I miei giorni nel Caucaso
Finalmente tradotto in italiano "I miei giorni nel Caucaso" di Umm el-Banine Assadoulaeff: l’incredibile spaccato della vita in Azerbaijan dalla prospettiva privilegiata dell’autrice, nata in una ricchissima famiglia di petrolieri, attraverso gli anni tormentati e irripetibili della prima metà del XX secolo
A volte la letteratura, quella migliore, svela verità della storia più di tanti dotti saggi. È il caso dello straordinario I miei giorni nel Caucaso, di Umm el-Banine Assadoulaeff, detta Banine, pubblicato per la prima volta nel 1946, e finalmente arrivato anche nelle nostre librerie nella traduzione curata da Neri Pozza. Un esemplare racconto “dal di dentro” della società azera – e più in generale caucasica – negli anni più turbolenti della sua storia, quelli della prima metà del XX secolo.
Una prospettiva inconsueta, uno sguardo su quella società vista dall’interno senza celebrarla o denigrarla, attraverso la saga della ricchissima famiglia dell’autrice, che grazie al petrolio e all’intraprendenza del nonno accumulò una fortuna immensa. Uno spaccato impagabile per capire l’evoluzione e l’improvviso arricchimento di una città e di una nazione, senza che questo portasse ad una crescita sociale e civile, ma anzi ad un suo deterioramento. Banine ha avuto in sorte di avere scrutato fin da bambina da un osservatorio privilegiato, grazie al rango della sua famiglia, le vicende più convulse e drammatiche di quelle terre.
È il periodo della sua infanzia, a suo dire, il più bello della sua vita. Banine ancora non sa quali anni tempestosi aspettano la sua famiglia, il suo popolo, il suo paese. Dovranno conoscere una guerra, l’indipendenza, una rivoluzione e una nuova colonizzazione, che la porteranno a lasciarlo per l’Europa. Le figure familiari che le girano attorno in quegli anni sono rivelatrici di una cultura tanto rigida quanto abile e opportunista negli affari e a far fruttare i propri interessi. In quella famiglia contadina, diventata improvvisamente di nababbi grazie al petrolio che il nonno ha visto un giorno zampillare nel suo campo in mezzo alle pecore, si annoveravano membri “estremamente loschi”, dice lei.
Una famiglia definita musulmana fanatica, al cui centro c’è la figura chiave della vecchia nonna, custode delle tradizioni più arcaiche e intransigenti, un personaggio che fatichiamo ad immaginare nella realtà. e che invece svela un mondo contraddittorio e oscurantista. ”Velata e fanatica oltre ogni dire, eseguiva con infallibile rigore le abluzioni e le preghiere ed esecrava i cristiani”, chiamandoli “cani”. Dietro al ritratto semi-comico, ci viene però svelato un sistema sociale inaspettato: una famiglia matriarcale dove la trasmissione dei rigorosi principi di fedeltà alla tradizione è affidata appunto alle donne, alla nonna e anche alle mogli. “Fisicamente enorme, sia in larghezza che in altezza”, era solita prendere a bersaglio nei suoi durissimi attacchi verbali, il grande nemico, i russi colonizzatori, diversi per razza e portatori di un’altra lingua e religione, per i quali nutriva un profondo disprezzo”.
Anche la pederastia spopolava a Baku. Scopriamo che era praticata da quasi tutti gli uomini prima del matrimonio – almeno quella attiva – ed era riconosciuta di utilità sociale, visto che le rigide regole religiose vietavano rapporti prematrimoniali. “Baku è stata rovinata dalla scoperta del petrolio, l’Islam aveva cessato di essere il vero Islam. Si riduceva ad una serie di obblighi che la gente aggirava con abilità: dilagavano le bische clandestine, il divieto del vino si eludeva bevendo cognac, le riproduzioni del volto sostituite da immagini di profilo o sfuocate” Ed ecco il passatempo preferito delle sorelle, il poker, che porterà alcuni di loro alla rovina: una passione smisurata, che le impegnava per interi pomeriggi fino all’alba, senza neanche fermarsi per uno spuntino.
Nulla sfugge all’acutissimo sguardo della bambina, comprese le offese alla piccola coetanea turco armena Tamara, incrocio di due razze nemiche, fatta bersaglio di grevi scherzi e anche affondi sessuali dai cugini. L’odio reciproco c’era acutissimo già allora, profondamente radicato ed equamente ripartito tra le due etnie. A Baku vivevano in gran numero azeri e armeni: capitava l’anno in cui questi ultimi sterminavano i primi per vendicarsi di massacri passati, così che l’anno dopo avevano ottimi pretesti per rendere loro la pariglia.
Ed ecco allora che anche nella sua famiglia, i due sadici cuginetti coetanei si divertivano a coprire di insulti infamanti la ragazzina, vagamente imparentata: mimavano i massacri di armeni, giocavano a fucilarla, la legavano e la torturavano per poi farla resuscitare e riprendere il gioco. Le faide tra le due etnie percorrono tutte le fasi di quegli anni, cruciali per tutto il Caucaso. Anche quando arrivò la Rivoluzione d’Ottobre e si scatenarono a Baku torbidi inimmaginabili con resa dei conti tra le due fazioni, in una regione precipitata nel caos e che aspirava a formare repubbliche indipendenti.
