Il Festival di Roma premia le storie dai Balcani
Marc’Aurelio d’oro al film documentario "Tir" con l’attore sloveno Branko Završan, una vita a cavallo tra il Friuli e la Slovenia, mentre il premio speciale della giuria è andato al rumeno “Quod erat demostrandum” di Andrei Gruzsniczki, storia di spie e spiati nella Romania di Ceauşescu
Un singolare documentario con attore, coproduzione italo-croata con protagonista sloveno, ha vinto il Marc’Aurelio d’oro all’8° Festival del cinema di Roma. La giuria presieduta dal regista americano James Gray (“Little Odessa”, “Two Lovers”, “L’immigrata”) ha premiato “Tir”, del friulano Alberto Fasulo.
Esito abbastanza a sorpresa per il festival. I film che hanno ottenuto più consensi di pubblico e critica sono stati “Dallas Buyers Club” di Jean-Marc Vallée ed “Her” di Spike Jonze, a quali sono andati i premi di miglior attore e attrice, rispettivamente a Matthew McConaughey e Scarlett Johansson (presente solo con la voce). Per “Dallas Buyers Club”, commuovente storia di un malato di Aids, si è aggiunto il premio del pubblico.
Due paesi costantemente alla ribalta nei festival, come Romania e Turchia, hanno meritatamente ricevuto riconoscimenti importanti. Il premio speciale della giuria è andato all’ottimo “Quod erat demostrandum” di Andrei Gruzsniczki, mentre per la migliore sceneggiatura è stato premiato Tayfun Pirselimoglu per “I’m not him”.
Tir
“Tir”, il cui riconoscimento arriva a ridosso del Leone d’oro a Venezia a “Sacro Gra”, è stato girato tutto a bordo di un camion dopo quattro anni di ricerche, viaggi e scrittura, ed è forse ancora più riuscito e originale dell’opera di Gianfranco Rosi premiata al Lido.
L’attore sloveno Branko Završan è un ex professore di Fiume che fa il camionista per un’azienda friulana. Realtà e finzione si mescolano in un flusso unico di viaggi, conversazioni telefoniche con la moglie e il figlio, turni alla guida, soste e scherzi con un collega croato, lunghe attese per caricare o consegnare le merci, indicazioni assurde provenienti dall’azienda, scioperi improvvisi, altri autisti che non ce la fanno più e si licenziano. Il finale a scaricare maiali e pulirne il rimorchio implicitamente dice molto sulle condizioni di lavoro non solo dei camionisti.
Senza sottolineature inutili, senza spiegazioni, semplicemente la vita che scorre sulle strade e sposta merci. Un uomo che ha rinunciato al suo mestiere di insegnante per guadagnare di più e garantire un futuro migliore alla famiglia, ma si rende anche conto che i sacrifici non sono mai sufficienti. Završan (affermato autore teatrale, ma anche interprete di “No Man’s Land” e “Rosencratz e Guilderstein sono morti”) presta il suo volto, il suo corpo, a un viaggio e porta su di sé un’esperienza molto più simbolica della vita di un camionista: il viaggiare forzato, quasi telecomandato da altri, le corse (anche rischiose), le attese noiose, i carichi da effettuare ancora prima che vengano comunicati, la precarietà continua e anche il non capire bene cosa accada fuori dalla cabina, che contiene tutto ciò che può servire e che in fondo protegge.
Spie e spiati
“Quod erat demostrandum” è invece la storia, ambientata nel 1984, di un gruppo di matematici spiati dalla Securitate, una sorta di “La vita degli altri” alla romena. Sorin (Sorin Leoveanu) è un ambizioso e capace studioso che vive con la madre. Non iscritto al partito, e anzi estraneo alle sue logiche, vuole pubblicare un libro su una rivista americana senza chiedere l’autorizzazione alle autorità, entrando così nel mirino delle spie. Una sua vecchia amica, Elena (Ofelia Popii) è la moglie di un ricercatore recatosi in Francia con permesso e trattenutosi là. La donna vive con il figlio e il padre anziano e attende di poter raggiungere il marito.
Alecu (Florin Piersic Jr.) è un investigatore frustrato per non aver fatto la carriera cui aspirava e che viene messo a seguire entrambi. Lucian (Dorian Boguta) è un vecchio compagno di scuola di Sorin che fa la spia senza troppi problemi morali e beneficiando di tutti i vantaggi economici delle sue collaborazioni. Quest’ultimo, che sa del debole che Sorin ha sempre avuto verso Elena, finisce dentro il gioco di Alecu per stringere il cerchio.
Altro personaggio centrale è il funzionario di partito Brediceanu, dal quale dipendono i destini di tutti, pronto a espellere e condannare chiunque. Con uno stile piano e una progressione del racconto che non lascia spazi vuoti, Gruzsniczki ricostruisce un’epoca, anche grazie a un bianco e nero efficace, con una serie di dettagli che ne disegnano lo sfondo: le code di auto per rifornirsi di benzina, i ricorrenti blackout, i doppi apparecchi telefonici usati per ascoltare le conversazioni altrui. Trattandosi di un film di spie, non mancano i colpi di scena fino alla fine: gli spiati sono consapevoli di essere controllati e sanno mettere in scacco chi spia, a costo di rimetterci qualcosa. Il tema era già stato affrontato in “Roxanne”, esordio di Vali Hotea, presentato quest’estate al Festival di Locarno, nella categoria Cineasti del presente.
Infine CineMaxxi, quasi un festival dentro il festival che cerca di fare il punto sulle tendenze di un cinema che si contamina con altre arti, ha premiato il russo “Nepal Forever” di Aliona Polunina. Una commedia in forma di documentario con due dirigenti comunisti di San Pietroburgo preoccupati per le sorti del comunismo mondiale.