Il caso di Peter Nikitin: un avvertimento alla società civile in Serbia?

Le autorità serbe hanno finalmente consentito l’ingresso nel Paese a un attivista russo residente in Serbia a cui era stato precedentemente negato l’ingresso ed era rimasto bloccato all’aeroporto di Belgrado. Peter Nikitin aveva organizzato diverse proteste contro l’aggressione russa in Ucraina

20/07/2023, Massimo Moratti - Belgrado

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Belgrado, marcia di solidarietà con l'Ucraina -  Foto di Massimo Moratti

Ha fatto indignare molti la vicenda di Peter Nikitin, attivista russo per la pace bloccato all’aeroporto di Belgrado la settimana scorsa. Per fortuna, la vicenda ha avuto un lieto fine, dato che Nikitin è stato rilasciato e gli è stato consentito di entrare in Serbia. Ma si è trattato di un altro momento in cui il governo serbo ha mandato segnali molto preoccupanti.

L’attivismo contro l’aggressione russa

L'attivista Peter Nikitin

La protesta dell’attivista Peter Nikitin
Foto di Massimo Moratti

Peter Nikitin è un attivista russo. Oltre alla cittadinanza russa ha anche quella olandese e vive a Belgrado da oltre sette anni dove ha moglie e due figli. Dal punto di vista legale in virtù del suo matrimonio ha diritto a risiedere in forma permanente in Serbia. Nikitin è il fondatore della Società Democratica Russa a Belgrado , creata nel 2022. A partire da febbraio 2022, il gruppo di Russi, Bielorussi, Ucraini e Serbi contro la guerra ha regolarmente condotto manifestazioni a favore della pace e di condanna dell’aggressione russa nei confronti dell’Ucraina. Il gruppo, che conta alcune centinaia di persone, non ha avuto mezze parole nel condannare l’operato del governo russo e a chiedere il ritiro delle truppe russe. Peter ne è uno degli esponenti principali e si è finora sempre esposto in prima persona nel condannare l’operato del Cremlino.

Il fermo all’aeroporto

L’attivismo di Nikitin fino a pochi giorni fa non gli aveva creato problemi, ma nella notte di mercoledì 12 luglio, la situazione ha preso una piega decisamente drammatica.

Quella sera infatti Peter stava rientrando dal Portogallo dove era in visita alla madre. Una volta atterrato a Belgrado, è stato trattenuto per circa tre ore dalla polizia di frontiera e poi gli è stato notificato il divieto di ingresso in Serbia e l’ordine di prendere il primo aereo disponibile per Francoforte.

L’ordine gli è stato comunicato dalla polizia di frontiera che gli ha fatto presente che nei suoi confronti la BIA (Bezbednosno-informativna agencija, Agenzia per la Sicurezza e l’informazione) aveva deciso di negargli l’ingresso in Serbia e che tale ordine veniva “dall’alto”, secondo quanto riferito da Nikitin. Il divieto di ingresso nel paese era appunto dovuto al fatto che nei suoi confronti era in vigore un… divieto d’ingresso nel paese. Secondo le parole di Nikitin, questa tautologica spiegazione era contenuta nell’ordine stesso della BIA.

Nikitin ha fatto sapere che non aveva nessuna intenzione di prendere uno volo per Francoforte e che non aveva motivo di andare in Germania, dato che era stato solamente un paese di transito. La sera di mercoledì si è quindi sistemato su una delle panchine dell’aeroporto e vi ha passato la notte. Il giorno dopo lo ha trascorso in attesa di sviluppi nella situazione, che però non sono giunti e quindi Nikitin ha deciso di trascorrere la seconda notte sulle panchine della zona passaporti, riuscendo anche a riposare alcune ore. Alle sei del mattino di venerdì 14 però è stato svegliato dalla polizia che lo ha invitato di nuovo ad imbarcarsi per Francoforte, cosa che Nikitin ha rifiutato dichiarando l’intenzione di rimanere nella zona passaporti dell’aeroporto, a meno che le autorità serbe non volessero deportarlo a forza. In un’intervista per la televisione N1, Nikitin aveva spiegato che lui aveva un permesso di soggiorno della durata illimitata in Serbia e che tale permesso di soggiorno poteva esser revocato solamente in seguito a crimini particolarmente gravi e alla fine di un procedimento corredato di tutte le garanzie di legge.

