Il lavoro e i giovani dei Balcani occidentali: presente e futuro
Uno studio pubblicato a fine maggio dal Consiglio di cooperazione regionale (RCC) dimostra come resti ancora molto da fare nella regione riguardo all’occupazione giovanile
Il report “Study on Youth Employment in the Western Balkans “ pubblicato dal Consiglio di cooperazione regionale lo scorso maggio evidenzia una situazione preoccupante riguardo all’occupazione giovanile e femminile nei Balcani occidentali, complicata ancora di più dal Covid-19. In generale, la disoccupazione giovanile rimane alta in tutta la regione, ben lontana dalla media dell’Unione europea e con forti differenze di genere. A pagarne le spese sono soprattutto coloro che non hanno raggiunto un alto livello di istruzione. Nonostante, nell’ultimo periodo, i governi si siano attivati con politiche ad hoc, quali programmi volti a sostenere le assunzioni giovanili e le singole iniziative imprenditoriali, nonché opportunità di tirocinio per i laureati, il report sottolinea limiti e carenze di fondi.
Sempre alto resta il numero di NEETs, cioè di coloro che non studiano né lavorano nella regione: si stima che nel 2020 il 24.2% di giovani tra i 15 e i 24 anni rientrasse in questa categoria (il 37.7% in Kosovo). La media europea sarebbe dell’11.1%. Dati significativi se si aggiungono al fatto che in nessuno dei paesi dei Balcani occidentali il tasso di giovani occupati supera il 27%. I soggetti più svantaggiati rimangono le giovani donne, le quali spesso subiscono trattamenti discriminatori, hanno salari più bassi e non ricevono supporto nel bilanciare vita lavorativa e familiare: il divario di genere nel mondo del lavoro rimane al 13.2% nella regione, mentre nell’Unione europea è del 5.6%.
Insomma, nei Balcani occidentali pare non esserci un mercato del lavoro a misura dei giovani: l’imprenditorialità non viene abbastanza sostenuta e in assenza di politiche mirate, spopola il lavoro informale. La transizione dall’università al mondo del lavoro è inoltre difficile e ci possono volere anche anni per trovare un’occupazione: i giovani tendono quindi ad emigrare per trovare quelle possibilità che mancano in patria e per ottenere un lavoro in linea con le loro competenze. Inoltre, la dispersione scolastica non accenna a rallentare e resta un problema, soprattutto perché all’aumentare del livello educativo migliorano le opportunità in ambito lavorativo.
Il report analizza la situazione dell’occupazione anche per ogni singolo paese nell’area, dimostrando come la situazione generale si rifletta nelle realtà locali con alcune differenze. I dati dell’Albania, per esempio, confermano le tendenze regionali, con un tasso di disoccupazione giovanile che è risalito al 26.5% nel 2020, con l’avvento della pandemia, dopo due anni in cui aveva evidenziato una decrescita. L’Albania, inoltre, è lo stato con il secondo tasso di NEETs più alto nella regione e le politiche messe in atto fino ad ora per limitare il fenomeno non hanno funzionato. Una soluzione proposta nello studio è quella di partire da un tracciamento efficace dei giovani che non hanno un’occupazione, in modo da identificarli e coinvolgerli in politiche di inserimento nel mondo del lavoro.
Il quadro appare ancora più complicato in Bosnia Erzegovina, una società post-conflitto, dove la disoccupazione giovanile resta una delle sfide maggiori da affrontare e il numero di occupati con un livello di istruzione basso è minimo. Oltre a questo permane un forte divario di genere in ambito lavorativo. Nel 2020 la disoccupazione giovanile è stata pari al 36.6%. Le politiche messe in campo rimangono, purtroppo, ancora limitate: mancano di supporto e dei fondi necessari, senza considerare che sono difficili da implementare in un sistema politico alquanto frammentato in cui c’è poca comunicazione e collaborazione fra le varie componenti istituzionali.
