I miti nazionali per Sabrina Ramet

Sogni, angeli e miti forniscono legittimità a contese territoriali, trasmissioni dinastiche del potere e all’instaurazione di gerarchie. Sabrina Ramet, in quest’intervista, prende in esame il ”caso” Serbia

26/10/2010, Irene Dioli - Cervia

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 flickr/roujo

I am your king”

Well I didn’t vote for you”

You don’t vote for kings”

Well how’d you become king then?”

The Lady of the Lake, her arm clad in the purest shimmering samite held aloft Excalibur from the bosom of the water, signifying by divine providence that I, Arthur, was to carry Excalibur. THAT is why I am your king”

Listen, strange women lyin’ in ponds distributin’ swords is no basis for a system of government. Supreme executive power derives from a mandate from the masses, not from some farcical aquatic ceremony”

(Monty Python and the Holy Grail, 1975)

La nascita e l’evoluzione dei miti nazionali è strettamente intrecciata alla crescita o al fallimento dei progetti politici che essi sostengono. I miti non sono dati neutrali, ma strumenti discorsivi situati in un contesto storico e politico; i miti cambiano e così la loro interpretazione. Essi possono guadagnare o perdere popolarità, a seconda della loro funzione in un determinato progetto politico. Inoltre, i miti non sono monolitici: esistono differenti varianti che possono essere scelte a seconda delle necessità. Differenti versioni dello stesso mito possono svilupparsi in competizione; nuove versioni che includono elementi di versioni precedenti, che mescolano fatti storici ed elementi immaginari, che raggruppano il passato e il presente col fine di creare un prodotto ideologico realistico. “E molte cose possono sembrarci dei ”re” “, afferma Sabrina Ramet.

Quali sono gli scopi principali di un mito nazionale?

I miti possono essere utilizzati da élite politiche al fine di creare una memoria collettiva; definiscono ciò che è buono e ciò che è malvagio; promuovono o cambiano valori. I miti forniscono supporto a determinati progetti politici – progetti gerarchici – che, come le religioni, necessitano una qualche legittimazione ideologica o emotiva. I miti sono quindi strumenti del successo di un determinato progetto politico. Un progetto politico che cerca eguaglianza difficilmente si baserà su un mito. Un mito inclusivo che promuove valori di eguaglianza difficilmente sarà preso in considerazione in un progetto politico nazionale.

Qual è la differenza fra miti di fondazione e miti di martirio?

I miti di fondazione sono legati alla creazione o alla conquista di una nazione da parte di una figura eroica, mentre i miti di martirio riguardano eventi traumatici nel passato collettivo che hanno segnato la coscienza collettiva di una nazione. La differenza fra le due tipologie di mito sta nella natura della rivendicazione che essi stessi implicano: i miti di fondazione sostengono rivendicazioni di tipo territoriale, i miti di martirio invece tendono a sostenere rivendicazioni di diritti e rispetto. Di conseguenza, le differenze nei miti centrali di una nazione sono alla base di differenze nei vari tipi di nazionalismo.

Un esempio?

Per esempio, il mito della battaglia del 1389 è parte integrante del sentimento nazionale serbo e può essere considerato come un mito di martirio. Questo mito è stato strumentalizzato per integrare ideologicamente il Kosovo all’identità nazionale serba. E, a titolo dimostrativo di come i miti possano essere piegati a fini politici, la battaglia del 1389 fu combattuta da un esercito multietnico composto da bulgari, croati, albanesi e serbi. Questo mito potrebbe quindi essere utilizzato per rinforzare la cooperazione inter-etnica o l’amicizia eterna fra serbi e albanesi? Io non ci conterei.

Lei pensa , per esempio, che l’11/9 possa essere visto come un mito collettivo di martirio per gli Stati Uniti, considerando l’utilizzo che ne è stato fatto per legittimare le guerre in Medio Oriente?

No, perché nessuna persona importante è morta durante gli attentati. La mia teoria dei “dead king” (ma anche delle “dead queen”) si riferisce specificamente a miti nazionali basati sull’idolatria di figure politiche carismatiche.

Ma allora, come si diventa il "dead king" preferito di una nazione? Sabrina Ramet ci ha spiegato le sua classifica personale per quel che riguarda la Serbia in un ironico “concorso” per il "dead king" serbo.

Lo zar Dušan Silni, il creatore dell’Impero serbo a metà del 14mo secolo?

C’è il piccolo inconveniente che ha cercato di condurre le Crociate promettendo al Papa, come contropartita, la conversione della nazione al Cattolicesimo.

San Sava, la cui statua domina la cattedrale di Belgrado e che è al centro di qualsiasi giro turistico degno di questo nome nella capitale serba?

Certo, ma è forse una personalità troppo limitata alla dimensione ecclesiastica.

Secondo Ramet, c’è bisogno sia di una spada che d’un crocefisso per essere il personaggio principale di un mito nazionale. Arriviamo quindi a due finalisti: Stefan Nemanja e Lazar Hrebeljanović…

Entrambi sono stati re e santi, guerrieri e, allo stesso tempo, uomini religiosi. Stefan Nemanja, il fondatore della dinastia di Nemanjić, fu il padre di Stefan Nemanjić, il primo re di Serbia e del già menzionato San Sava, il primo arcivescovo della Chiesa Ortodossa Serba. È facilmente comprensibile come, in termini di mito di fondazione, le sue quotazioni siano piuttosto elevate.

Dall’altra parte abbiamo il Principe Lazar, che combatté e morì nella battaglia del Kosovo del 1389. Secondo la tradizione epica, alla vigilia della battaglia un angelo fece visita a Lazar, offrendogli la scelta fra il regno terrestre e il regno dei cieli. Come contropartita Lazar dovette scegliere fra una resa pacifica o una disfatta sanguinosa sul campo di battaglia. E così, essendo noto il finale, il Principe Lazar entra a giusto titolo a far parte dei “miti di martirio” ed è il fortunato vincitore del concorso per il “Dead King” serbo.

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