Il mistero Ðinđić
I nuovi dettagli sull’omicidio del premier serbo dischiudono la possibilità che il potere di Belgrado non abbia interesse a rivelare tutti i dettagli sull’attentato a Ðinđić
Solo ad un mese dall’inizio del processo agli assassini del premier serbo Zoran Ðinđić, alcuni nuovi dettagli sull’omicidio, giunti all’opinione pubblica, potrebbero far sollevare dei dubbi sulla fondatezza delle accuse.
Nuove spinte al caso le ha fornite il capo della sicurezza di Ðinđić, Milan Veruović, il quale al momento dell’omicidio il 12 marzo si trovava vicino al premier.
Veruović nell’intervista rilasciata alla radio belgradese B92 ha sollevato la possibilità che Ðinđić non sia stato ucciso dal colpo di fucile sparato da Zvezdan Jovanović, l’aiuto comandante dell’Unita per le operazioni speciali, JSO, la più forte unità speciale sotto il comando della polizia serba.
Veruović, anch’egli gravemente ferito durante l’attentato, il 20 ottobre ha reso noto che Ðinđić nel momento in cui è stato ucciso il 12 marzo davanti al palazzo del governo aveva la faccia rivolta verso la porta d’ingresso del palazzo.
Se questa affermazione fosse esatta, ciò significherebbe che il premier nel momento in cui è stato ucciso non poteva essere colpito dal palazzo da cui ha sparato Jovanović.
Questo perché, il referto dell’autopsia ha confermato che un proiettile lo ha colpito al lato destro della cassa toracica, mentre nel palazzo, se vi è entrato, era rivolto sul fianco sinistro.
"Ciò mi fa venire un grande sospetto che ci sia stato un luogo (di appostamento per lo sparo) nella via opposta", ha detto Veruović.
L’affermazione secondo la quale al momento dell’omicidio esisteva un altro fucile, di cui non si parla né nell’indagine né nelle accuse, Veruović la spiega anche col fatto che, secondo quanto lui stesso dice, su Ðinđić e su di lui sono stati sparati tre proiettili.
Inoltre, la guardia del corpo di Ðinđić sostiene che "il suono del primo proiettile che ha colpito il premier non era della stessa intensità degli altri due che hanno colpito me e il muro (del palazzo del governo)".
Dall’altra parte, nell’accusa si afferma che sono stati sparati solo due proiettili, che il primo ha colpito Ðinđić, mentre il secondo ha ferito il trentaduenne Veruović e si è conficcato nel muro del palazzo del governo.
La testimonianza pubblica della guardia del corpo ha sollevato parecchia inquietudine tra le fila del governo benché la fondatezza delle sue affermazioni sia stata rigettata all’unanimità.
Il vice presidente del governo serbo Žarko Korać ha definito le affermazioni di Veruović come le parole di un giovane che si "trova sotto shock", mentre il procuratore Ðorđe Ostojić ha detto che si tratta di "speculazioni".
"Lui specula, porta i suoi sospetti. Però, l’indagine è terminata e questi sospetti sono risolti" ha detto Ostojić.
Anche se si mostrasse che le affermazioni di Veruović non sono fondate, è invece sicuro che la sua dichiarazione ha evidenziato gravi mancanze nell’indagine sull’omicidio.
Perché la ricostruzione degli eventi sul luogo dell’omicidio non è mai stata fatta, mentre lo stesso Veruović è stato ascoltato una sola volta, e ben quattro mesi dopo l’omicidio.
Allo steso tempo, nella stessa accusa, pubblicata la scorsa settimana, si sono evidenziate grosse contraddizioni: perché in un unico luogo si dice Ðinđić è stato ucciso"nel momento in cui è uscito dall’automobile di servizio ed è andato verso la porta di ingresso del palazzo del governo".
Ciò suggerisce che era rivolto col lato sinistro verso il luogo dove si trovava Jovanović, e non su quello destro dove è stato colpito.
