I veri croati bosniaci

La Bosnia Erzegovina viola le disposizioni della Corte di Strasburgo per i Diritti dell’Uomo, e i principali partiti di governo utilizzano a fini di lotta politica interna la sentenza emessa dai giudici europei nel caso Sejdić-Finci. La posizione del Segretario Generale del Consiglio d’Europa, il dibattito nel Paese

10/01/2013, Almir Terzić - Sarajevo

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Il governo della Bosnia Erzegovina (BiH) ha inaugurato il 2013 entrando nel quarto anno consecutivo di violazione della sentenza della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo nel caso Sejdic-Finci, che imponeva al Paese di riformare la propria costituzione garantendo a tutti i suoi cittadini uguali possibilità di accesso alle funzioni pubbliche.

In questi tre anni non sono servite a recepire la sentenza della Corte né due commissioni parlamentari, in due convocazioni differenti, né numerose riunioni dei presidenti dei sei partiti di governo, tanto nella passata composizione quanto nell’attuale.

Una proposta di emendamento della Costituzione presentata da tre parlamentari dell’Unione democratica croata (HDZ BiH) e da uno dell’HDZ 1990, durante la sessione parlamentare del 29 agosto 2012, è stata scartata per il voto contrario espresso dagli stessi membri della coalizione di governo: SNSD, SDS, SDP, SDA e DNS.

La camera dei deputati del Parlamento bosniaco, durante la seduta di fine novembre, ha deciso che questi emendamenti, così come quelli proposti insieme da SNSD e SDS, oltre a quello del gruppo parlamentare del SDA, saranno discussi in una seduta straordinaria.


C’è una questione croata in Federazione, ma non in Republika Srpska

Nel dibattito politico bosniaco però il problema principale, invece di essere quello di garantire attraverso l’applicazione della sentenza della Corte europea l’uguaglianza dei diritti di tutti i cittadini, è diventato quello di risolvere la questione di uno dei popoli costituenti, quello croato.

La soluzione del “problema croato”, tuttavia, viene evocata soltanto per la Federazione di Bosnia Erzegovina (FBiH, una delle due entità in cui il Paese è diviso), mentre l’altra entità, la Republika Srpska (RS), non viene considerata.

I principali partiti croato bosniaci infatti, HDZ BiH e HDZ 1990, vogliono modificare la Costituzione inserendo una disposizione in base alla quale venga “garantita la scelta dei legittimi rappresentanti alla Presidenza della Bosnia Erzegovina e nelle Camere dei popoli nazionale e della Federazione in modo che i membri di un popolo non possano scegliere i rappresentanti di un altro popolo”. Questi principi sono stati sostenuti anche dai presidenti dei sei partiti di governo (SNSD, SDP, SDS, HDZ BiH, HDZ 1990 e SBB) durante l’incontro di Mostar alla fine di novembre 2012.

La principale preoccupazione dell’HDZ BiH, che risale alle elezioni politiche del 2006, quando fu eletto per il primo mandato, si chiama Željko Komšić, allora esponente del Partito Socialdemocratico, eletto come rappresentante croato alla Presidenza tripartita del Paese. Secondo l’HDZ, Komšić, che ha sottratto ai partiti croati la posizione di membro della presidenza tripartita, non sarebbe “un vero croato”.


Il Consiglio d’Europa contro la posizione dell’HDZ

Osservatorio Balcani e Caucaso ha analizzato i documenti del Comitato di monitoraggio del rispetto degli impegni dei Paesi membri del Consiglio d’Europa intitolato Funzionamento delle istituzioni democratiche in Bosnia Erzegovina , del 7 dicembre 2011. In questo documento si valutano legittimità e legalità della scelta di Komšić come membro della Presidenza bosniaca.

Il Comitato sottolinea che “considerando la relativamente poco numerosa comunità etnica dei croati in BiH (secondo il censimento del 1991 aveva 760.000 membri mentre ora, secondo il cardinale Vinko Puljić, conterebbe solo circa 400.000 persone), è chiaro che un numero significativo di bosgnacchi (bosniaco musulmani) ha votato per Komšić invece che per qualche candidato bosgnacco. Come nel 2006, vediamo questo come un segno positivo affinché la politica in BiH possa allontanarsi dalle divisioni etniche”.

Il Comitato, nella sua analisi, nota inoltre che “i partiti croati HDZ BiH e HDZ 1990 considerano che Komšić non sia un vero croato perché eletto anche coi voti dei musulmani (oltre che dei croati), e non mettono in dubbio la sua appartenenza etnica in sé ma gli contestano il diritto di rappresentare il popolo croato nella Presidenza della BiH”.

“Per HDZ BiH e HDZ 1990 – spiega il Comitato – esiste una grossa differenza fra il rappresentante del popolo croato che hanno scelto i croati e il rappresentante del popolo croato che hanno scelto gli altri, ma non i croati. Non siamo d’accordo con questo atteggiamento. Crediamo che esso non abbia alcun fondamento costituzionale e che rappresenti un’assoluta irriverenza nei confronti dei desideri del popolo espressi in modo democratico. Questo atteggiamento sorprende ancora di più quando si sa che HDZ BiH e HDZ 1990 non usano gli stessi argomenti per quanto riguarda i croati in Republika Srpska dove, come vicepresidente dell’entità, hanno eletto Emil Vlajki con i voti serbi”, conclude il rapporto.

