Balcani, Italia | | Unione europea
Il diario. Giorno 7. Novi Sad – Belgrado
Dopo una settimana di viaggio i partecipanti a "Danubio, l’Europa si incontra" sono arrivati a Belgrado. Domani l’apertura della conferenza programmata nella capitale della Serbia.
Ore 10
Belgrado: la fortezza di Kalemegdan, che in turco significa "campo di battaglia", veglia sulla confluenza di Danubio e Sava. E’ proprio là che il battello dell’Osservatorio è diretto per l’ultima fatica fluviale di questo viaggio iniziato ormai una settimana fa. Lasciamo Novi Sad a malincuore. Un ultimo sguardo al ponte di barche là in fondo, aperto soltanto durante la notte per consentire il passaggio delle chiatte che seguono la corrente del grande fiume, e poi di nuovo a bordo del Gyor, la nave battente bandiera ungherese che ci ha condotti fino qui. A destra e a sinistra gli altri due ponti, bersagli dei raid Nato nella primavera 1999 e oggi ricostruiti.
Ore 13
Ultime fotografie, ultime riprese video a documentare l’andamento dei giorni. Il paesaggio intorno è bellissimo, così come il tempo atmosferico. Il sole saluta il percorso del Gyor verso la nuova Europa. Da un lato, verso destra guardando a prua, la costa si increspa e si fa rocciosa, ricordando le pareti di un canyon in miniatura. Dall’altra la solita foresta che va a fare il bagno in Danubio, i soliti pescatori solitari sulle loro barche a remi, le casette di legno che sfidano la piena del fiume. La giornata di oggi è dedicata al trasferimento. Niente conferenze, niente seminari. I partecipanti, ormai una settantina, ne approfittano per scambiarsi gli indirizzi e le email, chiacchierano di questi ultimi giorni di viaggio. Il passaggio, violento, da Vukovar, luogo del silenzio, dove la "guerra dei dieci anni" ebbe inizio, a Novi Sad, città soltanto sfiorata dalle bombe umanitarie di quattro anni fa.
Ore 15
Kalemegdan, il "campo di battaglia", è proprio davanti a noi. Il Gyor si appoggia al molo: è la sua ultima fatica. Le bandiere colorate della pace e di Legambiente, il grande striscione dell’Osservatorio, sono subito ammainate. La festa è finita. Ma c’è chi rilancia: e se il prossimo anno il viaggio continuasse fino al mar Nero? Proposta azzardata, ma chissà che non si accetti la sfida. Ad accoglierci c’è una delegazione in costume tradizionale, montenegrino e serbo, un sorso di rakjia, un boccone di pane e sale. Un vivace quanto stonato ensemble di ottoni strombazza melodie balcaniche. Civic Initiative, partner dell’Osservatorio in terra serba, ha fatto un buon lavoro
Ore 23
Il Platò è un locale nel centro di Belgrado. Qui si ritrovano gli studenti dell’università – la facoltà di filosofia si trova a pochi passi – e ai tempi di Milosevic era il luogo del dissenso, degli intellettuali che osavano affrontare il regime. Eppure, mi spiegano, lui, il duce della grande Serbia, se ne fregava. Il potere si muoveva più in alto, a volte invisibile a volte, ma molto più raramente, violento.Sul palco, ricavato sopra l’ingresso della libreria annessa al Platò, c’è un gruppo che suona musica jazz, gli avventori chiacchierano all’aperto immersi in morbide poltrone rosse. Mi metto a sfogliare un libro: caricature di Milosevic. L’autore è un importante fumettista serbo. Il suo più grande estimatore? Proprio lui, Slobo.
Ore 24
Domani sarà un giorno intenso. Per la conferenza finale di venerdì e sabato l’appuntamento è al Sava Centar, ai margini di Novi Beograd, popoloso sobborgo della capitale serba.
Massimo Gnone – Osservatorio sui Balcani/Vita
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