulla questione dell’indipendenza. Purtroppo però questo causa qualche problema interno al partito di Djukanovic. Il vice presidente del DPS viene descritto come un equilibrista. Ma Marovic ribatte che alla UE non si può rispondere di no, "perché essere in Europa non significa solo aspettarsi degli aiuti e dei crediti ma piuttosto accettare gli standard europei e prendere in considerazione le regole dell’integrazione internazionale" (Monitor, cit.).
Una cosa piuttosto interessante che emerge sul conto di Marovic la segnala sempre il settimanale montenegrino Monitor. Affermando che "Nella sua confessione a Nacional, Srecko Kestner, il protagonista dell’ affare del tabacco, racconta che sulla lista degli stipendiati da Subotic c’era anche Svetozar Marovic. ‘Il suo appannaggio mensile era di 100 mila marchi solo per farlo stare tranquillo. Questo era il premio per la sua discrezione’. Oltre a ciò Nacional ha scritto che a Marovic piacciono gli orologi costosi e si dice che Stanko Cane Subotic gli abbia comprato un appartamento a Parigi".
Verificare le dichiarazioni di Nacional e dei suoi interlocutori è compito di una commissione montenegrina istituita appositamente. Purtroppo però da tempo non riesce a produrre nulla più che inviti di comparizione e riunioni inconcludenti.
Prospettive future
Non è facile a questo punto fare delle anticipazioni precise su quale sarà l’assetto politico e istituzionale delle due repubbliche, ma si possono tracciare alcune previsioni. Si può ipotizzare con una certa tranquillità che la Federazione di Jugoslavia verrà trasformata in un Unione di Serbia e Montenegro, ma l’aspetto più controverso da risolvere resta quello economico. Il Montenegro potrà mantenere una sua politica economica indipendente? Potrà mantenere l’euro quale moneta ufficiale del paese? Ci sarà un sistema di dogane comune? Queste, in buona sostanza, sono le domande che più fanno discutere in questi giorni e che occuperanno i colloqui delle prossime due settimane, termine entro il quale dovrebbe finalmente delinearsi una concreta piattaforma risolutiva.
I problemi naturalmente non si esauriscono con la risposta a queste domande. Come abbiamo più sopra precisato la stessa politica interna del Montenegro è teatro di forti tensioni. Accettare il piano di Solana e pertanto accettare la moratoria che sposta ad un tempo indefinito il referendum, potrebbe causare una spaccatura interna nella coalizione di governo. Il DPS di Djukanovic dovrebbe spiegare ai suoi elettori questo abbandono dell’idea indipendentista e potrebbe perdere parte del consenso elettorale. Ciò potrebbe condurre il DPS a intrecciare un’alleanza con l’SNP, al momento il maggior partito di opposizione. Ma non sarebbe facile spiegare all’elettorato queste svolte improvvise.
Infine, sembra proprio che il Montenegro non avrà la sua indipendenza se in un medio-lungo termine, pertanto sembra che la soluzione più imminente sia una sorta di accettazione della attuale semi indipendenza del Montenegro. È difficile infatti che si imponga al Montenegro di rinunciare alla sua politica economica e alla moneta europea in favore del dinaro e di una politica economica unitaria dettata da Belgrado.
Vedi anche:
The Common Foreign and Security Policy (CFSP)
ICG-CEPS open letter on Montenegro