Il fascismo secondo Ivo Andrić
Esce in Italia la raccolta di scritti "Sul fascismo", realizzata dal Premio Nobel jugoslavo durante la sua permanenza come diplomatico nella Roma degli anni ’20. La presentazione del curatore dell’opera
Sono passati quattordici anni dal mio primo contatto con un editore italiano per convincerlo a pubblicare gli scritti sul fascismo di Ivo Andrić. Il vero problema non era Andrić, ero io, cioè un nessuno per le grandi case editrici di Milano, Torino, Roma, Bologna… Avevo già pubblicato alcuni libri in italiano ma senza gloria, né il giusto pedigree, così che a volte non meritavo neppure l’onore di una risposta. Ci voleva ben altro, però, per scoraggiare una testa balcanica. Dopo che un editore vicino al tacco della Penisola mi aveva chiesto volontariato “culturale” per trovare gratuitamente un traduttore, proposi infine il progetto Andrić Sul fascismo a Nuova Dimensione di Portogruaro , casa editrice parte di Ediciclo editore . Abbiamo così cominciato a pedalare verso questa edizione, tradotta dal serbo da Manuela Orazi e Dunja Badnjević, convinti che, insieme all’edizione de La donna sulla pietra (Zandonai, Rovereto 2011), questo sarà uno dei più validi e concreti contributi per celebrare il cinquantenario dell’assegnazione a Ivo Andrić del Premio Nobel per la letteratura.
L’eredità del Duce
In realtà, Andrić non mi lasciava in pace né nel periodo del crollo della Jugoslavia, né durante la guerra fratricida in Bosnia, né nel periodo postbellico, da molti definito “di transizione” (talmente lunga che ormai ha dei figli maggiorenni). I suoi legami con la cultura italiana, poi, rappresentavano per me un ulteriore motivo di interesse. All’inizio degli anni novanta mi attiravano di più i suoi scritti su D’Annunzio e Marinetti, scrittori e artisti che volevano servire l’ideologia fascista, esemplari del tradimento degli intellettuali nel Secolo Breve, e quelli su Mussolini. Il concetto, esplorato da Andrić, dell’unità assoluta tra il popolo, il fascismo e il suo duce si rivelava somigliante a quanto intuivo e poi trovavo confermato nell’”opera” dei padri dei nuovi Stati sorti dalle rovine della Jugoslavia di Tito, in primis Milošević e Tudjman. Dico somigliante perché la variante balcanica del populismo nazionalista e sciovinista era, sia nella sostanza che nelle sue sfumature, diversa dal fascismo italiano. Sia il “duce” serbo che quello croato, ormai scomparsi, hanno infatti lasciato in amanet (turchismo: eredità) alle rispettive società, non solo alla politica, soprattutto la voglia di potere.
Miroslav Karaulac
Quando ho chiesto a mia nipote, che a metà degli anni novanta studiava a Belgrado, di procurarmi le fotocopie degli scritti di Andrić pubblicati sulle riviste croate e serbe negli anni venti, non sapevo che Miroslav Karaulac (1932-2011), uno dei migliori conoscitori della vita e dell’opera di Andrić, aveva già pubblicato Radjanje fašisma (La nascita del fascismo, Vreme knjige editore, Belgrado 1995). Con molto coraggio, Karaulac e Vreme knjige avevano pubblicato in piena dominazione miloseviciana questa raccolta degli scritti di Ivo Andrić sul fascismo italiano. Nella sua brillante postfazione, Karaulac ripercorreva l’esperienza italiana di Andrić in un’epoca di cambiamenti caratterizzata dalla violenza, dall’anti-intellettualismo e dalla dittatura. La riflessione di Karaulac è molto chiara: in Italia il fascismo si è presentato nella sua forma originale, ma è possibile ovunque si apra una crisi sociale e politica, con tutte le variabili locali relative a nascita, sviluppo, fallimento e recidive. Quest’anno Karaulac è morto. Un volto onesto in meno a Belgrado e nell’intero mondo ex jugo.
Le stagioni della Storia
Perché Andrić sul fascismo? Quando assunse l’incarico diplomatico (come terzo segretario) presso l’Ambasciata del Regno di serbi, croati e sloveni presso il Vaticano (1920-1921), Ivo Andrić si trovò di fronte all’apertura di una nuova stagione della Storia.
Ex prigioniero delle carceri austriache, convinto jugoslavo, il giovane poeta cominciò a cercare a Roma gli indizi di quello stesso meccanismo storico che aveva prodotto le opere monumentali lasciate dalle civiltà che qui erano transitate. Roma, i suoi dintorni, le altre località italiane che visitò in seguito, erano per Andrić una grande rivelazione. Sul suo tavolo si trovavano le opere di Croce, De Sanctis, Machiavelli, Buonarroti, Guicciardini… E alla penna dello scrittore non sfuggì un fenomeno politico e sociale come quello della nascita e dello sviluppo del fascismo, che in una sua riflessione segnalerà come peste umana.
Gli ebrei di Sarajevo
L’edizione Nuova Dimensione di Sul fascismo di Andrić, a cura e con la postfazione di chi scrive, è la prima in Europa. Ho tolto dagli scritti di Andrić un saggio sul fascismo in Bulgaria, aggiungendone due sugli ebrei di Sarajevo: Un ricordo di Kalmi Baruh e Al cimitero ebraico di Sarajevo, entrambi del secondo dopoguerra. Il primo è del suo amico Kalmi Baruh, ispanologo, ebreo sefardita di Sarajevo vittima dello sterminio nazista; il secondo è frutto di una dolorosa passeggiata per i sentieri dell’antico cimitero ebraico della capitale bosniaca. Per quanto riguarda questi due scritti, non potevo limitarmi ad una presentazione fredda e accademica. Il destino dei sefarditi e degli ashkenaziti della Sarajevo occupata dallo Stato Indipendente di Croazia (NDH) è indissolubilmente legato all’immensa tragedia da loro patita in tutti i Paesi europei occupati dalle forze nazifasciste. I macabri disegni di eliminazione degli ebrei dall’Europa, le leggi razziali e la soluzione finale rivelano chiaramente l’essenza del nazismo e del fascismo che ne erano alla base. Poi, dal cimitero ebraico di Sarajevo, durante l’assedio, sparavano i cecchini (dei “miei” serbi bosniaci). Da quello stesso luogo attraverso il quale, appena finito l’assedio, cammina sulla neve il protagonista del bellissimo filmato Adios kerida di Vesna Ljubić.
Questi saggi trasmettono intatta l’originalità dello sguardo di Andrić sul fascismo e sulle sue conseguenze, un fenomeno che al tempo suscitò molte perplessità nelle cancellerie e nei parlamenti delle cosiddette vecchie democrazie e che oggi, a volte travestito da varie forme di populismo, conferma la sua preoccupante vitalità ideologica.