In un altro luogo, invece, nell’accusa si dice esplicitamente che Ðinđić era "rivolto con la schiena" verso la porta del palazzo del governo e che "con la spalla destra e il corpo col lato anteriore del busto era rivolto verso il luogo da dove è giunto il proiettile".
Nonostante le evidenti mancanze, il procuratore dispone di due forti argomenti: la confessione di Jovanović che ha ucciso Ðinđić e il possesso del fucile con cui è stato commesso l’omicidio.
In verità, afferma l’avvocato di Jovanović, Nenad Vukasović, che le confessioni del suo cliente sono state rilasciate senza la presenza di un difensore e sotto "torture psichiche".
"Non ha confessato lui l’omicidio", dice Vukasović, "dopo una serie di giorni e notti di lavoro operativo con Jovanović, si è giunti a quelle famose dichiarazioni".
Questo, come anche la difesa col silenzio di Jovanović nelle indagini, suggerisce che al processo probabilmente ritirerà le confessioni rilasciate in carcere.
Dopo tutto questo, occorre dire che tra la maggior parte degli esperti legali e della polizia non è stata smontata la tesi secondo la quale Jovanović avrebbe commesso l’omicidio, ma anche che la maggior parte di loro crede che ciò che è stato reso noto dell’indagine non sia tutta la verità e che il governo nasconda qualcosa.
L’ex poliziotto e capo della sicurezza di un ministro Slobodan Pajić, il quale si trovava immediatamente dopo la sparatoria sul luogo dell’omicidio, ha detto che la maggior parte dei testimoni diretti dell’attentato ha sentito che ci sono stati tre spari di differente intensità.
Pajić ha detto che il rifiuto delle dichiarazioni di Veruović può significare che "a qualcuno non è d’interesse che si sappia l’esatta verità".
I sospetti che il governo nasconda qualcosa sono aumentati anche col fatto che sulla maggior parte dei media filo governativi i sospetti di Veruović sono stati risolutamente rigettati come non esatti.
Un alto funzionario della polizia che ha acconsentito di parlare per l’Osservatorio sui Balcani delle dichiarazioni di Veruović concorda che la dichiarazione della guardia del corpo è stata "facilmente ignorata".
E vede in ciò "una chiara intenzione" che alcune cose vengano nascoste, ma non crede alle tesi rese note secondo le quali ciò farebbe pensare che qualcuno del governo sia immischiato nel complotto contro il premier.
Questo poliziotto, che ha desiderato mantenere l’anonimato, crede che la rivelazione di tutti i dettagli connessi con l’omicidio potrebbero scoprire le relazioni di alcuni ministri serbi con la gente della malavita vicina agli uccisori di Ðinđić.
"Non solo questo sarebbe l’ultimo chiodo conficcato nel governo ma sarebbe anche di ostacolo all’intenzione degli uomini del governo di utilizzare il processo come campagna contro i rivali politici", afferma la fonte.
Perché, tra i 44 che saranno processati al processo per l’omicidio Ðinđić si trova anche l’ex capo dei servizi informativi dell’esercito, il generale Aco Tomić, considerato vicino all’ex presidente jugoslavo Vojislav Koštunica, il più forte rivale politico del governo.
Il generale Tomić è accusato di associazione "finalizzata ad azioni nemiche", perché ha avuto contatti con Milorad Luković Legija, un tempo comandante della JSO e che è accusato di essere il principale organizzatore dell’attentato.
Tutto ciò fa pensare che il processo agli assassini di Ðinđić si giocherà all’ombra di numerose contraddizioni e amare lotte politiche tra le forze filo-governative e quelle dell’opposizione, dove si sospettano reciprocamente di coinvolgimento nell’attentato e connessione con gli assassini del premier serbo.
Se il processo agli assassini di Ðinđić si svolgerà all’ombra delle lotte politiche non è escluso che una delle sue vittime sia la piena verità.
Vedi anche:
– La battaglia di Stalingrado del governo serbo
– 12 Marzo – 22 aprile: lo stato di emergenza in Serbia
– Serbia: detenuti affermano di essere stati torturati
– La Serbia dopo Djindjic
– Djindjic: un omicidio politico