L’insoddisfazione dell’HDZ BiH ha raggiunto il culmine dopo le elezioni politiche del 2010 quando, oltre a Komšić, eletto nuovamente alla Presidenza della BiH, nel governo e nella Camera dei popoli della Federazione sono entrati in numero significativo i croati del Partito Popolare con il Lavoro per il Miglioramento (NSRB) e del Partito Croato del Diritto (HSP), oltre che del Partito socialdemocratico (SDP). Per l’HDZ BiH questi partiti non sono abbastanza “croati”, e contestano la legittimità della presenza dei loro rappresentanti nel potere esecutivo e legislativo.

Elvira non si contesta

È curioso che l’HDZ BiH non abbia invece contestato la legittimità di Elvira Abdić-Jelenović, della Unione popolare democratica (DNZ) BiH, che si è dichiarata croata e che come tale lavora nel Gruppo croato alla Camera dei popoli del Parlamento della Federazione. L’HDZ BiH, del resto, non contesta nemmeno la legittimità dell’HDZ 1990, nonostante questo partito, secondo i risultati delle elezioni politiche, abbia meno rappresentanti nel Parlamento della Federazione e in quelli cantonali rispetto all’NSRB.

Anche a questo proposito, il Comitato per il rispetto degli obblighi e degli impegni dei Paesi membri del Consiglio d’Europa ha rilasciato una dichiarazione.

“Con i 4 parlamentari eletti (su 42) alla Camera dei deputati del Parlamento della BiH e i 17 parlamentari (su 98) nella Camera dei deputati del Parlamento della FBiH, pensiamo che i due partiti HDZ debbano semplicemente accettare i risultati delle elezioni. In uno Stato democratico si deve rispettare la volontà degli elettori. L’HDZ BiH e l’HDZ 1990 hanno la maggioranza in alcuni cantoni della FBiH, e dovrebbero concentrarsi sul lavoro da fare fino alla fine del mandato. Considerando il loro risultato elettorale, l’HDZ BiH e l’HDZ 1990 non possono affermare di aver acquisito il diritto a poltrone ministeriali a livello statale o federale”, sostiene il rapporto del Comitato.

Il commento di Thorbjørn Jagland

Nel documento viene sottolineata anche la dichiarazione del Segretario generale del Consiglio d’Europa, Thorbjørn Jagland, riguardo l’applicazione della sentenza della Corte Europea di Strasburgo nel caso Sejdić-Finci. Il Segretario generale del Consiglio d’Europa ha detto che la sentenza “potrebbe salvare la democrazia per i bosgnacchi, serbi e croati della BiH”.

Perché? Perché la sentenza chiede “che la Costituzione bosniaca riconosca il primato del singolo cittadino come portatore di diritti e fonte del potere sovrano ‘dei popoli’. In questo modo non si nega, abolisce e sminuisce assolutamente l’importanza della comunità etnica alla quale tale cittadino può appartenere. Invece, questo significa che l’esistenza delle comunità etniche, incluse quelle che hanno un ruolo ‘costitutivo’, non dovrebbe limitare la partecipazione di coloro che non sono loro membri, e nemmeno limitare il diritto individuale dei loro membri ad avere più identità.

L’applicazione di questa sentenza è un appello rivolto alla Bosnia Erzegovina ad essere uno Stato, che è qualcosa di più della semplice somma delle sue parti”, ha sostenuto Thorbjørn Jagland.


Le minoranze e gli altri senza diritti

Il Comitato ha quindi sottolineato che il rispetto della Convenzione europea sui diritti umani è condizione primaria per appartenere al Consiglio d’Europa e che è “impensabile che le elezioni del 2014 possano essere sostenute secondo il discriminante regime in vigore”.

Mentre i rappresentanti delle minoranze nazionali lottano per i loro diritti ai livelli più alti, al livello locale, nelle città e nei comuni, viene compiuta una loro ulteriore marginalizzazione e privazione di diritti. Alle elezioni locali del 2008, infatti, sono stati eletti 37 rappresentanti delle minoranze nazionali in 34 parlamenti locali, ma questo numero alle elezioni locali del 2012 è sceso a sole 27 comunità locali (sul totale di 141) per un totale di 29 rappresentanti.

La partecipazione dei membri delle minoranze nazionali è dunque diminuita di 8 mandati in 7 comuni. I mandati per le minoranze nazionali, uno per comune, sono stati aboliti a Novo Sarajevo (che fa parte della Città di Sarajevo), Jablanica, Breza e Vareš nella Federazione, e a Doboj, Teslić e Ljubinje nella RS, mentre il comune di Donji Vakuf ha diminuito il numero dei posti riservati da due a uno.

 

Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell’Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l’Europa all’Europa

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