Il male del Kosovo

Il dottor Nebojša Srbljak, fondatore dell’Ong "Angelo misericordioso", con sede a Mitrovica, denuncia l’aumento di tumori maligni in Kosovo, in particolare del carcinoma polmonare, collegando il fenomeno all’utilizzo dell’uranio impoverito durante i bombardamenti Nato del ’99

11/11/2008, Tatjana Lazarević - Mitrovica

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Proiettile all'uranio impoverito

Sul territorio del Kosovo, in base ai dati accessibili, 113 località sono state colpite nel 1999 dalle forze Nato con munizioni all’uranio impoverito. Inoltre, stando ai dati e alle ricerche sul campo di varie organizzazioni, non è confermato che questi luoghi siano stati bonificati nel periodo successivo al conflitto. Gli abitanti del Kosovo più consapevoli delle conseguenze dell’utilizzo di tali munizioni sono molto preoccupati, perché sono convinti che l’uranio sia filtrato nella catena alimentare. L’organizzazione non governativa "Milosrdni andjeo" (Angelo misericordioso), di Mitrovica si occupa già da 7 anni dello studio di questo problema. Il principale esponente di questa organizzazione è anche il suo fondatore, l’internista Nebojša Srbljak, il quale sostiene che nella regione è in atto una vera "esplosione" di tumori maligni, e che questa sia conseguenza diretta dell’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito.

Come mai un internista coinvolto nella vicenda dei tumori maligni?

Perché, come medico, sono stato sopraffatto dalle cifre spaventose che ho trovato nel 2001, quando sono tornato a Mitrovica da Belgrado dopo essermi specializzato, e ho visto l’enorme numero di carcinomi di recente scoperta riscontrati in loco. Allora i colleghi non vi hanno dato un grande peso. Tuttavia, in una breve analisi di un mese, con l’aiuto di alcuni colleghi siamo giunti alla preoccupante scoperta che i tumori maligni erano cresciuti di oltre il 200%, ovvero che il numero di malati è salito da un livello annuo dell’1,9% al 5,2%. E’ stato poi scioccante notare il drastico spostamento della fascia d’età in cui si manifestano i casi di tumore, e un picco di casi tra la popolazione giovane, sotto i 50 anni. Abbiamo notato che il male colpisce maggiormente uomini tra i 20 e i 50 anni. Parliamo della popolazione a nord del fiume Ibar, perché in quei primi giorni dopo i bombardamenti, solamente gli abitanti del Kosovo settentrionale hanno potuto usare i servizi sanitari dell’ospedale di Mitrovica, in quanto i serbi che si trovavano a sud dell’Ibar non potevano spostarsi per motivi di sicurezza.

Lei parla di una crescita del 200%. In base a quale periodo precedente viene calcolato questo balzo?

Il dottor Srbljak

Parlo del ’97-’98. Poi c’è stata la guerra, nel ’99. Abbiamo messo a confronto i dati di questi due anni con il ’99, e nel 2000-2001 abbiamo eseguito un primo studio. Prendendo il biennio ’97-’98 come riferimento, abbiamo visto che il picco del carcinoma polmonare si registrava tra i pazienti di 72-75 anni, così abbiamo costituito un gruppo con questi pazienti, mentre dal ’99 al 2000 il picco era sceso attorno ai 45 anni, registrando così uno spostamento drastico. Il tasso di malati di carcinoma polmonare nel ’97 nell’ospedale di Mitrovica era del 2,6%, nel ’98 1,7%, nel ’99 4,00% e nel 2000 del 22%! Un’enorme crescita è stata registrata anche in urologia, da 1,6% nel ’97 al 16% nel 2000. L’aumento del numero di pazienti malati di carcinoma è stato registrato anche negli altri reparti del nostro ospedale, prima di tutto in chirurgia, ginecologia, medicina interna, ortopedia e pediatria.

In questi anni si sono quindi rivolti a voi solamente i pazienti del nord del Kosovo. Qual è il dato relativo alla popolazione che in questo periodo si faceva curare nel vostro ospedale?

Si tratta di 50.000-60.000 persone. Allora eravamo geograficamente "divisi" dalla regione a sud dell’Ibar. Col tempo i movimenti sono divenuti più agevoli, e anche i pazienti delle enclave hanno cominciato ad appoggiarsi all’ospedale del nord, di conseguenza il numero è aumentato.

Fino al 1997 l’ospedale di riferimento per i serbi in Kosovo era Pristina, mentre Mitrovica al tempo era solo un ospedale di provincia. Dopo la guerra il centro amministrativo e sanitario per i serbi rimasti si sposta a Mitrovica. L’aumento di pazienti non ha influito sulle cifre relative ai tumori registrati?

