Identità, lingua e territorio: bilinguismo a Fiume

Ieri nella città vecchia di Fiume sono state affisse le prime targhe riportanti gli odonimi storici di alcune piazze e vie. L’iniziativa è stata promossa nell’ambito del progetto che vedrà la città Capitale Europea della cultura nel 2020. In molti hanno rievocato i tempi in cui croato e italiano convivevano fianco a fianco in città: ma come venne introdotto e poi superato il bilinguismo visivo nella Fiume del dopoguerra?

14/05/2019, Marco Abram -

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Fiume in una foto d'epoca, in rosso evidenziate le doppie targhe

Fino alla Seconda guerra mondiale, l’Italia fascista impose a Fiume l’utilizzo esclusivo dell’italiano; mentre dalla metà degli anni Cinquanta del XX secolo nelle vie cittadine rimase sostanzialmente solo la lingua croata. Nel mezzo, in una finestra di tempo ampia più o meno un decennio, il centro quarnerino conobbe l’applicazione del bilinguismo visivo.

Nei mesi successivi all’ingresso in città delle truppe jugoslave, avvenuto nel maggio del 1945, il cosiddetto paesaggio linguistico – ovvero l’insieme dei segni linguistici visibili sul territorio – appariva in realtà piuttosto confuso. A Fiume si incontravano ancora i resti delle scritte murali italiane di epoca fascista, che venivano solo gradualmente rimosse. Erano però state introdotte anche numerose iscrizioni che organizzavano la nuova vita sociale ed esprimevano i suoi valori di riferimento: in croato, riportando in città una lingua cancellata negli anni precedenti e necessaria per chi arrivava dal resto della federazione jugoslava; ma anche in italiano, a beneficio della popolazione italiana che non aveva lasciato la città.

Dal punto di vista ideologico l’impostazione risultava chiara: “Fratellanza e unità” tra i popoli e riconoscimento della cultura nazionale di tutte le comunità della nuova federazione. Non mancavano tuttavia problemi e mancanze, lamentele per []i o imprecisioni in entrambe le lingue, casi di monolinguismo ma anche di esplicita gerarchia tra gli idiomi. In termini generali, la lingua italiana faticava più di quella croata.

Nel 1948, tuttavia, la presidenza del governo croato divulgò un’ordinanza volta a regolamentare la questione e a garantire l’impiego dell’italiano. Dentro gli organi del potere popolare si spinse sempre di più in questa direzione. Il dibattito trovò anche una dimensione pubblica: La voce del popolo, il quotidiano cittadino in lingua italiana, lanciò una vera e propria campagna di segnalazione e critica degli []i nell’implementazione del bilinguismo visivo, riportando lamentele e immagini di targhe non conformi. Quando la targa del “Comitato popolare della città di Fiume” in croato venne rimpiazzata con una bilingue, Eros Sequi – intellettuale di riferimento della minoranza italiana all’epoca – non rinunciò a criticare sulle pagine del giornale la mancata accentazione della parola “città”, ironizzando poi con un "eh via, neanche [i fiumani] fossero fiorentini".

La denominazioni di vie e piazze diventò un indicatore fondamentale dell’implementazione del bilinguismo visivo. Le targhe erano in italiano e croato soprattutto nella parte centrale della città. Facevano eccezione la città vecchia – in quanto si prevedeva una sua totale riqualificazione urbanistica –  e l’abitato di Sušak – considerato compattamente croato o jugoslavo. All’epoca poi, erano soprattutto le targhe commemorative e i monumenti che celebravano la lotta partigiana e l’autogestione a rappresentare dei manifesti del bilinguismo fiumano. Ancora oggi costituiscono in città la testimonianza più evidente di quegli anni.

Esisteva tuttavia un’ambiguità di fondo: Fiume nel dopoguerra era entrata a far parte della Repubblica popolare di Croazia. Le ipotesi di una possibile autonomia erano state rapidamente superate e non esisteva un riconoscimento amministrativo della specificità multiculturale di quel territorio. Era stata quindi in sostanza riconosciuta un’interpretazione “non territoriale” dei diritti nazionali della minoranza. Nella situazione data, la promozione del bilinguismo visivo rappresentava uno strumento per forzare tale impostazione e marcare il legame tra la comunità italiana e la città.

Nel maggio del 1952 in piazza Tito, nel punto dove era corso il confine tra Fiume (Italia) e Sušak (Jugoslavia), venne inaugurato un monumento di ridotte dimensioni, ma di grande importanza. La targa ricordava le parole pronunciate dal Maresciallo in occasione della sua prima visita in città nel dopoguerra. Nonostante le discussioni e i ripensamenti, il testo venne riportato solo in lingua croata: fu il segnale che i tempi stavano cambiando. Gli italiani in città erano diminuiti drasticamente e la forte insistenza sul multinazionalismo che aveva caratterizzato la linea del Partito nella “nuova Jugoslavia” si stava ridimensionando: nella società socialista autogestita le differenze nazionali si sarebbero comunque affievolite. Ciò che pesò maggiormente fu tuttavia l’acuirsi della crisi di Trieste e la crescente contesa territoriale tra Jugoslavia e Italia.

