I media in Macedonia

Pubblichiamo l’articolo che il nostro corrispondente dalla Macedonia, Dejan Georgievski, ha scritto come contributo al Rapporto dell’Osservatorio internazionale sulla libertà di informazione.

22/04/2002, Redazione -

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Dejan Georgievski

Questo testo è un contributo dell’Osservatorio sui Balcani al Rapporto Giornalisti e media fra orrori e speranze: L’informazione nelle repubbliche della ex Jugoslavia: 1990-2001, curato dall’Osservatorio internazionale sulla libertà di informazione promosso dalla Regione Toscana e da Informazioni Senza Frontiere. Il rapporto raccoglie una serie di riflessioni e articoli in cui giornalisti e studiosi di giornalismo di Serbia, Kosovo, Bosnia Erzegovina, Croazia, Slovenia e Macedonia analizzano la situazione e il ruolo dei media e l’evoluzione del sistema dell’informazione nei rispettivi paesi nel tragico decennio che ha visto la dissoluzione della Jugoslavia, le guerre e le stragi e infine il faticoso tentativo di costruire la democrazia nella regione.L’Osservatorio sui Balcani ha contribuito alla realizzazione di questo Rapporto anche con un commento generale di Luca Zanoni.

I media in Macedonia hanno lunga strada da percorrere. Cercano di avere una visione realistica del mondo intorno a loro e delle circostanze in cui sono costretti a lavorare. Sanno tutti che la transizione non è un evento tipo "big bang", ma piuttosto un processo lungo e arduo.

"Quando si considera la situazione della stampa in Macedonia," dice Erol Rizaov, direttore del quotidiano Utrinski Vesnik, "si può parlare solo di ciò che io chiamo democrazia formale. In superficie, sembra che i media possano affrontare qualunque argomento desiderino, come gli scandali per corruzione, anche senza un sufficiente livello di prove o documentazione. Ciò che manca, tuttavia, è una reazione adeguata. Non vedrete mai un giornalista denunciato per calunnia o diffamazione, né un politico indagato per accuse lanciate dai giornali."

L’apparente discrepanza tra la situazione di superficie e le profondità che nasconde, tra ciò che vediamo e ciò che possiamo solo immaginare, esprime perfettamente tutti gli aspetti della condizione della stampa in Macedonia. Per esempio, a livello di superficie, esiste un vero mercato dei media in Macedonia, dove gli organi di stampa possono operare e mantenersi esclusivamente in base ai proventi della pubblicità che riescono, o non riescono, a raccogliere. Se scomponiamo l’equazione negli elementi che ne fanno parte, tuttavia, la situazione che si presenta risulta piuttosto differente. Il mercato dei media in Macedonia, forte di 2 milioni di consumatori, purtroppo già
diviso secondo linee etniche in due sottoinsiemi di un milione e mezzo di macedoni e mezzo milione di albanesi rispettivamente, deve sostenere più di 140 emittenti tra radio e televisioni, senza menzionare le numerose pubblicazioni tradizionali. Sarebbe una fatica erculea anche per un paese ricco e prosperoso, immaginiamo per la Macedonia. Tale situazione ha causato diversi problemi. Le entrate pubblicitarie sono basse, perché sono le compagnie a dettare il prezzo, non il valore della pubblicazione o dell’emittente, né il pubblico che attira, dal momento che gli interessati si possono sempre rivolgere altrove per reclamizzare i loro prodotti a tariffe più convenienti. Aggiungiamo a ciò che la Radiotelevisione macedone detiene da sola l’85% del mercato pubblicitario nazionale. Viene da chiedersi come possano sopravvivere tutte le altre emittenti, che praticamente si accontentano delle noccioline.

