I Rom bosniaci, cittadini “non costituenti”

Un rapporto dello European Roma Rights Centre evidenzia il razzismo istituzionale della Bosnia di Dayton. Il virus che rompe l’assioma della uguaglianza di fronte alla legge tende a estendersi all’Europa. Alcune considerazioni.

23/04/2004, Andrea Oskari Rossini -

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Rom, Sarajevo (Foto Johnny A. Wichmann, 2002)

La Bosnia Erzegovina è l’unico Paese europeo nel quale i Rom – così come altre minoranze – sono esclusi per legge dalla possibilità di rivestire determinate cariche pubbliche. Un bambino Rom bosniaco, ad esempio, non potrà mai aspirare a diventare presidente del proprio Paese. Questa possibilità, per il suo popolo, non è prevista. Insieme ad altre funzioni di rilievo, la carica presidenziale è infatti riservata ai membri dei cosiddetti "popoli costituenti": i Serbi, i Croati e i Bosgnacchi (Bosniaco Musulmani). Tutti gli altri, appartenenti ai popoli "non costituenti", in Bosnia Erzegovina (BiH) sono cittadini di seconda classe e i loro diritti sono limitati per legge.

Un recente rapporto dello European Roma Rights Centre, organizzazione internazionale basata a Budapest, parte da questo paradosso per descrivere la situazione dei Rom in Bosnia Erzegovina a otto anni dalla fine della guerra nel Paese. Il rapporto, titolato significativamente "I non costituenti: la privazione dei diritti dei Rom nella Bosnia Erzegovina del post genocidio", stimola considerazioni interessanti relativamente non soltanto ai Rom bosniaci, ma alla questione più generale dei diritti nell’Europa di oggi.

Il punto di partenza dell’analisi è il livello di tutela dei diritti dell’uomo nella Bosnia Erzegovina oggi. Pochi Stati possono vantare nella propria Carta Costituzionale riferimenti così numerosi agli strumenti giuridici internazionali di protezione dei diritti dell’uomo. La Costituzione della BiH afferma che "La Bosnia Erzegovina ed entrambe le Entità assicureranno il livello più alto dei diritti umani e delle libertà fondamentali internazionalmente riconosciuti" (Costituzione BiH, art. II, par. 1). La Costituzione attribuisce poi alla Convenzione Europea per i Diritti Umani e le Libertà Fondamentali – direttamente applicabile – prevalenza su ogni altra legge (art. II, par. 2). La carta fondamentale della BiH include infine disposizioni anti discriminatorie e incorpora una ampia serie di accordi internazionali sui diritti dell’uomo, inclusi alcuni tuttora non ratificati da nessun altro Paese europeo (è il caso ad esempio della Convenzione Internazionale per la Protezione dei Diritti dei Lavoratori Migranti e delle loro Famiglie.)

Queste disposizioni, tuttavia, contrastano in maniera stridente con un assetto istituzionale, quello bosniaco, tutto basato sui diritti dei "popoli costituenti" e sulla emarginazione dei cittadini non appartenenti a queste categorie etniche, cioè coloro che non sono né Serbi, né Croati, né Bosgnacchi, o che non vogliono essere considerati appartenere a questi gruppi.

Così i Rom, per proseguire con l’esempio, sono esclusi per legge dalle maggiori funzioni politiche. Tra queste, non solo la Presidenza (affidata a rotazione ad un membro serbo, uno croato e uno bosgnacco), ma anche la Dom Naroda nazionale (Camera dei Popoli, composta da 5 membri per ciascuno dei tre popoli costituenti) e la Dom Naroda della Federacija BiH (la Federazione, una delle due Entità del Paese).

Il rapporto ERRC parte da questi aspetti per mettere in luce quanto ne consegue sul piano dei rapporti sociali. Secondo la organizzazione, infatti, lo status ufficiale di seconda classe goduto dai Rom bosniaci li espone ad una continua serie di abusi nella vita quotidiana, segnatamente nel campo dei diritti civili, economici e sociali. Molti Rom – segnala ERRC – sono ancora nella condizione di non avere neppure documenti di identità, il che preclude loro l’accesso a diritti fondamentali quali la sanità di base, l’educazione, i servizi sociali, e ad esempio a tutte le procedure volte a riottenere le proprietà di cui disponevano prima del 1992, data di inizio del conflitto nel Paese.

