Il Glavašgate scuote la Croazia

E’ uno dei procedimenti giudiziari che più, nella storia della Croazia indipendente, ha messo a nudo la debolezza delle istituzioni. E’ il processo a Branimir Glavaš, ex generale dell’esercito, criminale di guerra. Nel giugno di quest’anno la condanna definitiva, ma la vicenda Glavaš non termina qui

06/09/2010, Drago Hedl - Osjek

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Glavašgate

La soap opera giudiziaria su Branimir Glavaš – che ha intrattenuto il pubblico croato per oltre cinque anni – non si concluderà nemmeno il giorno in cui finirà dietro alle sbarre, dopo essere già stato condannato in via definitiva per crimini di guerra. Come lui stesso ha dichiarato non molto tempo fa, la condanna a otto anni di reclusione la sconterà in Bosnia Erzegovina, dove è fuggito nel giugno dello scorso anno, poco prima della sentenza di condanna definitiva.

Il tribunale della contea di Zagabria aveva condannato in primo grado Glavaš, deputato del parlamento croato e generale dell’esercito, a 10 anni di carcere. All’inizio di giugno di quest’anno, l’Alta corte gli aveva ridotto la pena a otto anni che a breve avrebbe dovuto iniziare a scontare.

Quando è stata emessa la sentenza, il presidente della Repubblica Ivo Josipović gli ha tolto le decorazioni di guerra e ha annunciato la cancellazione del grado di generale dell’esercito croato. Il parlamento lo ha espulso dal più alto corpo di rappresentanza istituzionale del paese e infine ha cessato di conferirgli gli oltre 3000 euro di stipendio da deputato che riceveva regolarmente ogni mese. Nonostante questo, la storia di Glavaš non finisce qua.

La Croazia è infatti scossa da questo grave scandalo, che i media hanno già definito Glavašgate (in riferimento al noto Watergate), riguardante un presunto tentativo di corrompere i giudici dell’Alta corte per far sì che, nel ricorso in appello alla sentenza di primo grado, non venissero adottate misure sgradevoli all’ex generale.

La storia del tentativo di corruzione dei giudici dell’Alta corte è fondata su prove piuttosto solide. Lo stesso presidente dell’Alta corte, Branko Hrvatin, aveva denunciato un colloquio sospetto avuto con un imprenditore edile di Osijek – con cui, dice, si era incontrato casualmente – riguardo al processo Glavaš. Da tutto quello che l’imprenditore edile aveva detto al presidente dell’Alta corte era chiaro che conosceva dettagli del processo – che al tempo era passato all’esame del Consiglio giudicante dell’Alta corte – che non avrebbe dovuto conoscere, motivo per cui il presidente dell’Alta corte aveva denunciato il fatto.

Ma i servizi segreti – a quanto pare – erano già informati di tutto. Avevano seguito e intercettato alcune persone coinvolte nel tentativo di corrompere i giudici e avevano stretto il cerchio attorno ai due presunti attori principali dell’operazione, stretti collaboratori di Glavaš: due amici di lunga data, Sanja Marketić, redattrice del quotidiano locale “Glas Slavonije”, e Ivan Drmić, deputato al Parlamento croato e membro del partito di Glavaš.

Quando il tentativo di corrompere i giudici era già in fase conclusiva, e Drmić e Marketić avevano già consegnato i 70.000 euro raccolti per l’occasione, si recarono a sorpresa il 24 luglio scorso dalla polizia di Osijek, presentandosi come vittime di un racket. All’epoca avevano parlato con l’avvocato zagabrese Ante Madunić (uno dei tre difensori di Glavaš durante il processo) che – come i due affermano – li aveva consigliati di recarsi dalla polizia. Da quanto si sa fino ad ora non è ancora chiaro se li abbia consigliati l’avvocato, o se Marketić e Drmić abbiano inventato da soli la storia che hanno poi raccontato.

Le loro confessioni durano oltre sei ore e sono piene zeppe di contraddizioni, rivelazioni poco credibili e totalmente illogiche.