Un altro problema, parlando ancora di radio e televisione, è che la carenza di entrate si riflette sulla qualità dei programmi. I fondi disponibili non bastano a coprire le spese di produzione di programmi di alta qualità (buoni documentari, film per la televisione, programmi educativi) e a farne le spese sono soprattutto le piccole emittenti locali, che finiscono per trasmettere solo musica, teleromanzi latino-americani a buon mercato, film piratati e programmi dove chi telefona in studio può parlare con astrologi e simili o partecipare a giochi a premi. Gli unici programmi seri trasmessi dalle emittenti macedoni sono i notiziari (per quelle stazioni che se li possono permettere) e i dibattiti politici e talk show, che assumono una certa importanza specialmente in periodo elettorale. Non è un caso che, dopo i programmi di calcio sulla "serie A" italiana e le rispettive controparti spagnola e inglese, le tariffe pubblicitarie più alte siano quelle dei programmi di informazione. Ciò anche in virtù
del fatto che il pubblico macedone è così politicizzato che gli spettatori trascorrono la "prima serata" di ogni giorno della settimana di fronte ai notiziari.
Nessuno in Macedonia, e i media lo sanno, si interessa troppo dei programmi di servizio per la comunità, siano di interesse pubblico o locale. Tutti pensano e agisco a livello statale. Si è dunque creata l’assurda situazione per cui quello che nominalmente è il servizio pubblico radiotelevisivo (MRTV) è in realtà la più commerciale delle televisioni, mentre quella che dovrebbe essere la prima emittente privata (A1 Television) è ciò che più si avvicina ad un’emittente pubblica (semplificando: buoni programmi d’informazione, molti documentari, pessimi film). Quanto visto finora può essere ricondotto a un certo punto del passato, collocato approssimativamente tra il 1991 e il 1992, quando fu "fondato" il mercato radiotelevisivo macedone, rappresentato da una moltitudine di attività, con radio e televisioni aperte in ogni angolo del paese. Tutti potevano aprire un’emittente con un investimento minimo, prendere una frequenza a caso e cominciare a trasmettere. Non esistevano regole, sia in termini tecnici che di requisiti di programmazione. Il problema si è presentato
concretamente solo nel 1997, con l’entrata in vigore della legge sulle emittenti radiotelevisive, ma ormai i giochi erano fatti. In teoria la stampa tradizionale si trova in una situazione un poco migliore. Prima di tutto il numero delle pubblicazioni è inferiore, anche perché è molto più costoso cercare di fondare un quotidiano o un settimanale. Ancora una volta, gli otto quotidiani e all’incirca altrettanti settimanali (parlando solo di periodici di informazione o politica, senza considerare le pubblicazioni specializzate e rivolte a un pubblico di nicchia) devono spartirsi lo stesso mercato diviso in due, composto da circa 120.000 lettori abituali di quotidiani. Di queste pubblicazioni, solo tre potrebbero sopravvivere ad effettive condizioni di mercato, con livelli minimi di profitto. Attualmente, tutte
sono in perdita, o vicine a un livello di "zero positivo", una situazione che è peggiorata l’anno scorso, durante la crisi di sicurezza in Macedonia. Oltre ai problemi che divide con le emittenti radiotelevisive, la carta stampata ha quello della distribuzione e vendita. I due attuali sistemi di distribuzione sono dominati da Nova Makedonija e Dnevnik. Nova Makedonija è noto per i suoi ritardi nei pagamenti delle copie vendute ai rivenditori e per il suo catastrofico stato contabile, Dnevnik si serve del proprio sistema di distribuzione per esercitare pressioni sui concorrenti e rendere loro la vita più difficile. Molti seri analisti della situazione della stampa in
Macedonia ritengono che non sarà possibile pervenire ad una soluzione dei problemi dei media in generale fino a che non saranno risolti i casi dei due colossi di proprietà statale, Nova Makedonija e Radiotelevisione macedone. Le riforme graduali proposte dovrebbero rispettivamente trasformarli, in teoria, in un quotidiano privato e in un’autentica emittente di servizio pubblico. Un’altra scuola di pensiero, condivisa anche dall’autore di questo articolo, ritiene che si debba ricominciare da zero, il che si tradurrebbe in una completa liquidazione dei due media, con particolare riguardo alla televisione pubblica. Tale situazione, tuttavia, non è condivisa dalla classe politica, dal momento che entrambe le compagnie hanno circa 4.000 dipendenti che si troverebbero senza lavoro, in un
