Il Karabakh accetta i colloqui di integrazione con l’Azerbaijan

Dopo vari tentativi negoziali per raggiungere un accordo di pace, due recenti incidenti con mine antiuomo hanno funto da casus belli per un’offensiva armata in Nagorno Karabakh. Grazie alla quale l’Azerbaijan sembra ora aver ripreso con la forza il controllo della regione separatista

20/09/2023, Onnik James Krikorian -

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Stepanakert 19 settembre 2023. Foto: Siranush Sargsyan (OC Media )

Il 19 settembre, in seguito alla morte di sette azerbaijani in due distinti incidenti con mine antiuomo che Baku sostiene siano state piazzate da gruppi di sabotaggio armeni, sono ripresi i combattimenti nel Caucaso meridionale. In quella che Baku ha definito una “operazione antit[]ismo” contro le forze separatiste di etnia armena in ciò che resta dell’ex Regione autonoma del Nagorno Karabakh (NKAO), alcuni sospettano che l’incidente sia stato semplicemente un pretesto per riprendere il controllo della regione.

Già da diverse settimane si temeva che l’Azerbaijan stesse accumulando truppe ed equipaggiamenti militari lungo la linea di contatto con il Karabakh, nonostante la presenza delle forze di pace russe. Il contingente era stato schierato come parte di un accordo di cessate il fuoco del novembre 2020 tra Armenia e Azerbaijan.

In effetti, nelle ultime settimane c’erano state anche serie preoccupazioni riguardo al vacillare dei distinti processi di pace paralleli per porre fine al conflitto, facilitati o mediati da Russia, Unione Europea e Stati Uniti. Un particolare ostacolo è stata l’incapacità delle parti di concordare qualsiasi meccanismo per discutere i diritti e la sicurezza della popolazione di etnia armena della regione contesa come parte dell’Azerbaijan vero e proprio.

Anche se l’Armenia ha riconosciuto questa probabilità, la leadership de facto del Karabakh aveva fatto più resistenza, nonostante fossero stati registrati alcuni progressi. Il 1° settembre, il suo presidente de facto si è dimesso, lasciando la scelta del successore all’assemblea nazionale piuttosto che al voto popolare, e il segretario di Stato americano Antony Blinken ha mediato un accordo per aprire corridoi per gli aiuti umanitari attraverso le regioni di Lachin e Aghdam in Azerbaijan.

Dal dicembre dello scorso anno, l’accesso alla regione è stato interrotto dall’Azerbaijan attraverso il corridoio Lachin, l’ancora di salvezza strategica tra Armenia e Karabakh prevista dalla dichiarazione di cessate il fuoco del 2020. Alla fine il 17 settembre, pur non senza resistenza da parte delle autorità de facto, due camion del Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) hanno utilizzato entrambe le strade , trasportando farina, medicinali e articoli igienici alla popolazione assediata.

Tuttavia, gli armeni del Karabakh rimangono preoccupati che la seconda strada, attraverso Aghdam, potrebbe effettivamente sancire la sovranità di Baku sulla regione e quindi segnare un altro passo nell’integrazione della popolazione prevalentemente di etnia armena nell’Azerbaijan vero e proprio.

Questo sembrava proprio essere per Baku l’obiettivo dell’operazione descritta come volta a “ripristinare l’ordine costituzionale”, alla luce anche degli ulteriori mancati incontri con i rappresentanti degli armeni del Karabakh per discutere della loro integrazione in Azerbaijan. Altri, tuttavia, ipotizzavano una pulizia etnica “morbida” della popolazione di etnia armena, in quanto molti sceglierebbero di andarsene piuttosto che rimanere in un’area che da tre decenni è fuori dal controllo di Baku.

Infatti, la sera del primo giorno di combattimenti, l’Azerbaijan ha annunciato di essere pronto ad accettare un’offerta di negoziato con i rappresentanti del Karabakh se tale incontro avesse avuto luogo in una zona sotto il suo controllo, vale a dire nella città di Yevlakh. Ed ha anche dettato l’agenda: il disarmo e lo scioglimento delle forze armate del Karabakh e l’integrazione della popolazione di etnia armena.

Al momento sono state segnalate 30 vittime (tra cui sette civili), dalla parte armena del Karabakh, e 138 feriti (tra cui 29 civili), anche se è probabile che il numero aumenti se i combattimenti dovessero continuare. Nel frattempo, temendo che i combattimenti potessero estendersi, il primo ministro armeno Nikol Pashinyan aveva dichiarato che le forze armate del suo paese non sarebbero intervenute a fianco degli armeni del Karabakh.

Yerevan, tuttavia, aveva lanciato un appello per un intervento della comunità internazionale, che è stata unita nel chiedere all’Azerbaijan di porre fine alla sua azione militare e di tornare al tavolo dei negoziati. Stati Uniti e Unione Europea hanno invitato espressamente Baku e gli armeni del Karabakh a sedersi finalmente ad un tavolo per negoziare una soluzione alla crisi. L’ultimo incontro, seppure a mediazione russa, era stato a marzo nella base del contingente di mantenimento della pace a Khojaly.

Nonostante la loro presenza sul posto, però, le forze di pace russe non sono intervenute, tanto che alcuni le accusano di collusione. Baku aveva comunque affermato che non avrebbe preso di mira la popolazione, mentre le forze di pace russe hanno scortato i civili e fornito loro cibo e riparo. Le preoccupazioni che la situazione potesse peggiorare, tuttavia, potrebbero essere state dissipate dall’annuncio del cessate il fuoco di oggi.

Secondo i termini dell’accordo diffuso dall’agenzia di informazione ufficiale, il Karabakh ha acconsentito al ritiro delle unità militari armene ancora presenti sul territorio sotto il controllo delle forze di pace russe, nonché al disarmo e allo scioglimento delle proprie forze armate.

Ancora più importante, i rappresentanti del Karabakh si incontreranno domani nella città azerbaijana di Yevlakh per discutere “della reintegrazione, della garanzia dei diritti e della sicurezza degli armeni del Nagorno Karabakh, nonché delle questioni relative alla garanzia di qualità di vita della popolazione del Nagorno Karabakh, all’interno della Costituzione dell’Azerbaijan”.

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