Il lieto fine

La permanenza forzata di Nikitin all’aeroporto non è passata inosservata a Belgrado. Sia all’interno del gruppo di attivisti contro la guerra che all’interno di altre organizzazioni della società civile e politica la notizia ha destato parecchio scalpore e subito sono arrivate offerte di aiuto sia in termini di aiuto materiale che e soprattutto per quanto riguarda l’assistenza legale e il Belgrade Center for Human Rights si è detto pronto a rivolgersi ad istituzioni internazionali per questo caso. L’avvocato e amico di Nikitin, Čedomir Stojković ne ha immediatamente preso le difese , organizzando anche delle proteste perché potesse entrare nel paese. La stessa ambasciata olandese aveva fatto sapere che stava seguendo la vicenda proprio perché Nikitin era anche cittadino olandese.

Alla fine, nel corso di venerdì 14, senza alcuna spiegazione ufficiale, Nikitin ha potuto entrare in Serbia e ritornare a casa . Non sono state fornite spiegazioni su come ciò sia avvenuto, resta il fatto che l’episodio certamente non contribuisce a migliorare l’immagine della Serbia come ha avuto modo di commentare l’avvocato Rodoljub Šabić, ex garante per la privacy in Serbia.

La reazione delle autorità serbe e sanzioni americane

L’unico commento sulla vicenda da parte delle autorità serbe è stato fatto dal ministro degli Esteri Dačić che ha riferito che le autorità competenti possono negare l’ingresso nel paese a qualsiasi persona per ragioni di sicurezza e non sono tenute a fornire informazioni in merito. Il ministro ha inoltre detto di non avere informazioni sul fatto che i Paesi Bassi o qualsiasi altro paese possano esser intervenuti sul caso. Il ministero degli Interni ha declinato ogni commento e come è prassi la BIA si è anche astenuta da ogni dichiarazione pubblica.

La BIA viene percepita da molti in Serbia come un’agenzia che ha legami molto stretti con il Cremlino e che spesso agisce in accordo con i servizi russi: numerosi agenti dell’intelligence russa, espulsi dai paesi UE in tempi recenti sono stati inviati in Serbia e la cosa non ha creato eccessivo nervosismo in Serbia, come ha osservato Andrei Soldatov del Centre for European Policy Analysis. Si ritiene inoltre che gli oppositori russi presenti in Serbia siano stati fatti oggetto di intercettazioni e che queste siano poi state trasmesse all’intelligence russa. Queste intercettazioni sarebbero poi state usate come prove contro Vladimir Kara-Murza, uno degli oppositori russi che di recente è stato condannato a 25 anni di carcere. Le autorità serbe hanno sempre negato ogni coinvolgimento in merito .

Lo stesso direttore della BIA, Aleksandar Vulin, solo un giorno prima del fermo di Nikitin è stato fatto oggetto di sanzioni da parte degli Stati Uniti per aver mantenuto contatti con il trafficante di armi Slobodan Tešić e per aver facilitato trasferimenti illeciti di armi attraverso i confini serbi. Vulin viene anche collegato al traffico illegale di stupefacenti. A questo provvedimento ha risposto il presidente Vučić che ha detto che in realtà Vulin è stato sanzionato principalmente per i suoi legami con la Russia .

In questo contesto, il fermo di Peter Nikitin potrebbe esser stato una sorta di ritorsione da parte dei servizi serbi per le sanzioni imposte a Vulin.

Certamente questo episodio preoccupa notevolmente gli attivisti che protestano contro l’aggressione russa in Ucraina e la stessa società civile in Serbia. Nikitin ritiene infatti che il governo serbo in questo caso abbia seguito le istruzioni del Cremlino e che il motivo per cui gli è stato negato l’ingresso sia stato il fatto che aveva organizzato proteste contro l’aggressione russa.

In realtà, le due possibilità, ritorsione per le sanzioni o avvertimento alla società civile, non si escludono, ma anzi si rafforzano a vicenda e l’operato dei servizi di sicurezza serbi in questo caso manda dei segnali estremamente preoccupanti.

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