E poiché il caos generale, come si sa, è imperdibile occasione per pareggiare molti conti, nella Baku sconvolta dai moti anche la famiglia musulmana, molto in vista, di Banine deve riempire qualche valigia di notte per scampare ai raid dei nazionalisti armeni che braccavano i musulmani casa per casa. E qui troviamo il racconto di una pagina dimenticata delle spaventose rivalità fra le due etnie: quei due giorni del marzo 1918 quando 20mila azeri furono sterminati a Baku dalle bande armate chiamate Dachnack.
Banine riesce a vedere dal suo rifugio lo scempio di casa sua da parte dei “t[]isti” armeni entrati come predoni che buttavano in strada mobili, servizi di piatti, candelieri, tappeti, abiti, quadri. Peripezie inimmaginabili li attendono in terre remote e dimenticate per sfuggire alle bande armene, prima in navigazione verso uno desolato borgo sul Caspio persiano, tra noia, caldo, zanzare, malaria e sommosse anti inglesi dei patrioti del Kuchuk Khan.
Ma è solo l’inizio. È con il ritorno a Baku che li attendono i veri grandi sconvolgimenti. È un momento di grande fervore. ”Si parlava di un Azerbaijan indipendente, di un’Armenia, di una Carelia, di un Kazakistan e chissà cos’altro Indipendenti, Autonomi, Fieri, Liberi e Felici”. E in effetti il nuovo Stato vide la luce, con un governo di cui il padre della nostra ragazzina entra a far parte come ministro del Commercio. Un’euforia effimera, perché dopo solo un paio d’anni la tredicenne vide crollare nello spazio di una notte il sogno di una grande “pace azera” con la sua “repubblica di paccottiglia”, addirittura il sogno di un futuro impero musulmano: un solo treno blindato con i soldati dell’Armata Rossa bastò, senza sparare un colpo di fucile, a mettere fine alle illusioni e insieme al nuovo capitalismo petrolifero.
E con la primavera sbocciarono i comitati e fiorirono gli arresti e le requisizioni. Iniziò per la ragazzina, che uscì con questi eventi dall’infanzia spensierata, l’esperienza della nuova colonizzazione insieme all’educazione alla nuova dottrina del "sol dell’avvenire". Ma dopotutto, senza violenze e lavaggio del cervello, nonostante l’inevitabile arresto del padre ex ministro. Anzi, gli invasori si mostrano raffinati e colti. Tanto da conquistare alla loro causa le ricche giovinette della famiglia e pure i loro cuori, e far innamorare perdutamente la nostra protagonista di uno di loro.
Si comincia prima con la casa in città: una commissione si insedia nella magione e la requisisce per la maggior parte; poi è la volta di quella di campagna, adibita a colonia di vacanze per reduci della rivoluzione. Eppure i nuovi arrivati non sono descritti come dei barbari: per loro il Caucaso “era come il Marocco per i francesi, un Paese esotico, lontano, un po’ misterioso. I poeti russi avevano cantato il Caucaso, le sue donne, i suoi monti, le sue stranezze. Gli era connessa una certa emozione, che quasi ogni russo sensibile percepiva quando ci metteva piede”.
E sono convincenti: persuadono Banine e altre della famiglia ad affiancare l’ennesimo comitato messo su per inventariare beni e proprietà delle vicine sontuose ville di campagna . Ma è dopo la villeggiatura, con il ritorno a Baku, che si videro le grandi trasformazioni in città. Anche l’urbanistica cambia e con essa il recupero della città vecchia, con le sue antiche case , le moschee, le viuzze strette e tortuose dove passavano solo i cammelli: si riscopre la vera città islamica che era finita nell’abbandono dopo la scoperta del petrolio. “C’erano voluti la rivoluzione e gli espropri per riportare in questa città trasandata (la città vecchia, ndr) molti ex petrolieri che trovavano più facilmente una sistemazione che altrove”.
Poi nel gran fervore arrivano il tram elettrico e l’educazione delle donne: spunta tra gli altri il Conservatorio nazionale per le donne musulmane, di cui la povera Banine diventa insegnante pur non sapendo nulla di musica. Sì perché ”i comunisti sapevano che una volta colpite da una nuova civiltà, avrebbero gettato via da sole il velo ancestrale, che era evidentemente fuori luogo in una repubblica sovietica”. Per la numerosissima famiglia , tra zii, nonni e cugini, quanto mai tradizionalista e in perenne lite, saranno peripezie infinite, tra il comico e il drammatico, anche per la sottovalutazione della forza della nuova ventata rivoluzionaria.
Anche perché molti ricchissimi azeri, pur se espropriati di tutto, possedevano ancora grandi quantità di gioielli e oro che vendevano in base ai loro bisogni alla borsa nera. Ma non andrà così. La rivoluzione metterà solide e durature radici e per molti di loro si aprirà la via obbligata dell’esilio. Anche per Banine, dopo la tanto attesa liberazione del padre dopo nove mesi di prigionia, grazie ai buoni uffici di poco trasparenti amici, attraverso la Georgia, il Mar Nero e la nuova giovane Turchia verso l’agognata Francia, con l’Orient Express, per non tornare mai più.