In realtà la cifra di 60.000 abitanti nei comuni del nord è di ben 5 volte inferiore rispetto al numero dei residenti dell’intera regione di Mitrovica che nel periodo ’96-’97 si sono fatti curare nel nostro ospedale. In altre parole, nel ’99 e nel 2000 l’affluenza al nostro centro è stata 5 volte minore, ma al contempo è stato registrato un numero 200 volte maggiore di pazienti tra i 40 e i 45 anni affetti da carcinoma. La cosa peggiore è che già allora avevamo previsto che nel 2001 avremmo avuto un’epidemia di tumori maligni e, sfortunatamente, avevamo ragione…

Tuttavia, è logico pensare che, prima del ’99, i pazienti affetti da malattie così gravi si ricoverassero a Pristina, perché quello allora era il centro medico di riferimento. Non potrebbe essere, forse, che semplicemente non avete dati precisi di questo periodo relativamente al numero di malati di questa regione?

Abbiamo diagnosi cliniche di tutti i pazienti malati di questa regione nel periodo preso in esame. Tutti i casi hanno dovuto essere verificati anche nel nostro ospedale e tutti hanno una conferma istologica…

Nella vostra indagine, mettete in diretta correlazione il drastico aumento di casi di carcinoma, in particolare di carcinoma polmonare, con l’utilizzo di munizioni all’uranio impoverito in Kosovo nel ’99. Tuttavia per le istituzioni che si occupano di questo tema, il cancro ai polmoni non viene considerato come tipica conseguenza. Avete preso in considerazione anche i rimanenti fattori di rischio come lo stress, il fumo e la predisposizione genetica?

E’ vero che da noi non si sono manifestate malattie ematologiche, caratteristiche dell’esposizione all’uranio impoverito, mentre si è manifestato il carcinoma polmonare. Nell’espettorazione del nostro primo e giovane paziente, affetto da carcinoma polmonare e di cui sospettavamo che si trattasse della conseguenza dell’esposizione alle munizioni all’uranio impoverito, abbiamo riscontrato la presenza dell’isotopo radioattivo Iodio 131, utilizzato come componente dei proiettili all’uranio impoverito. Il paziente, che in seguito è deceduto, durante la guerra era membro delle unità serbe che si trovavano a Košara (su quello che allora era il confine jugoslavo con l’Albania, dove si sono condotte dure battaglie tra le forze armate e Uck, e dove le forze serbe sono state pesantemente bombardate dalle forze Nato). Al contempo, nella sua famiglia non si è avuto alcun caso di carcinoma polmonare.

E la storia degli altri pazienti?

Il caso che ho citato è rappresentativo. Dopo esserci accorti della drastica crescita dei tumori maligni, e in particolare dello spostamento del limite d’età, abbiamo cercato i fattori che hanno portato allo sviluppo e all’origine della malattia. I presupposti iniziali erano la predisposizione genetica, l’età, gli stili di vita e le condizioni esterne. Nella fase seguente delle ricerche si sono raggiunti dei risultati che hanno dimostrato che nella maggior parte dei malati non vi era predisposizione genetica, che il 20% dei pazienti con il carcinoma polmonare erano fumatori, mentre è risultato che la maggior parte dei malati durante la guerra era stata mobilitata e si trovava più o meno nelle stesse zone: al confine con l’Albania e nei dintorni di Klina.

In quel periodo anche l’opinione pubblica italiana è stata scossa dalla vicenda dei suoi soldati che al tempo dei bombardamenti erano in servizio in Kosovo, proprio nelle zone critiche da voi nominate, e che sono affetti dalla cosiddetta sindrome balcanica, vale a dire malattie ematologiche e non carcinoma polmonare…

UNDP – Siti colpiti con munizioni all’uranio impoverito

Esatto. Gli italiani si collegano all’intera faccenda, perché cominciano velocemente ad ammalarsi. I soldati italiani sono stati stanziati anche nei punti critici in Bosnia, ad esempio a Hadžići. Se si tratta degli stessi soldati che poi sono venuti in Kosovo, questo non lo so, ma le forze italiane sono state in Kosovo nel ’99 e allora, un anno e mezzo dopo, nel 2001, si è manifestata la leucemia. Erano su un terreno "ricco" di uranio impoverito…Voglio spiegare esattamente questa discrepanza. Quando le forze Nato hanno colpito i nostri soldati con quelle bombe, loro hanno respirato quest’aria inquinata. Nell’unità militare in cui si trovava il nostro primo paziente che ho già nominato – nella cui espettorazione abbiamo scoperto lo Iodio 131 – c’erano anche altri 10 soldati che sono morti dello stesso male. Di una quindicina di persone, nessuno è oggi ancora in vita.

Come avete ottenuto questi dati? Di quale periodo parlate?

