Il caso Telekom, intervista con Andrea Ferrario
Una delle vicende più controverse che collegano l’Italia e la Serbia e che ad intermittenza occupa la scena mediatica italiana a causa della sua rilevanza politica e dei punti ancora da chiarire. Ne discutiamo con il direttore di Notizie Est
In merito alla vicenda legata all’acquisto di Telekom Srbija da parte della STET per conto della Telecom italiana nel 1997, abbiamo chiesto ad Andrea Ferrario, direttore di Notizie Est – Balcani, di chiarirci una questione aperta ormai da qualche anno. Notizie Est fu infatti una delle prime fonti di informazione sulla vicenda Telekom. I primi articoli pubblicati da Notizie Est risalgono all’inizio del 1998, ad un periodo quindi in cui solo la stampa d’oltre mare pubblicava notizie e indiscrezioni su un affare controverso come la vendita della Telekom. Dal momento che la questione in Italia è tornata alla ribalta, con evidenti connotazioni politiche, e Ferrario ha avuto modo di seguire in tutti questi anni la vicenda con diversi articoli e traduzioni di articoli della stampa balcanica, Osservatorio sui Balcani ha deciso pertanto di chiedere il punto di vista di chi ha avuto un occhio di riguardo per l’intera questione. Lo ha fatto mediante un’intervista curata da Luka Zanoni, riguardante la storia della vicenda, i risvolti politici e le differenti interpretazioni che ne sono state date.
OB: Chi visita il tuo sito si accorge che sin dall’inizio hai avuto un’attenzione particolare per la vendita della Telekom Srbija. Dal momento che l’OB non ne ha mai parlato, mi piacerebbe che tu riassumessi per punti salienti in cosa è consistita questa discussa operazione finanziaria?
Ferrario: Nel giugno del 1997 la STET International, società controllata da Telecom Italia, ha firmato il contratto per l’acquisto, in cordata con la greca OTE, di una quota del 49% di Telekom Srbija. In totale, per tale quota sono stati versati circa 1.500 miliardi di lire, 900 dei quali pagati da Telecom Italia e 600 da OTE. La Telekom Srbija è una delle più importanti aziende della Serbia e a quei tempi era controllata dallo stato. Nonostante la quota acquistata da Telecom Italia e OTE non fosse di maggioranza, una clausola del contratto riservava agli italiani una golden share, cioè un diritto di veto nelle decisioni, che conferiva a Telecom Italia il controllo di fatto dell’azienda. L’accordo, secretato subito dal governo di Belgrado, è stato frutto di negoziati condotti per alcuni mesi e svoltisi in un clima politicamente molto caldo per la Serbia, che era appena uscita dalle grandi proteste dell’inverno ’96-’97 contro i brogli elettorali del regime. Milosevic, grazie anche agli appoggi occidentali, ne era uscito alla fine vincitore. C’era poi la situazione perennemente irrisolta del Kosovo, che da lì a soli tre mesi avrebbe visto l’organizzazione di massicce manifestazioni di protesta contro le politiche repressive di Belgrado, manifestazioni poi seguite dalla prima azione organizzata dell’UCK. L’enorme quantità di fondi che è giunta nelle casse del regime di Milosevic, economicamente molto in difficoltà, ha quindi sicuramente avuto un peso politico ed è stato un segno di appoggio da parte dell’Italia. Negli anni a seguire la gestione italiana di Telekom Srbija si è dimostrata pessima. L’azienda ha continuato a sopravvivere senza alcuna prospettiva di sviluppo e senza investimenti che ne consentissero una ripresa. Subito dopo la caduta del regime di Milosevic, nell’ottobre 2000, sulla stampa serba hanno cominciato a comparire svariati articoli di denuncia dell’accordo, delle sue conseguenze negative e, soprattutto, degli oscuri retroscena politici. Nell’opera di denuncia hanno svolto un ruolo importante anche i sindacati serbi. Uno dei personaggi chiave dell’operazione Telekom, uno dei tanti intermediari, si è infine fatto avanti dando la propria disponibilità a parlare: si tratta di Dojcilo Maslovaric, ex ambasciatore jugoslavo in Vaticano ed ex amico della famiglia Milosevic. Nel febbraio 2001 tali denunce sono state riprese dal quotidiano ‘La Repubblica’, che ha condotto un’inchiesta con la quale è stato dimostrato che per l’acquisto delle quote erano state pagate delle tangenti. Ne è nato uno scandalo finito sulle prime pagine di tutti i giornali italiani, in seguito al quale la magistratura ha aperto un’indagine. Successivamente è stata creata anche una commissione parlamentare di inchiesta, che tuttavia ancora oggi non ha chiarito i retroscena politici dell’operazione. Infine, nel gennaio scorso, Telecom Italia è uscita da Telekom Srbija, rivendendo la propria quota allo stato serbo per un cifra decisamente inferiore a quella a cui la aveva acquistata, cioè per 195 milioni di euro.
