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Il desiderio distruttivo di Limonov

Limonov non è un personaggio inventato, esiste. E’ stato teppista in Ucraina, idolo dell’underground sovietico, barbone e poi domestico di un miliardario a Manhattan, soldato nei Balcani e adesso – scrive Carrère – capo carismatico di un partito di giovani desperados. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

09/01/2014, Simone Malavolti -

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Sarebbe riduttivo definire il libro di Emmanuel Carrère una biografia di Eduard Savenko, in arte Limonov. E’ infatti un libro che riguarda tutti, una sorta di autobiografia collettiva che si costruisce seguendo le vicende personali di un uomo dai mille volti, ma sempre fedele a se stesso.

Savenkov-Limonov con le sue contraddizioni ci obbliga a fare i conti con la storia del ‘900 e soprattutto con quel passaggio epocale che è stato l’89 e gli anni ’90. Il protagonista ha una vita avventuriera fin dai primi passi: nato in una città sul Volga non lontana da Stalingrado proprio durante i giorni dell’assedio del ’42-’43, giovane teppista nel dopoguerra, scrittore, poeta, dissidente dandy, barbone, maggiordomo a New York, combattente “panslavista” nelle Krajine serbe, leader di un gruppo dei Nazbol, un interessante sincretismo tra nazismo e bolscevismo, e finalmente detenuto politico.

Limonov ricopre tutti questi ruoli a suo agio senza mai tradire la propria indole e i propri obbiettivi: il disprezzo e l’invidia per il successo altrui e il desiderio, distruttivo e autodistruttivo, di riscatto e celebrità.

Non è un libro sui Balcani, ma non ci sono dubbi che i due capitoli dedicati alla guerra in ex-Jugoslavia non possano lasciare indifferente nessun lettore: ci ricordano e ci fanno rivivere alcuni momenti inquietanti di quella guerra.

Limonov a cui tra i tanti ruoli ricoperti sino ad allora manca quello del mercenario o combattente panslavista, come avrebbe forse preferito dipingersi, non può perdere l’occasione di partecipare ad una delle guerre che meglio possono dare sfogo alla sua indole e al suo obbiettivo: il disprezzo per gli altri e la celebrità per sé.

Dopo aver visitato nel 1991 una Vukovar “liberata” Limonov si reca in Bosnia Erzegovina, dove la guerra si è ormai spostata. Non è un caso se si farà riprendere a fianco di Karadžić mentre spara su Sarajevo dalle colline intorno, per poi dichiarare bonariamente che stava solo sparando in aria e non contro persone. Basta una semplice ricerca su youtube per rivedere il video originale.

Ma se questa sua prima esperienza in Bosnia Erzegovina rimane puramente mediatica ed estemporanea, è con la sua partecipazione diretta alla guerra che si tocca con mano la crudezza e il cinismo del soldato Limonov quando chiederà ad alcuni increduli generali serbi di voler andare a combattere in prima linea in nome della fratellanza slava e contro l’avanzata dell’Islam in Europa.

Si tratta di uno dei momenti forse più intensi del libro anche se, come spiega Carrère, non esiste nessun documento, appunto o testo autobiografico che possa rivelare cosa abbia davvero fatto Limonov al fianco delle truppe serbo-bosniache delle Krajine. Dettaglio non secondario per un personaggio che ha fatto dell’egocentrismo il suo credo di vita, arrivando a raccontare nei suoi libri tutte le proprie esperienze non sempre lodevoli e a volte esplicitamente umilianti.

Rimane, quindi, una domanda aperta: perché il Limonov della realtà non ci racconta niente di questa esperienza evidentemente per lui così importante? Perché non si autocelebra come difensore della causa panslavista o semplicemente per aver infine realizzato il suo sogno: usare la violenza e non solo sognare di farlo? Azzardando una risposta, potremmo dire che in questo contesto Limonov, finalmente, non recita più uno dei suoi mille personaggi, ma tocca con mano, macchiandosi probabilmente anche di atti criminali e violenti, la realtà della violenza, realizzando che dietro ad una cortina di simbologie e personaggi a volte ridicoli ma spietati come Karadžić o Mladić, si nasconde la crudeltà della guerra.

Non si tratta più di pavoneggiarsi davanti alla videocamera come una star sbandierando una solidarietà panslavista perfetta per il pubblico sia dell’Europa occidentale che orientale, ma di vivere la guerra nella sua dimensione più cruda. Sarà anche per questo che Limonov non troverà né incoerente né problematica la sua fascinazione per l’Islam quando si sposterà, pochi anni dopo, nella Repubblica dell’Altaj.

Il libro si legge d’un fiato grazie all’abilità narrativa di Carrère che, ancora una volta dà prova del suo talento nel far rivivere personaggi mediocri e moralmente dubbi e nell’accompagnare il lettore alla sua scoperta senza fargli né sposare i principi né condividerne gli atti, ma allo stesso tempo facendogli rimettere in discussione la sua percezione del mondo e della storia.

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