Provengono tutti dal Kosovo settentrionale e le loro malattie sono registrate nel nostro ospedale. I malati sono morti nel periodo compreso tra il 1999 e il 2008. Forse questa è una cifra "minima" per un periodo di 10 anni, ma parliamo di un territorio limitato e tutti i casi sono legati in modo sorprendente: tutti morti della stessa malattia, tutti giovani e tutti parte della stessa unità militare…

Ma in questa zona c’erano anche soldati americani: si è saputo se in seguito si sono verificati casi di malattia anche tra le loro fila?

No, gli americani erano localizzati esattamente dove non ci sono stati bombardamenti all’uranio, nei dintorni di Uroševac, mentre gli italiani erano stanziati nella zona di Djakovica e Peć, dove il bombardamento è stato più pesante.

Quale l’origine del drastico aumento di tumori maligni registrati nel reparto di urologia?

Oltre al carcinoma polmonare, abbiamo rilevato l’aumento delle malattie ematologiche, un trend presente in tutta la Serbia, in particolare di carcinomi di origine ematologica, leucemie fulminanti e carcinomi degli organi riproduttivi nelle donne, ma anche negli uomini. Nei bambini si è registrato un aumento dei casi di leucemia, parlo dei bambini del Kosovo centro-meridionale. Nel solo Kosovo settentrionale nel 2003 e nel 2004 ho riscontrato circa 6 casi di questo tipo. Nella città serba di Kragujevac, ad esempio, si è registrato un enorme numero di carcinomi alla prostata negli uomini oltre i 40 anni. Una mia collega ha esaminato questo caso e ha affermato che durante i bombardamenti sono stati colpiti i trasformatori e l’olio cancerogeno è fuoriuscito disperdendosi nell’ambiente, ovvero il pericolo maggiore, contaminando la catena alimentare.

Tuttavia non potete dire che anche i fattori rimanenti possono avere influenza sull’origine dei tumori maligni?

Dato che nel nostro Paese dal 1992 esistono stress e miseria cronici in seguito alle sanzioni e alle guerre, sarebbe logico che già nel 1995 ci fosse qualche aumento di queste malattie in Serbia. Anche se personalmente non ho fatto tali ricerche negli anni ’80, e anche se è vero che stress, fumo e povertà sono grandi fattori di rischio, nessuno mi può convincere che i nostri anni di sanzioni e guerre sono stati meno stressanti del ’99 per esempio…

Avete informato di questo l’opinione pubblica, le ONG, le istituzioni?

I nostri referti hanno suscitato la contrarietà dei rappresentanti internazionali, che hanno portato come principale argomento di opposizione il fatto che l’ospedale politicizzi la vicenda, e che il periodo delle eventuali conseguenze dovuto all’esposizione all’uranio impoverito sarebbe troppo breve per arrivare a tali conseguenze. Abbiamo cercato di nostra iniziativa degli incontri. Così, ad esempio, nel marzo 2001 ci hanno fatto visita 5 esperti dell’Organizzazione mondiale della Sanità di Ginevra, con cui in seguito abbiamo avuto un ulteriore incontro. Ci hanno richiesto tutti i nostri referti per poterli esaminare, ma fino ad oggi non abbiamo avuto più contatti con loro.

E riguardo alla collaborazione con i colleghi albanesi? Avete utilizzato anche le fonti provenienti dal Kosovo centro-meridionale?

Con loro ho contatti informali. Ho contatti privati con gli albanesi del villaggio della Metohija da cui provengo. Vengono da me con i bambini malati cercando consiglio sul da farsi. Mi hanno detto che lì nemmeno gli uccelli cantano più…

Tuttavia, per un’indagine seria, sono necessari anche i contatti ufficiali…

Personalmente non ne ho avuti, ma il corrispondente locale del quotidiano "Blic", dopo avermi intervistato nel 2005, ha continuato a indagare nella parte albanese, e da lui ho avuto l’informazione diretta – pubblicata poi dallo stesso "Blic" – secondo la quale allora, in un anno e mezzo, nell’ospedale di Pristina sono stati registrati 3500 casi di tumori maligni. Il direttore dell’Istituto di radiologia di Pristina, al tempo in costruzione, il dottor Džavit Bicaj, ha dichiarato allora al giornalista di "Blic" che c’erano motivi di credere che il numero reale fosse di molto maggiore, e che non escludevano le bombe all’uranio come causa della malattia.

Cosa mostrano i dati recenti?

Nel 2004 abbiamo avuto 215 pazienti affetti da tumore maligno, ma già l’anno successivo questo numero è aumentato del 38%. Negli anni 2006 – 2007 le percentuali sono analoghe. Ma i numeri non costituiscono il cuore del problema, bensì la disgrazia che colpisce da più punti di vista le famiglie e la società. Siamo tutti d’accordo nel pensare di essere una discarica. Per questo dico sempre: "Forza, gente, diamo una ripulita!". Perché qui ci viviamo tutti…

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