Il contrabbando è di stato
Riprendiamo un articolo pubblicato dal quotidiano Il Manifesto a proposito dello "scandalo Djukanovic". Il pezzo è scritto da Tonino Perna, membro del comitato scientifico dell’Osservatorio.
La notizia è di quelle che fanno il giro del mondo: un capo di stato indagato per associazione mafiosa e organizzazione del contrabbando di sigarette. Secondo l’accusa della Dda di Bari il presidente Milo Djukanovic avrebbe promosso, organizzato e gestito, insieme alla Sacra Corona Unita ed alla camorra, un traffico di migliaia di tonnellate di sigarette tra il Montenegro è la costa pugliese. Conoscendo la qualità dello Stato federale Montenegrino, da molti osservatori definito come un modello di stato-mafioso, il contrabbando delle sigarette ci sembra essere, per citare Totò, una «quisquilia» di fronte a traffici ben più lucrativi che vanno dalla droga alle armi al traffico di esseri umani, ecc. Ma il contrabbando di sigarette ci riporta indietro nella storia, ci invita a riflettere sulla relazione tra commerci illegali e mercato mondiale, e risveglia ricordi sul decennio appena trascorso. Ho passato tre giorni e due notti al porto di Durazzo nell’ottobre 1992 per coordinare la confezione degli alimenti che servivano ad un primo intervento di emergenza nelle montagne del nord dell’Albania. In quell’autunno tempestoso un’alluvione aveva colpito duramente il distretto di Puka, lasciando la gente senza vivere e mezzi di sostentamento. Il direttore del porto di Durazzo ci offrì i magazzini per lo scarico delle merci, che venivano dall’Italia, ed il loro confezionamento in pacchi da 32 chili. Erano grandi magazzini completamente vuoti, dato lo stato comatoso dell’economia albanese nei primi anni della cosiddetta «transizione». Niente scambi, niente navi, era tutto come incollato ad un paesaggio surreale.
Ma, dentro questi spazi vuoti troneggiavano i poster della Marlboro. Sul pavimento decine di portacenere con il marchio della nota casa di sigarette, persino un tavolo consunto di legno portava il segno del passaggio delle merci di questa multinazionale. Così venne spontaneo chiedere al direttore del porto il perché di quella strana presenza. E lui non si fece pregare: «Dal 1985 abbiamo organizzato il traffico di sigarette Marlboro con l’Italia. Partivamo la notte e sapevamo dove e quando sbarcare la merce. Dall’altra parte ci attendevano gli italiani che avevano un buon rapporto con la polizia locale, per cui non abbiamo mai avuto un incidente di percorso». Alla mia domanda un po’ ingenua – come mai questo traffico poteva sfuggire ai severi controlli del regime di Ever Hoxha? – il direttore sorridendo mi rispose: «Ma era proprio lo stato che organizzava questi traffici. Faceva gli accordi con le grandi case di sigarette per ricavarne un po’ di valuta pregiata. Doveva stare attento nelle negoziazione del prezzo altrimenti… la Marlboro minacciava di andare a lavorare con gli stati vicini. Venivano da noi solo perché noi ci accontentavamo di poco. Anche oggi chi viene qui per affari lo fa per questo».
Questa storia mi è tornata più volte alla mente quando, nella prima metà degli anni `90, iniziò la tragica storia degli scafisti che portavano droga e disperati alla ricerca di un futuro migliore. Gli albanesi si erano in fondo adattati ai cambiamenti utilizzando un know how e relazioni sociali consolidate da tempo. Non si improvvisa, infatti, un traffico illegale. I rapporti della Sacra Corona con l’Albania erano preesistenti, come era stata già sperimentata con successo la neutralizzazione, a suon di vecchie lire, delle nostre forze dell’ordine.
Ma il rapporto tra lo stato ed il contrabbando non è una caratteristica dei paesi balcanici, né un’anomalia di questa fase di crescita dei commerci illegali. La storia dello sviluppo del capitalismo è segnata da importanti relazioni tra lo stato, magari democratico e di grandi tradizioni civiche, ed i traffici illegali. O meglio, è una storia con tre soggetti fondamentali: lo stato, i criminali e le grandi imprese capitalistiche. Tutti e tra concorrono a definire e sviluppare quel fenomeno noto come contrabbando.
Il caso più rilevante è quello della democratica e civilissima regina dei mari, l’Inghilterra, che si servì delle navi dei pirati e delle loro organizzazioni per penetrare nei mercati latino americani durante l’impero spagnolo. In particolare tra la fine del `600 e la metà del `700 le navi dei cosiddetti «corsari», che hanno ispirato tanta letteratura per i ragazzi ed acceso tante fantasie, erano semplicemente degli agenti di commercio che lavoravano per le manifatture inglesi penetrando nei territori spagnoli che Madrid aveva costretto ad un commercio monopolistico con la madrepatria. C’è una ricca letteratura su questo fenomeno che dimostra come l’Inghilterra riuscì a invadere i mercati latinoamericani nascenti, vendendo prodotti di scarso valore qualitativo, ma a prezzi che arrivavano ad 1/7 dei prezzi praticati dagli spagnoli. Il contrabbando era il mezzo fondamentale di questo flusso di esportazioni che servì per la crescita dell’economia del Regno Unito. D’altra parte questo paese, un secolo prima, era riuscito a sostituirsi a Venezia nel commercio con l’oriente che passava da Costantinopoli. Il trucco questa volta consisteva nel vendere delle stoffe con i marchi della repubblica veneziana, a prezzi inferiori, ai grandi commercianti che s’incontravano nelle fiere della capitale Ottomana. Insomma, una produzione antelitteram di marchi e griffe contraffatti, come quel che avviene oggi in Cina o a Napoli.
I personaggi dietro le quinte sono sempre gli stessi, anche se non sempre trovano un punto d’incontro tra i relativi interessi. Certamente il contrabbando non è scomparso con i processi di modernizzazione, ma si è esteso ad altri popoli ed altre culture e, soprattutto, si va intrecciando ai grandi interessi delle multinazionali. Pensiamo solo al contrabbando di semi geneticamente modificati che entrano illegalmente in quasi tutti i paesi del mondo. Pensiamo al contrabbando di testate ed apparecchiature nucleari. Un fenomeno gravissimo, oggi incentivato dallo smantellamento fasullo di testate nucleari nei paesi dell’est (vedi il mitico trattato di Pratica di mare) e di fatto promosso dallo smantellamento reale di questi stati divenuti un colabrodo per il passaggio di qualunque traffico illegale di merci.
Pensiamo ancora ai diamanti, il cui commercio clandestino, dall’Africa occidentale all’Europa, è sponsorizzato proprio dall’impresa leader del settore, De Beers, ed ha provocato centinaia di migliaia di morti e guerre infinite per il controllo. Fare entrare di contrabbando dei diamanti in Europa significa evitare spese doganali ed imposte che arrivano a rappresentare anche il 70% del prezzo finale di mercato. E che dire del contrabbando di organi, di feti, di ogni genere di essere vivente? Altro che sigarette, povero Djukanovic. Se è solo per questo che si è fatto prendere con le mani nel sacco, non va portato in carcere ma in un centro di riabilitazione mentale.
Tonino Perna