paese dove il tasso di disoccupazione è del 40%. Il fatto di non disporre di un vero mercato da cui dipendere per la propria sopravvivenza ha permesso che i media macedoni venissero spesso influenzati da chiunque avesse abbastanza ambizione per farlo. Naturalmente, il governo non rinuncerebbe facilmente il controllo della stampa statale, anche perché, attraverso mezzi più o meno sottili di pressione sulle aziende, sia "Nova Makedonija" che la radiotelevisione macedone riescono ad orientare la maggior parte delle entrate della pubblicità verso gli organi di stampa di proprietà statale. I partiti politici sanno che senza gli organi d’informazione non potrebbero sopravvivere, così sostengono i media con fondi direttamente o indirettamente provenienti dalle risorse a loro disposizione. I nuovi ricchi, che hanno ambizioni politiche e sono in corsa per il potere, preferiscono fondare nuovi organi di stampa per promuovere i propri interessi, piuttosto che ricorrere a quelli già esistenti. Lo stesso governo dispone di un ulteriore strumento per esercitare pressioni sui mezzi d’informazione. La maggior parte degli organi di stampa, infatti, si affida alle sovvenzioni disposte annualmente dal fondo per lo sviluppo della stampa per rimettere in sesto i propri bilanci. Ogni giornale dovrebbe ricevere un sussidio appropriato alle sue dimensioni e tiratura. Questo se il mondo fosse giusto. In realtà il governo ha sempre ritenuto più utile premiare gli organi di stampa di proprietà statale, o quelli vicini a partiti politici amici, lasciando solo gli spiccioli per
gli altri. Branko Gjerovski, caporedattore del quotidiano Dnevnik, il giornale finanziariamente più forte del paese, ha spesso invitato il governo ad interrompere la politica dei sussidi alla stampa e ogni anno dona la quota di sovvenzioni spettante al suo giornale in beneficenza. Dello stesso avviso è Erol Rizaov, che dice: "Non ci servono, non li vogliamo. Ciò che vogliamo sono regole del
gioco chiare. Vogliamo che il governo segua l’esempio di paesi come l’Italia, dove il governo è obbligato a destinare il 50% dei fondi pubblicitari delle imprese pubbliche alla carta stampata, piuttosto che esclusivamente ai media di proprietà statale. Ci basterebbe questo e il governo potrebbe ricominciare a dormire in pace." Esiste anche il problema dei contenuti. Il governo si tiene
il più possibile lontano dai media e la tanto attesa legge sulla libertà di accesso alle informazioni è ancora lontana dall’essere attuata. La mancanza di accesso a informazioni di provenienza certa ha reso i media dipendenti da diversi gruppi informali e anonimi, come i servizi segreti, tanto che la maggior parte delle dichiarazioni rilasciate alla stampa sono attribuite a "fonti anonime" o, la mia definizione preferita, "dalle nostre fonti a (un’istituzione qualunque)." La mancanza di credibilità delle fonti non ha causato grossi problemi agli organi di stampa, dal momento che la maggior parte dei media non sono tanto interessati a fornire un’informazione obiettiva, quanto a perseguire i propri interessi, in ogni circostanza. I giornalisti si trovano spesso tra l’incudine e il martello. Escono dalle scuole pieni di ideali sul giornalismo professionale, convinti di poter cambiare il mondo e abbattere un muro. Nessuno è davvero interessato a ciò che hanno da dire. Sono costantemente disorganizzati, divisi tra varie organizzazioni ampiamente inefficienti. Ultimamente, anche grazie all’aiuto di organizzazioni internazionali (IREX Promedia, Open Society Institute Macedonia, News Now, ecc.) si è registrato qualche sforzo per unire le diverse associazioni in un sindacato unitario.
Senza un sindacato, i giornalisti saranno sempre sottopagati, esposti ai ricatti degli editori e dei redattori, che potranno sostituirli con facilità. Il salario medio per gli operatori dell’informazione in Macedonia è in costante aumento, ma se sei un principiante, non ti potrai aspettare più di 200 Euro (il salario medio nazionale è di 150 Euro), e quanto più alto è il posto che si occupa nella catena alimentare, tanto più alto sarà il salario. Questa tendenza, dunque, permette un miglioramento
dello status materiale dei giornalisti macedoni, dando vita a uno star system dell’informazione, dove giovani stelle nascenti attirano su di sé l’attenzione e dettano le loro condizioni ai mezzi d’informazione che sono interessati ad assumerli. Per esempio, una di queste giovani stelle, Olivera Trajkovska, che si è fatta un nome con interviste senza compromessi con i principali leader politici macedoni, ha ricevuto per il terzo anno consecutivo una paga esorbitante se confrontata con la media nazionale, nonostante non abbia realizzato neanche un programma nel periodo in questione. Il proprietario dell’emittente televisiva che l’ha assunta e che ancora non ha cominciato a trasmettere, la paga solo per tenerla lontana dalla concorrenza.

