I nodi della politica estera turca
Nelle ultime settimane le analisi sulle scelte di Ankara in politica estera hanno avuto forte eco sulle più importanti testate internazionali, ma qual è la percezione dell’opinione pubblica turca dell’iperattivismo a livello diplomatico del nuovo governo Erdoğan? Uno sguardo sul dibattito interno al Paese
Il cambio al vertice in Tunisia e Egitto e la conquista di Tripoli da parte dei ribelli legati al Consiglio nazionale di transizione hanno spinto Ankara ad adottare una nuova strategia per preservare i propri interessi nella regione. La Turchia che aveva siglato trattati di cooperazione con Mubārak e Gheddafi si è attivata a livello diplomatico per stringere accordi con i nuovi leader e il premier Recep Tayyip Erdoğan è volato in nord Africa per visitare, tra il 12 e il 15 settembre Egitto, Tunisia e Libia prima di raggiungere Washington per partecipare all’assemblea generale dell’Onu.
L’obiettivo principale della missione diplomatica guidata dal primo ministro era promuovere il modello turco tra i nuovi leader impegnati nella costruzione di istituzioni post-autoritarie. Un modello che ha nel laicismo una delle sue caratteristiche più importanti: “Nella costituzione turca il laicismo è inteso come equidistanza dello stato da qualsiasi credo religioso – ha dichiarato Erdoğan intervistato dalla televisione satellitare egiziana Dream TV – laicismo, però, non vuole dire ateismo. Io non sono laico, ma sono il primo ministro di un Paese laico. In uno stato laico le persone sono libere di essere credenti o meno. Consiglio anche all’Egitto di dotarsi di una costituzione laica”.
Il commento su Akşam
Ma la Turchia ha già conquistato quel ruolo di leadership dei Paesi musulmani cui ambisce da tempo? Secondo Funda Özkan giornalista del quotidiano Akşam, non è ancora così. In un suo recente editoriale ha scritto: “Titoli come ‘il Cairo è in fibrillazione per Erdoğan’ o ‘Per le strade del Cairo non si parla che di Erdoğan’ non rispecchiano la verità. E’ solo una parte dei media turchi a esagerare? No, anche il Times ha scritto: ‘Il premier turco è stato accolto come una rock-star”. In realtà per le strade del Cairo ad accogliere Erdoğan c’erano solo cinquecento persone. Sto minimizzando il sostegno degli egiziani? No. Secondo me – continua Özkan – anche Erdoğan sa molto bene che le dimostrazioni di affetto del popolo egiziano sono importanti, ma lo è ancora di più il sostegno dei nuovi leader dei paesi attraversati dalla primavera araba. La manifestazione di sostegno ad Erdoğan nel primo giorno della sua visita era stata organizzata principalmente dai Fratelli musulmani che molto probabilmente guideranno il prossimo governo egiziano. Tuttavia – conclude Özkan – quando il primo ministro ha parlato di una ‘gestione laica dello stato’ proprio dai Fratelli musulmani sono arrivate le critiche più dure”.
Il commento su Yeni Şafak
Ben diversi i toni usati da Osman Atalay nel suo editoriale pubblicato su Yeni Şafak, quotidiano di ispirazione islamista vicino al governo: “Mubārak e Gheddafi dicevano la stessa cosa: ‘Se noi cadiamo la situazione diventerà incontrollabile’, parlavano della sicurezza di Israele, Stati uniti e Occidente, ma in realtà il loro vero scopo era difendere il proprio potere. In Turchia l’élite kemalista laica, come i dittatori arabi, si opponeva al cambiamento, non voleva condividere il proprio potere con nessuno e ha sottovalutato la forza che può avere il popolo quando viene represso. In realtà la primavera araba è iniziata in Turchia. La primavera turca va intesa come la ricerca dell’AKP di una politica basata sulla libertà e la democratizzazione”.
I rapporti con Cipro
Mentre i rapporti tra Turchia e Paesi arabi migliorano, la decisione della Repubblica di Cipro di avviare perlustrazioni nelle acque internazionali a sud dell’isola alla ricerca di giacimenti di gas naturale, senza aver consultato le autorità della Repubblica turca di Cipro nord, ha irritato Ankara. Il vicepremier Beşir Atalay, il 18 settembre, ha annunciato, quindi, che se non si giungerà a un accordo sulla riunificazione dell’isola prima del giugno 2012 quando Cipro assumerà la presidenza dell’Ue, la Turchia congelerà le relazioni con l’Unione europea.
Il sitema antimissile
La decisione turca di ospitare il nuovo sistema antimissile Nato la cui costruzione sarà terminata a fine 2011 ha invece rafforzato il rapporto, già molto buono, tra Turchia e Stati uniti. Fortemente contraria al progetto, invece, Theran. Secondo Mohammad Kovsari, membro della commissione parlamentare iraniana per la sicurezza nazionale e la politica estera, l’Iran non può rimanere in silenzio davanti a una decisione importante come questa che avrà come effetto la riduzione della capacità missilistica iraniana.
Contraria a questa scelta del governo l’opposizione. Il Partito repubblicano del popolo ha annunciato che organizzerà proteste in 81 province e chiede che i cittadini turchi si esprimano attraverso un referendum sul progetto Nato. Sinistra e pacifisti, invece, hanno annunciato che il 2 ottobre organizzeranno una manifestazione proprio a Malatya contro la costruzione del sistema anti-missile.
Una nuova politica “zero problemi” con i popoli non con i dittatori
Anche sul fronte iraniano, il vento di cambiamento che sta attraversando i Paesi musulmani ha costretto la Turchia a rivedere l’ormai superata dottrina degli “zero problemi con i vicini” promossa da Ahmet Davutoğlu dopo la sua nomina a ministro degli Esteri nel maggio 2009.
Secondo Kadri Gursel, giornalista del quotidiano Milliyet, è necessaria quindi una “nuova politica degli zero problemi con i vicini “. In un suo editoriale il gironalista turco chiarisce cosa intenda: "Davutoğlu in un’intervista trasmessa da CnnTürk ha detto: ‘Abbiamo applicato la politica degli ‘zero problemi con i vicini’ ai rapporti tra i popoli, non a quelli con i regimi.’ Non è vero, si volevano costruire buone relazioni con il regime iraniano, ma non ci si è riusciti, la stessa cosa si voleva fare con il dittatore Assad, ma si è fallito. E’ stata la Primavera Araba a fare sì che fosse impossibile per la Turchia avere ‘zero problemi’ con leader autoritari che invece ne avevano molti con i loro stessi popoli. Se non fosse andata così, avere ‘zero problemi’ con dittatori che sparavano sulla loro gente, ci avrebbe fatto perdere credibilità a livello internazionale. Va inaugurata una nuova politica degli ‘zero problemi con i vicini’, la politica degli ‘zero problemi con i vicini’ che non hanno problemi con i loro popoli e la comunità internazionale”.