OB: E’ evidente che le ragioni dello scandalo legato alla Telekom Srbija sono diverse per l’Italia e per la Serbia. In Italia l’intera questione assume una connotazione politica, uno scontro tra la sinistra e la destra italiana che coinvolge la magistratura e i grossi processi in corso nel nostro paese. D’altro canto invece la Serbia è interessata a vedere, non solo la questione delle supposte tangenti, ma l’appoggio del governo italiano, nella figura dell’allora ministro degli esteri Lamberto Dini, al regime di Milosevic. Vorresti chiarire questi due punti di vista?
Ferrario: In Italia c’è sempre stata scarsa considerazione per le conseguenze che l’operazione Telekom Srbija ha avuto in Serbia e l’interesse si è rivolto quasi esclusivamente alle ripercussioni sulla scena politica italiana. Non bisogna dimenticare in effetti che lo scandalo coinvolgeva, indirettamente, l’intero establishment politico di allora: presidente del consiglio era allora Romano Prodi (oggi presidente della Commissione Europea), ministro degli esteri Lamberto Dini (oggi impegnato nella redazione della costituzione UE), sottosegretario agli esteri Piero Fassino (oggi segretario DS), mentre alla guida del Ministero del Tesoro, che nel 1997 controllava Telecom Italia, c’era Carlo Azeglio Ciampi (oggi Presidente della Repubblica). Anche per questo la commissione parlamentare sulla Telekom Srbija è diventata uno strumento politico, che viene dispiegato pressoché regolarmente come ritorsione quando il governo Berlusconi è in difficoltà per qualche motivo. Il più delle volte tale strumento si è rivelato efficace nel mettere in imbarazzo alcuni dei protagonisti di allora. La destra fa un uso del tutto strumentale dello scandalo, un uso assolutamente ipocrita, visto che la sua politica internazionale, per non parlare della sua tradizione di corruzione, ha raggiunto livelli di gran lunga più bassi di quelli del centro-sinistra nei suoi recenti governi. Il centro-sinistra, da parte sua, fa finta di nulla riguardo a tutta la vicenda Telekom Srbija e i suoi esponenti, quando chiamati a risponderne, affermano di non averne mai saputo nulla. In Serbia invece la vicenda è sempre stata vista come la dimostrazione del sostegno dato dall’Italia al regime di Milosevic e come una prova del cinismo della diplomazia italiana. Anche le ricadute economiche negative sono state particolarmente evidenziate: i giornali serbi più critici hanno sempre citato la Telekom Srbija durante la gestione italiana come un esempio di sfruttamento di un importante settore economico nazionale da parte di un vicino invadente, per nulla interessato a mettere in atto una politica di rilancio o a migliorare le condizioni dei dipendenti.