Anche per i Rom, infatti, il periodo bellico (1992-95) ha rappresentato una catastrofe che ha finito per modificare profondamente la stessa composizione di questo popolo. La maggioranza di loro – ricorda il Centro Europeo per i diritti dei Rom – viveva nell’est del Paese, in località corrispondenti alla attuale Republika Srpska (una delle due Entità), mentre oggi per lo più i Rom abitano nella Federazione, soprattutto nel nord est (cantone di Tuzla) o nella Bosnia centrale (cantoni di Zenica e Sarajevo). Molte migliaia di loro, fuggiti all’estero durante la guerra, non hanno fatto ritorno. Secondo dati dell’ERRC, le comunità Rom più colpite in questo periodo sono state quelle che vivevano a Prijedor e nei villaggi vicini di Kozarac, Hambarine, Tukovi e Rizvanovici. Atrocità sono state commesse nei confronti dei Rom di Vlasenica, Rogatica e Zvornik e dei villaggi circostanti, mentre almeno 70 sono stati i Rom uccisi nella strage di Srebrenica del 1995.

Il sistema istituzionale creato a Dayton nel 1995, che conferma un assetto basato sulla vittoria dei nazionalisti dei tre gruppi affrontatisi in armi nel corso della guerra, ha in definitiva consegnato il Paese alle comunità nazionali (e alla comunità internazionale), perdendo di vista i diritti di cittadinanza, che dovrebbero appartenere a tutti indipendentemente dal gruppo etnico di riferimento. Nel tentativo di rappresentare burocraticamente gli equilibri etnici del Paese, creando organi a rotazione e seguendo la regola aurea della divisione per tre delle poltrone nelle varie istituzioni, si è così dato vita ad un sistema escludente che presenta elementi di vero e proprio razzismo istituzionale. Questo recente rapporto, che prende in esame la situazione del popolo Rom, ricorda implicitamente che in democrazia ogni cittadino dovrebbe essere titolare degli stessi diritti e doveri, indipendentemente dalla propria appartenenza religiosa o nazionale. Il che, nella Bosnia di Dayton, non avviene.

Purtroppo, nei Paesi nati dalla ex Jugoslavia, la Bosnia non rappresenta un caso isolato. Prendiamo in considerazione ad esempio la vicenda dei cosiddetti "cancellati", persone – prevalentemente di altri Paesi della ex Jugoslavia – che vivevano in Slovenia e che, dal momento della proclamazione dell’indipendenza, hanno progressivamente perso ogni diritto entrando in una sorta di limbo giuridico non essendo di nazionalità slovena. La triste e ancora irrisolta vicenda, che recentemente ha visto l’affermazione delle posizioni della destra xenofoba in un referendum convocato appositamente, per quanto di carattere consultivo e scarsamente partecipato, conferma una tendenza preoccupante.

Il virus invisibile che declina in maniera diversa i diritti dei cittadini, non più persone con eguali diritti ma razze, religioni e nazionalità con maggiori o minori tutele, entra così dalla ex Jugoslavia anche – il prossimo primo maggio – nell’Europa dell’Unione, già alle prese con svarioni di uguale tenore relativamente alla posizione dei migranti (che oggi, in alcuni Paesi, hanno il privilegio di avere delle carceri ad personam).

Il rapporto dello European Roma Rights Centre invoca una serie di raccomandazioni – a partire dal livello istituzionale – per porre fine a questa situazione di discriminazione. E’ possibile invertire la tendenza, ripartendo dai Balcani?

Vedi anche:

Slovenia: cancellati, vergognoso silenzio della Commissione europea

Una vita senza casa. La situazione dei rom in Bosnia-Erzegovina

Vita da Rom. Alcuni Incontri

Rapporti dello European Roma Rights Centre

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