Il confine non c’è più
Abbattute le cabine di polizia e doganieri, via sbarre e segnaletica. Nella nottata tra ieri e oggi si è festeggiato l’ingresso della Slovenia nell’area Schengen. Un confine che svanisce, ma non sparisce. Si sposta a sud-est
Tra brindisi, sorrisi e tagli del nastro anche la Slovenia entra oggi solennemente nello spazio europeo di libera circolazione sancito dall’accordo di Schengen. Un fatto storico, un giorno di festa per gli Sloveni; con l’introduzione dell’euro – un anno fa – la caduta, o più precisamente lo spostamento a sud del confine esterno dell’UE, i cittadini della Slovenia possono finalmente usufruire di alcuni dei principali vantaggi dell’Europa integrata anche in termini meno astratti.
Abbattere un confine è sempre motivo di gioia, tantopiù se la frontiera che scompare è stata per decenni considerata una sorta di »cortina di ferro«, almeno sul piano ideologico, visto che su quello funzionale il confine tra Italia e Jugoslavia fu – dalla firma e l’entrata in vigore dell’ accordo di Udine sul piccolo traffico di frontiera alla fine degli anni 50 – un modello di permeabilità senza paragoni lungo gli altri confini dell’Est europeo.
Trieste, con la sua complessa e sofferta realtà storica, fatta anche di pregiudizi, nazionalismi e animosità antislovena, è ora di fronte ad una nuova appassionante sfida in cui dovrà sfoderare la sua pragmatica flessibilità ma anche riabilitare – senza provinciali sotterfugi – il suo tanto decantato talento cosmopolita.
Una prova difficile da superare per partiti come Alleanza Nazionale che ieri ha manifestato a Trieste, insieme all’ Unione degli Istriani (organizzazione degli esuli legata tradizionalmente alla destra), il suo dissenso per tanti festeggiamenti e per »la scarsa sensibilità« sui temi ancora non risolti dell’esodo istriano.
Ma Schengen – soprattutto in Istria – non è solo festa. Per un confine che crolla, uno – a soli dieci chilometri in linea d’aria più a sud – si irrigidisce. Sembra paradossale che a irrigidirsi sia una frontiera di stato tra popoli »fratelli«, uniti per più di 70 anni, e nata solo sedici anni fa, a seguito dell’ indipendenza di Slovenia e Croazia e della disintegrazione della Jugoslavia.
Il 25 giugno del 1991 non furono in pochi a brindare con spumante alla sbarra che tagliava in due la penisola istriana, una penisola multiculturale in cui veniva mozzata anche una comunità italiana dai connotati regionali specifici ora rimessi in gioco solo in funzione delle nuove realtà geopolitiche nell’area. E così, se gli sloveni hanno un valido motivo per festaggiare, i croati – e soprattutto i multiculturali istriani – difficilmente condividono la gioia dei loro »cugini« settentrionali.
Anche perché le autorità di Lubiana il regime di Schengen sono decise ad applicarlo con particolare zelo lungo i seicento e passa chilometri di frontiera con la Croazia. L’hanno lasciato intendere – oltre che con una legislazione particolarmente restrittiva in tema di immigrazione o di asilo politico – abbattendo – nel corso dei preparativi al nuovo regime di controllo- alcuni vecchi ponti con una lunga storia locale di convivenza e persino di vincoli famigliari sul fiume Sotla/Sutla, risparmiando invece quelli sul Kolpa/Kupa, dopo le proteste della popolazione locale e alcune interrogazioni dell’opposizione in parlamento. L’ accesso ai ponti residui, alcuni dei quali in verità pensili o quasi fatiscenti, ma con una forte carica simbolica ed emotiva per le genti di confine, è ora impedito da una serie di sbarre. La gente di confine spera che ad attutire il colpo di scure sia l’accordo di piccolo traffico di frontiera (SOPS) in vigore tra i due paesi vicini da alcuni anni. Questo accordo, predisposto sulla falsa riga dell’estinto accordo di Udine, agevola parzialmente la circolazione della popolazione locale. Ma non è stato facile tutelarlo dalle pressioni della burocrazia europea. E’ chiaro però che le iniziative frontaliere basate sulla libera circolazione tra Croazia e Slovenia verranno ora fortemente ridimensionate.
Inoltre il contenzioso territoriale lungo il confine con Zagabria non è concluso; alle spalle ci sono 16 anni di fastidiosi incidenti, potenzialmente sempre in procinto di riattivarsi, l’arbitrato internazionale o una soluzione alla Corte dell’ Aia, paventata dai premier Janez Janša e Ivo Sanader alcuni mesi fa, rimangono nel congelatore e ancor oggi non si capisce bene quale sia o sarà l’esatto percorso del confine esterno europeo tra Slovenia e Croazia.
Schengen potrebbe comunque avere un impatto positivo nel fissare una situazione di fatto che soprattutto Lubiana contesta nei negoziati, con particolare enfasi in Istria, dove qualcuno – anche tra i partiti di governo (ad esempio quello popolare SLS)- vorrebbe spostare l’attuale confine almeno di una ventina di chilometri più a sud. C’è poi l’inesistente confine di mare, dove il contenzioso si fa particolarmente aspro alla luce della zona ittico-ecologica dichiarata nel 2004 sulla metà orientale dell’ Adriatico dalla Croazia, zona congelata allora per i paesi dell’Ue su pressione di Italia e Slovenia, ma che dal primo gennaio dovrebbe entrare in vigore anche per questi due paesi dell’Ue. E’ probabile che si raggiunga un compromesso in extremis e la Croazia possa evitare così un fuoco di sbarramento italo-sloveno contro la sua adesione all’Ue.
La linea di Schengen quindi si trasferisce oggi a sud tra mille incognite, ma i festeggiamenti non amano i dubbi. Barroso arriva oggi a Škofije-Rabuiese sorridente per brindare con Janša e Amato ad un evento storico. Prodi e D’Alema invece non ci saranno. La caduta di un confine lo è, indubbiamente. Come lo è l’ ulterione innalzamento di quello recente a soli pochi chilometri dal primo.