OB: In un’intervista rilasciata da Lamberto Dini al Corriere della sera lo scorso 11 maggio, l’ex ministro degli esteri sostiene di essere giunto a conoscenza dell’acquisto solo dopo il giugno ’97. Dini insiste dicendo che: "Anche se il governo avesse saputo, all’inizio del ’97 non c’era alcuna ragione per la quale si sarebbe dovuto fermare una società italiana in procinto di acquistarne una serba. La questione del Kosovo, infatti, e scoppiata 18 mesi dopo. All’inizio del ’97, Milosevic era un interlocutore gradito all’Occidente: era un artefice dell’accordo di Dayton e anche gli Usa si sforzavano di aiutarlo". Non credo che tu sia d’accordo con queste affermazioni, in particolare con l’ignoranza degli accadimenti in Kosovo nel periodo indicato da Dini. Oltre tutto, i rapporti tra Dini e Milosevic mi sembrano piuttosto evidenti e documentati, anche da fotografie.
Ferrario: Dini continua a ripetere che non sapeva nulla dell’affare. Io rimango convinto che la sua sia un’affermazione che stupisce. Di norma le ambasciate italiane, che dipendono dal ministero degli esteri, sono informate preventivamente sugli affari che le grandi aziende del nostro paese compiono in loco. Nella maggior parte dei casi se ne fanno addirittura promotrici. Se comunque Dini non sapeva nulla, rimane il fatto che era un ministro davvero poco informato su sviluppi così importanti e questo non va certo a suo favore. D’altronde, anche oggi rilascia dichiarazioni che lasciano esterrefatti. Come è possibile affermare che la "questione del Kosovo", come la chiama Dini, è scoppiata 18 mesi dopo l’inizio del ’97? Le repressioni di Milosevic in Kosovo erano in atto già da quasi un decennio! E le nuove proteste, il conflitto armato, sarebbero scoppiati solo pochissimi mesi dopo. Come sono possibili tali imprecisioni da parte di una persona che ha avuto un ruolo così importante nella diplomazia italiana nei Balcani? Sul ruolo svolto da Dini in Serbia, comunque, basta citare alcune sue dichiarazioni rilasciate durante i quattro viaggi compiuti a Belgrado tra il 1996 e il 1997. Nel 1996, quando centinaia di migliaia di serbi sono scesi sulle piazze per protestare contro i brogli elettorali, l’ex ministro dichiarava che "la richiesta dell’opposizione di un riconoscimento dei risultati elettorali annullati dal governo non è realistica". Nel dicembre 1997, in piena campagna elettorale per le presidenziali serbe, Dini si faceva fotografare con Milosevic e il candidato socialista Milutinovic (entrambi oggi all’Aia) e auspicava un "intervento più massiccio del settore privato italiano industriale e bancario" in vista anche delle grandi privatizzazioni preannunciate dal governo. Mentre le forze serbe si preparavano agli imminenti massacri in Kosovo, Dini dichiarava a Belgrado che "i rapporti bilaterali tra i due paesi proseguono positivamente".
OB: Come hai precisato prima, la quota della Telekom Srbija di proprietà di Telecom Italia è stata recentemente rivenduta alla Serbia, per un ammontare che è pari circa alla metà del valore di acquisto iniziale. Credi che questa ulteriore manovra abbia a che vedere con il caos che suddetto acquisto ha suscitato in Italia? Per dirla in altri termini: ci si è voluti in qualche modo liberare della "gallina dalle uova d’oro" come venne chiamata a suo tempo, restituendola dopo che di uova ne aveva fatte ben poche e dopo che ne è nato un vero e proprio scandalo in Italia? A dire il vero Telekom ha dimostrato un discreto margine di utili proprio nel momento della vendita delle azioni di proprietà di Telecom Italia. Non trovi sia curioso che ‘la gallina’ sia stata venduta proprio nel momento in cui le uova le stava facendo?
