‘I nuovi demoni bulgari’
"I ‘nuovi demoni bulgari’ non sono altro che quelli vecchi in abiti nuovi, un mix di nomenklatura e servizi segreti di regime". Un’intervista al giornalista tedesco Jurgen Roth, autore di un libro sul crimine organizzato in Bulgaria che ha suscitato roventi polemiche a Sofia e dintorni
Esperto di criminalità organizzata, il giornalista investigativo tedesco Jurgen Roth è arrivato a Sofia lo scorso 11 novembre per presentare l’edizione bulgara del suo ultimo libro, "I nuovi demoni bulgari", dedicato agli stretti intrecci tra politica e criminalità organizzata nel paese balcanico recentemente entrato nell’Ue. Il libro di Roth ha suscitato in Bulgaria grande attenzione e polemiche infuocate: nelle sue pagine quasi nessuno dei partiti e dei personaggi dell’attuale élite politica viene risparmiato da critiche e sospetti, a partire dalle formazioni oggi al governo come il partito socialista e il Movimento per le Libertà e i Diritti (rappresentante politico della minoranza turca) per arrivare alla "nuova speranza" Boyko Borisov, attuale sindaco di Sofia e probabile futuro premier. L’ex ministro socialista degli Interni Rumen Petkov, uno degli "eroi" di "I nuovi demoni bulgari", dimessosi nello scorso aprile per i contatti con personaggi in odore di criminalità organizzata, ha minacciato ripetutamente di voler denunciare il giornalista tedesco. In un’intervista al quotidiano "24 Chasa", pubblicata il giorno del suo arrivo a Sofia ed intitolata "Picchiare il diffamatore" Petkov ha definito Roth "bugiardo, calunniatore, truffatore senza spina dorsale", affermando poi che questi andava "picchiato sulla bocca, sulle mani e su tutte le parti del corpo", affermazioni duramente criticate da " Reporters sans frontiers ".
L’intervista è stata realizzata in collaborazione tra Osservatorio sui Balcani e Le Courrier des Balkans/ Le Courrier de la Bulgarie
Perché ha deciso di scrivere un libro sulla situazione in Bulgaria?
La questione è, perché no? Ho già scritto di Ucraina, di mafia in Italia e di altri paesi. Siamo tutti europei, ed è necessario capire cosa succede nei paesi che ci sono attorno. Io ho dedicato buona parte del mio lavoro alla criminalità organizzata, soprattutto nei casi in cui questa riesce ad infiltrare parti delle istituzioni e una parte di questo lavoro riguarda la Bulgaria, paese in cui questo fenomeno è noto fino dagli anni ’80. Al tempo stesso molti segnali parlano di un peggioramento della situazione nel paese, ed ho quindi deciso di fare un libro sugli stretti legami tra corruzione, criminalità organizzata e circoli politici ed economici in Bulgaria.
Quali sono le conclusioni più importanti a cui è giunto lavorando a questo libro? Chi sono "i nuovi demoni bulgari"?
I "nuovi demoni bulgari", in realtà, non sono altro che quelli vecchi in abiti nuovi. Si tratta della vecchia nomenklatura, connessa ai vecchi servizi segreti di regime, che erano e continuano ad essere particolarmente potenti in Bulgaria. Parte di questi settori ha poi legami con la criminalità comune, ma soprattutto con una criminalità economica, una criminalità di alto livello, per così dire, e con una parte significativa dell’élite politica.
Quali sono stati i principali ostacoli incontrati nel raccogliere le informazioni alla base del suo libro?
Il principale problema è che in Bulgaria si ha a che fare con circoli economico-criminali altamente professionali, come il gruppo TIM, di cui nessuno ha voglia di parlare, visto che tra l’altro godono delle protezioni di varie istituzioni. A rendere tutto ancora più difficile nel lavoro di investigazione è l’alto grado di manipolazione, anche di documenti, che rende estremamente difficile collezionare prove a sostegno di quanto scoperto. Ho avuto accesso a vari documenti che sembravano assolutamente originali, ma che ad un esame più attento si sono rivelati dei falsi molto raffinati. C’è poi da dire che fare giornalismo investigativo qui significa "entrare a far parte del gioco", e spesso si rischia di essere manipolati da fonti interessate e spesso poco affidabili.