Per quanto riguarda il Kosovo, i principali ostacoli all’occupazione giovanile sono la mancanza di opportunità ed esperienze lavorative, la debolezza del sistema educativo, la discrepanza tra le capacità richieste dal mondo del lavoro e quelle apprese durante il percorso scolastico e universitario e la scarsità di informazioni in merito agli impieghi disponibili. Analogamente agli altri paesi dei Balcani occidentali, anche il Kosovo si caratterizza per un alto tasso di disoccupazione giovanile e profonde differenze di genere nella partecipazione al mercato del lavoro. Inoltre, è importante sottolineare come il livello d’istruzione incida profondamente sulle possibilità di trovare un impiego: i giovani kosovari con un livello d’istruzione medio-basso, infatti, faticano di più. Un’altra criticità è la temporaneità di buona parte degli impieghi offerti ai giovani, il che li spinge ad una vita precaria. Il governo ha elaborato varie strategie per combattere la disoccupazione giovanile, tra cui la più rilevante è la creazione del programma “Garanzia giovani”, basandosi soprattutto sulle raccomandazioni dell’Unione europea. L’obiettivo è quello di evitare che i giovani siano ancora senza lavoro quattro mesi dopo aver terminato il proprio percorso scolastico o universitario, così da combattere quel senso di esclusione sociale che molti di loro provano.
In Montenegro, i principali ostacoli all’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro sono rappresentati dalla mancanza di lavori adeguati nel settore privato, di mentalità imprenditoriale, di competenze adeguate da parte dei giovani e di criteri equi per le assunzioni. Questi fattori spiegano la tendenza a preferire un impiego all’interno del settore pubblico, considerato più sicuro. Anche in questo caso, i tassi di disoccupazione giovanile tendono ad essere molto elevati e le disparità di genere si acuiscono tra coloro che possiedono un basso livello d’istruzione. Il governo montenegrino ha messo in campo poche politiche per combattere la disoccupazione giovanile che si sono peraltro rivelate inefficaci perché trascurano quasi sempre i gruppi più svantaggiati e i NEETs. Ne è un esempio il “Programme of Professional Training of Persons with Acquired High Education”, rivolto unicamente ai giovani che abbiano raggiunto l’istruzione terziaria. Come nel caso del Kosovo, secondo gli estensori dello studio, sarebbe molto utile la creazione di un programma “Garanzia giovani”.
In Macedonia del Nord si può osservare una diminuzione del tasso di disoccupazione giovanile negli ultimi anni, sebbene esso rimanga elevato e molti giovani si trovino tuttora in condizioni di disoccupazione di lungo periodo. Così come in Montenegro, le differenze di genere aumentano ad un basso livello d’istruzione. La precarietà dei lavori offerti ai giovani li sta inoltre rendendo ancora più vulnerabili agli effetti della crisi economica provocata dalla pandemia di COVID-19, tra cui il rischio di ritrovarsi in povertà. Un problema ingente è rappresentato dall’alto livello di emigrazione giovanile, che compromette il futuro sviluppo economico del paese. Anche in questo paese l’introduzione del programma “Garanzia giovani” ha sortito effetti positivi sull’occupazione giovanile, facendola aumentare, sebbene sia ancora necessario dedicare maggiore attenzione ai giovani che vivono in condizioni svantaggiate.
Infine la Serbia. Qui la disoccupazione giovanile è causata principalmente dalla generale mancanza di opportunità lavorative, dalla mancanza di supporto ai giovani imprenditori, dalla prevalenza di contratti precari, dalla scarsa offerta educativa e dalla mancanza di infrastrutture e materiali didattici adeguati per le scuole secondarie. Queste problematiche determinano una forte discrepanza tra le capacità richieste dal mondo del lavoro e quelle effettivamente acquisite dai giovani sui banchi di scuola, il che rende difficile per loro trovare un lavoro (anche per i laureati), a meno che non si servano di canali informali. Anche in questo caso il mercato del lavoro si caratterizza per le tre cifre fondamentali già osservate nei casi precedenti: alto tasso di disoccupazione, significative differenze di genere e predominanza di contratti temporanei che rendono il lavoro precario.