La giornalista Sanja Marketić ha raccontato di essere stata contattata telefonicamente da una persona sconosciuta che le aveva offerto di aiutarla al fine di ottenere un esito favorevole durante l’appello di Glavaš. Presto si incontrano, la persona si presenta come Srećko, la donna non ricorda nemmeno il cognome, e le parla di come alcuni giudici dell’Alta corte fossero consapevoli dell’ingiustizia commessa contro Glavaš, e che sarebbero stati inclini a cambiare idea ma per far ciò serviva innanzitutto una “logistica finanziaria”. Marketić nella conversazione include anche Drmić. Con Srećko si incontrano altre due volte a Zagabria, continuando a non sapere chi sia in realtà quell’uomo.

Ritornano a Osijek per raccogliere il denaro necessario e il giorno seguente vanno a Zagabria per la consegna. Si incontrano con Srećko, e Drmić si dirige fino all’automobile dell’uomo. Siede a fianco del guidatore ma – a causa dello shock – non ricorda la marca dell’auto, né il modello, né il colore e nemmeno la targa. Quando gli consegna il denaro e quando ritorna da Sanja Marketić entrambi si rendono conto di quello che hanno fatto e diventano consapevoli, secondo quanto hanno riferito alla polizia, del fatto che con la loro azione avrebbero potuto danneggiare Glavaš.

L’incredibile storia che Ivan Drmić e Sanja Marketić hanno raccontato alla polizia, presentandosi come vittime di racket, fa acqua da tutte le parti soprattutto per le numerose contraddizioni. Raccontano versioni differenti dell’accaduto, ma su una cosa importante sono d’accordo. Hanno consegnato 70.000 euro ad una persona che avrebbe dovuto con quel denaro corrompere i giudici dell’Alta corte.

Dopo che sui media sono filtrati molti dettagli – e dopo che lo stesso presidente dell’Alta corte, quando lo scandalo è finito in pasto all’opinione pubblica, ha riconosciuto di aver lui stesso denunciato il fatto, sospettando che avrebbe potuto succedere qualcosa di illegale – tutto pian piano è passato incredibilmente sotto silenzio. Nelle ultime settimane non c’è stato alcun fatto nuovo a riguardo, ma ciò che più sorprende è il silenzio della Procura di stato.

In Croazia sono state arrestate persone che hanno ricevuto o pagato anche solo mazzette di poche centinaia di euro. Qui invece – dalle deposizioni rilasciate alla polizia da Drmić e Marketić – si parla di 70.000 euro. A carico di questi ultimi esiste una descrizione dettagliata di come hanno raccolto il denaro e anche la confessione del fatto che quel denaro – necessario per aiutare Glavaš nel ricorso in appello – è stato consegnato. Ma né a Sanja Marketić né a Ivan Drmić dal 24 luglio, cioè da quando hanno riconosciuto il reato alla polizia cercando di presentarsi come vittime, è successo niente.

La magistratura croata è stata posta sotto esame varie volte durante il procedimento contro Glavaš. Quest’ultimo ha fatto vacillare seriamente lo stato di diritto quando con lo sciopero della fame era riuscito ad ottenere la libertà provvisoria. E infatti, durante la fase di processo per crimini di guerra a Osijek, come accusato principale si era difeso in libertà, mentre tutti gli altri accusati allo stesso processo si trovavano dietro le sbarre. Infine, dopo la sentenza, Glavaš è fuggito in Bosnia Erzegovina e fino alla condanna definitiva, 2 giugno 2010, quando la pena gli è stata ridotta a otto anni di carcere, ha goduto dello status di deputato parlamentare e di tutti i privilegi che ne conseguono, compreso anche un ulteriore compenso per il lavoro fuori sede (Glavaš è di Osijek e abitava a Zagabria per lavoro, ndt.)

A questo punto non sorprenderebbe così tanto se questo nuovo scandalo riguardante Glavaš avesse un esito impensabile in un paese democratico: cioè nessun esito. Il tentativo di corrompere i giudici dell’Alta corte assomiglia molto a quanto avvenne negli Stati uniti e che fece scatenare il Watergate. Ma lì si arrivò alle dimissioni del Presidente degli Stati uniti.

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