Il bambino e i lupi

Ničije dete – Il figlio di nessuno – film d’esordio del regista serbo Vuk Ršumović. Un bambino cresciuto coi lupi, e mandato in guerra dagli umani. Vincitore della Settimana internazionale della critica alla Mostra del cinema di Venezia, uscirà nelle sale in primavera. Una recensione

13/01/2015, Mauro Cereghini -

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Un fotogramma tratto da Ničije dete (Il figlio di nessuno) di Vuk Ršumović

"Come ti chiami?" è la domanda più semplice da fare ad un bambino. "Come ti chiami" è la domanda più difficile a cui rispondere, nella Bosnia Erzegovina in guerra del 1992. "Come ti chiami" è la tua identità, ma per Haris – il protagonista del bel film Ničije dete (Il figlio di nessuno) di Vuk Ršumović – non è facile riconoscere la propria. E’ cresciuto nei boschi, insieme ai lupi, e il nome gli è stato dato a caso all’anagrafe quando gli umani lo hanno ripreso tra loro. Nel film seguiamo il suo lento e difficile ritorno alla civiltà, insieme agli altri bambini abbandonati nell’orfanotrofio di Belgrado. Interrotto però d’improvviso da altri umani, che tornano con la loro domanda: "Come ti chiami?". Haris è rispedito nei boschi bosniaci, a combattere con chi ha nomi simili al suo. E lì, richiamato dalla sua prima – si può dire vera? – identità silvestre, farà la sua scelta.

La storia si ispira ad un fatto realmente accaduto, il ritrovamento di un bambino cresciuto da un branco di lupi. E lo intreccia con la vicenda tragica della guerra in Bosnia Erzegovina, offrendo diversi spunti e piani di lettura. Anzitutto la metafora sulla bestialità della guerra, che riporta ciascuno ai propri primordi. Ma anche sull’illusione "jugoslava", rappresentata dal microcosmo dell’orfanotrofio impegnato a (ri)educare i nuovi cittadini, con tanto di regolare fazzoletto da pioniere, mentre alla fine degli anni ottanta il mondo attorno crolla.

E’ però ugualmente poetico il piano più intimo del film, quello che guarda alla rinascita personale di Haris ed ai sentimenti che, da essere un lupo solitario, pian piano lo portano a vivere, seppur sempre con diffidenza, insieme alle altre persone. Una soprattutto, Žika, che lo accetta per com’è e lo difende dal branco degli altri ragazzini, pronti a fargli pagare la sua diversità. Anche Žika tuttavia ha un sogno, tornare dal padre-padrone che l’ha abbandonato. Per quello non esita a partire, rompendo l’amicizia e mostrando tutta la crudeltà cresciuta in lui dalla sofferenza. Quando il sogno torna incubo e inghiotte l’amico Žika, sarà Haris a vegliarne il cadavere in un misto di tristezza umana e guaiti animali.

Ničije dete è un film duro, parla di bambini usando anche la poesia ma il realismo che lo pervade tiene lontane le espressioni zuccherine. Tutto è tra le righe, la storia è forte ma senza lirismi o facili emozioni. Il destino dei bambini è segnato: lo sguardo benevolo del regista ce li rende vicini, ma per loro non c’è nessuna salvezza magica. Così la fidanzatina di Žika finisce a fare l’intrattenitrice in un locale notturno, mentre il loro educatore idealista si arrende alla burocrazia del fallimento. E’ grigio caldo il colore del film, con le atmosfere di una Belgrado di periferia e di un’istituzione totalizzante come l’orfanotrofio, che potrebbe stare in qualsiasi est degradato. All’inizio e alla fine irrompono i boschi, pure quelli però freddi e chiusi dal fitto dei rami. Manca l’orizzonte del cielo, nella vita di quei ragazzi come nella Jugoslavia di quegli anni.

Il finale è aperto, il lupo ritorna ma la scelta di Haris è libera di essere interpretata. Anche il piccolo Malik di Papà… è in viaggio d’affari chiudeva il celebre film di Kusturica in modo ambiguo. Lì però c’era un sorriso sul volto, e forse la speranza di cambiare quel paese grigio che si era inghiottito suo padre. Ora invece c’è un viso che non sa mostrare espressioni, e un orizzonte fatto solo di neve e fango. Un film sui giovani d’oggi, e forse sui Balcani d’oggi. Un film da vedere.

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