Il cambio di paradigma si poggiò proprio sull’ambiguità dell’appartenenza territoriale del centro quarnerino. Alzò sempre più la voce chi sosteneva che Fiume era parte della Repubblica popolare di Croazia e che doveva apparire come una “città croata”. L’uso dell’italiano avrebbe dovuto essere limitato alle attività che riguardavano la vita culturale della minoranza: il teatro, le scuole, il giornale e le altre pubblicazioni.

Nelle mutate condizioni politiche e sociali, tale posizione cominciò ad affermarsi nello stesso Partito. Anche i comunisti italiani si dividevano lungo la faglia di un confronto che affondava le proprie radici nella storia del rapporto tra socialismo e identità nazionali. Una parte, ricordando Lenin, sosteneva il valore politico del diritto all’autodeterminazione: i comunisti italiani devono difendere l’“italianità”, possibilmente anche nella sua dimensione territoriale. L’altra fazione era meno convinta di tale necessità e vedeva contaminazione e integrazione come processi non problematici in una società socialista: "Non saremmo marxisti se non la pensassimo così".

Nell’autunno del 1953 Jugoslavia e Italia arrivarono ad un passo dal confronto militare. Ampie dimostrazioni si alternarono a Trieste e nelle città jugoslave. L’8 ottobre, a Belgrado, la tensione salì ben oltre i limiti previsti dal Partito stesso: vennero attaccate dalla folla le ambasciate americana e inglese. Nello stesso giorno, anche a Fiume si registrarono manifestazioni che portarono migliaia di persone in piazza. Negli ultimi anni, si è consolidata una narrazione univoca rispetto ai fatti di quel giorno: si racconta che un piano organizzato avrebbe portato alla distruzione di “tutte le insegne bilingue, di migliaia di insegne”, come in una “Notte dei cristalli” fiumana. Al di là di un parallelismo poco utile alla comprensione dei fatti, si tratta di una ricostruzione che le fonti dell’epoca confermano solo in parte.

L’attacco ai simboli del bilinguismo, come ricordato anche dalle testimonianze, quella notte ci fu. Secondo quanto registrato nei giorni successivi, fu portato da gruppi di giovani che infransero alcune targhe – tra cui quella del Circolo italiano di cultura, dal forte valore simbolico – e che coprirono altre scritte in italiano con la calce. Ciò che è certo è che gli organi locali del Partito reagirono con preoccupazione, nelle riunioni interne venne condannata la violenza dell’episodio e si parlò di aggiustare il danno. Qualcuno puntò il dito contro l’intellighenzia nazionalista croata presente in città. Ma vi fu tuttavia anche chi sottolineò che in fondo i diritti della minoranza non dovevano essere espressi attraverso targhe in doppia lingua. Le decisioni seguenti confermarono l’affermazione di questa linea.

Il processo di scomparsa del bilinguismo fu tuttavia graduale e durò diversi mesi. Come testimoniato dalla documentazione fotografica , nel 1954 si trovavano ancora nel centro cittadino negozi con l’insegna in entrambe le lingue. Gli accordi che portarono alla soluzione della questione di Trieste legittimarono indirettamente il cambio di politica anche dal punto di vista dei rapporti con l’Italia. Il Memorandum di Londra  fissò a «un quarto» la presenza percentuale della popolazione di minoranza necessaria a rendere obbligatorio il bilinguismo visivo nei centri abitati che passarono ufficialmente sotto il controllo dei governi italiano e jugoslavo. A quel punto la componente italiana a Fiume contava poche migliaia di elementi. I nomi di molte vie cittadine vennero modificati nel 1955, fu in quell’occasione che con ogni probabilità vennero definitivamente sostituite le ultime targhe bilingue precedentemente introdotte.

Negli anni successivi la minoranza italiana mantenne le proprie istituzioni culturali in città, che continuarono ad essere sostenute dalle autorità jugoslave. Il bilinguismo visivo tuttavia non venne ridiscusso, la lingua italiana venne reimpiegata eccezionalmente solo per alcune nuove targhe commemorative riguardanti la Lotta popolare di liberazione. Col tempo ha poi trovato nuova affermazione sia nella dimensione informale che in quella formale, ma è ancora oggi l’articolazione del rapporto tra identità, lingua e territorio a contraddistinguere il dibattito sul paesaggio linguistico fiumano.

 

L’articolo sintetizza i risultati di una recente ricercati, pubblicati nell’articolo, "Nazionalità, lingua e territorio nel socialismo jugoslavo: il bilinguismo a Fiume (1947-1955)", Qualestoria (n.1, 2018) e disponibile a questo indirizzo

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