Lei ha parlato spesso della paura che aleggia quando si parla di criminalità qui in Bulgaria…
Si tratta di qualcosa di più di un’impressione. Io conosco molto bene le realtà di Calabria e Sicilia, e qui ho trovato lo stesso timore, la stessa insicurezza, la stessa paura. In molti temono per la propria famiglia, oppure di essere picchiati o addirittura uccisi. La mia impressione è quella di un’atmosfera molto pesante.
Il suo libro ha suscitato reazioni anche violente tra esponenti politici che si sono sentiti direttamente chiamati in causa dal suo lavoro. Che tipo di risposte ha riscontrato tra i colleghi giornalisti in Bulgaria?
Ci sono state reazioni di tipo diverso. A partire da quanto sono riuscito a leggere, e da quanto mi è stato riferito dai miei contatti, le reazioni di quotidiani e periodici seri è stata molto positiva. Ci sono poi alcuni giornalisti, legati ad interessi toccati dal mio libro, che hanno prevedibilmente espresso dei giudizi molto negativi.
I suoi critici l’hanno accusata di aver riportato dei fatti in modo non corretto, ma soprattutto di non poter portare prove a sostegno delle sue accuse. Cosa risponde?
Cosa significa portare delle prove? Facendo un’investigazione giornalistica si possono collezionare documenti, ma anche dichiarazioni e citazioni. Se qualcuna delle fonti esprime il desiderio di rimanere anonima, ed io ritengo che questa richiesta sia motivata, riporto quanto mi viene detto senza svelare l’origine dell’informazione. Se raccolgo voci ripetute e coerenti rispetto ad un fatto, le riporto. Io non sono né un procuratore né un poliziotto, il mio mestiere consiste nel tentare di avvicinarsi alla verità, e questo può essere fatto anche senza avere a disposizione prove fattuali e documenti. Anche perché, come dicevo in precedenza, gli stessi documenti in Bulgaria possono portarti fuori strada.
C’è qualcosa da salvare nel panorama a tinte fosche che emerge dal suo libro?
Direi proprio di no. Ho letto i rapporti di varie ambasciate occidentali qui a Sofia. Tutti sono concordi nel dire che per quanto riguarda le connessioni tra criminalità e politica in Bulgaria le cose vanno peggio di prima.
Lei si occupa di connessioni tra criminalità e politica da anni in vari paesi europei, ci sono caratteristiche che rendono la situazione in Bulgaria un caso particolare?
La Bulgaria è molto vicina, per aspetti diversi, a quanto successo in Russia, soprattutto per quanto riguarda gli stretti legami tra le strutture dei vecchi servizi segreti di regime e la criminalità organizzata emersa durante la transizione. A rendere particolarmente delicata la situazione, e qui torno a quanto detto in precedenza, è da una parte il fatto che la società civile è particolarmente debole e incapace di combattere le reti economico-criminali, dall’altra il fatto che i partiti politici bulgari non si occupano della società nel suo complesso, ma rappresentano quasi esclusivamente gli interessi delle lobby economiche che li sostengono.
In questo contesto, il fatto che la Bulgaria sia diventata membro dell’Unione Europea è positivo, oppure ritiene che il paese avrebbe dovuto attendere ancora?
Senza l’Unione Europea la situazione in Bulgaria non cambierà mai. La membership europea è l’unica seria possibilità per la società civile per alzare la testa. Solo il rafforzamento della società civile bulgara può spezzare il circolo vizioso che si è creato nel paese. Ci sono alcuni segni incoraggianti che questo processo sia iniziato, con varie piccole Ong, con la nascita del movimento ambientalista, ma anche nel campo dell’informazione, soprattutto per quanto riguarda i media on-line. Si tratta però ancora di piccoli gruppi isolati, che devono essere supportati dall’esterno, visto che non hanno peso né nei partiti né nelle istituzioni.