Ferrario: Sulla questione mi affiderei ai commenti della stampa serba, che ha osservato come in Italia vi fosse il desiderio di chiudere un capitolo molto imbarazzante per Roma. In effetti l’operazione di rivendita è stata siglata tra Natale e Capodanno: sono stati molti quelli che hanno affermato che la scelta dei tempi non sia stata casuale ma scelta apposta per fare sì che la notizia avesse la minore eco possibile sui media. Ed è vero anche che Telekom comunque realizzava profitti. E’ tuttavia stato osservato, a ragione, che comunque Telecom Italia ha adottato da tempo una strategia che prevede la vendita delle proprie partecipazioni estere non essenziali, una mossa abbastanza logica vista la forte crisi del mercato mondiale delle telecomunicazioni. Gli ultimi recenti strascichi dello scandalo Telecom, inoltre, sono un’indicazione di come l’attuale governo Berlusconi non sia interessato per il momento a ‘nascondere sotto il tappeto’ lo scandalo, semmai il contrario.
OB: Da un po’ di tempo a questa parte ti sei occupato in modo particolare di economia, seguendo le privatizzazioni, i flussi economici, le borse dei Balcani, ecc. Hai visto in quest’ultimo anno in Serbia altre vicende controverse come lo è quella legata alla Telekom?
Ferrario: La vicenda Telekom appartiene a un’altra epoca, quella di Milosevic. Gli affari controversi continuano a essere all’ordine del giorno nei Balcani, ma segnalerei per la sua valenza politica un altro scandalo, quello della Jugoimport, uno scandalo direttamente legato al nuovo corso della politica mondiale e in particolare a quella statunitense. La Jugoimport è un colosso dell’economia serba, dedito all’import-export di armamenti. Ne hanno sempre fatto parte alti esponenti di governo, il suo consiglio di amministrazione attualmente è presieduto dal ministro degli interni Dusan Mihajlovic, fino a poco tempo fa ne faceva parte l’attuale premier Zivkovic. Nell’autunno scorso è scoppiato uno scandalo, in seguito alla documentata vendita di armi da parte della Jugoimport all’Iraq, in violazione dell’embargo ONU, fino all’estate del 2002. Il traffico illegale di armi era organizzato dalla stessa Jugoimport e dalla Orao, una società serbo-bosniaca. L’azienda serba ha una lunga esperienza di vendita in Iraq e in genere nel Medio Oriente. Su pressioni degli Stati Uniti, è stata creata una commissione di inchiesta su tale scandalo, commissione della quale facevano parte gli stessi Mihajlovic e Zivkovic, i quali naturalmente hanno insabbiato le indagini, limitandosi ad affermare che tali traffici di armi non si verificheranno più. In Bosnia invece la vicenda ha avuto strascichi fino al mese scorso e ha portato alle dimissioni di importanti militari e politici, tra i quali il rappresentante serbo nella presidenza collegiale bosniaca. Riguardo alla Serbia, il voltafaccia degli Stati Uniti è stato incredibile e solo un mese e mezzo dopo lo scandalo, in dicembre, il direttore della Jugoimport (tra l’altro, ex membro dei servizi segreti di Milosevic) si recava a Washington per firmare un accordo di collaborazione con gli USA. A fine marzo Powell si è recato in visita a Belgrado, in piena guerra, dichiarando il proprio entusiasmo per il governo di Zivkovic, diventato nel frattempo premier. Dopo alcune settimane sono stati firmati svariati accordi economici e, soprattutto, Bush in persona ha emesso un decreto in base al quale gli Stati Uniti potranno riprendere le vendite di armi alla Serbia, considerato paese amico e importante per gli interessi nazionali degli USA. Infine è giunta la notizia più clamorosa: sarà la Jugoimport a coordinare le aziende serbe che parteciperanno alla ricostruzione in Iraq! Si tratta di un’altra vicenda che dimostra chiaramente il nesso costante tra grandi affari (anche illeciti) e politica internazionale.
– Alcuni articoli di approfondimento pubblicati da Notizie Est (ordine cronologico crescente):
– Un asse Roma-Belgrado?
– Telekom: la gallina dalle uova d’oro in un cortile straniero
– Linee bollenti
– Telekom Srbija: giochi dietro le quinte
– Telekom Srbija: tangente da 78 milioni di DM
– Telekom Srbija: un’eredità di debiti, indagini e sospetti
– Zivkovic, la Jugoimport e i traffici d’armi con l’Iraq