Secondo un autorevole giornalista albanese, gli organi di stampa e i giornalisti di lingua albanese hanno problemi ancora più gravi. La qualità giornalistica è scarsa, perché non ci sono abbastanza persone qualificate per svolgere un lavoro accurato. La colpa, secondo lui, è delle organizzazioni internazionali che hanno attirato in Kosovo i migliori giornalisti di lingua albanese, offrendo loro compensi a cui altri media albanesi non possono arrivare. E’ ironico il fatto che anche lui lavori per una di queste organizzazioni internazionali. Un altro problema, secondo lo stesso giornalista, è dato dalla mancanza di competizione tra i media di lingua albanese e dall’assenza di uno star system. Detto con parole sue: "E’ difficile creare una star del giornalismo, dal momento che la maggior parte delle persone che lavorano per organi di stampa albanesi non sono state formate come giornalisti, ma come veterinari, insegnanti o altro."

Sarebbe duro per chiunque sostenere che i media macedoni sono partigiani o poco neutrali nel loro approccio alle informazioni. Guardiamo, per esempio, al modo in cui è stata seguita la guerra in Afghanistan. Gli organi di stampa si sono impegnati a fondo per presentare i punti di vista di chi sosteneva l’intervento armato, come di chi vi si opponeva. Anche negli editoriali si analizzavano i due aspetti della vicenda, mantenendo un buon equilibrio di neutralità. Naturalmente, lo stesso non si è potuto dire per la guerra combattuta sul proprio terreno. I media dei due schieramenti etnici qui contrapposti hanno mancato gli standard di "informazione bilanciata, obiettiva e veritiera." Il "nemico" era "assetato di sangue", composto da "bande di assassini", "cannibali", "mostri" e altri
epiteti comunemente usati in occasioni simili. Ci sono state, comunque, altre e più gravi violazioni di ciò che si può definire "etica giornalistica". Uno dei più autorevoli membri dell’NLA (l’esercito di liberazione nazionale), un comandante locale noto con il nome di battaglia di "Comandante Spati", è anche un reporter del quotidiano di proprietà statale Flaka. Dall’altra parte, è da registrare il particolare incidente che ha coinvolto la giovane giornalista Magdalena Cizbanovska, di Kanal 5TV, a cui, dietro sua richiesta, è stato permesso ad alcuni militari di sparare un colpo di howitzer da 155 millimetri sul villaggio di Lipkovo, allora tenuto dall’NLA. Subito dopo lo sparo, la giornalista si è
rivolta alla telecamera definendo il suo gesto "un piccolo contributo dei giornalisti macedoni alla difesa del paese." Naturalmente, gli altri giornalisti macedoni non hanno trovato divertente la generalizzazione e hanno pubblicamente condannato le sue azioni. Alcuni mesi fa l’Istituto macedone per i Media ha organizzato una tavola rotonda dal titolo "Come i media macedoni coprono il conflitto: riportano i fatti? E perché riportano in modo differente gli stessi eventi?"
Aco Kabranov, uno dei mediatori alla tavola rotonda, ha detto in quell’occasione: "Quando si parla dei giornalisti stranieri che vengono in Macedonia, viene spesso nominato un concetto da essi
ampiamente perorato – la tesi del giornalismo bilanciato. Di che si tratta? Durante la crisi sono stato costantemente tormentato dalla questione di cosa sia il giornalismo bilanciato. Ritengo il problema inaccettabile, perché significa recitare una parte contro la verità. Il giornalismo bilanciato non esiste, c’è solo la verità, il giornalismo professionale… Dopo il massacro di Vejce, dovevo forse andare da Ali Ahmeti (capo dell’NLA) e chiedergli perché lo aveva fatto? Certo che no. In altri casi, come quello del raid della polizia a Skopje, ovviamente dovevo sentire anche l’altra parte in causa, perché si trattava di fatti controversi… Oggi avete il World Trade Centre, cercatela ora l’obiettività."In effetti, una guerra può danneggiare il senso dell’obiettività dei giornalisti più validi. E’ difficile sostenere "ideali di giornalismo perfetto quando il tuo paese viene attaccato", come ha detto Aleksander Damovski, del quotidiano Dnevnik, nel corso dello stesso dibattito. Molti hanno tentato di essere neutrali e imparziali quanto più possibile, ma il giudizio generalmente condiviso è che
nessuno ci sia effettivamente riuscito in Macedonia. Gli "hate speech", con cui si fomenta l’odio interetnico, hanno coinvolto gradualmente tutti i mezzi d’informazione, anche quelli che prima della crisi erano noti e rispettati per la loro obiettività. A1 TV, Dnevnik, Utrinski Vesnik (i principali organi d’informazione del paese) hanno tutti sostenuto un certo grado di nazionalismo. Anche se nessuno è disposto ad ammetterlo. Se parlate ad uno qualunque dei redattori di questi organi d’informazione, vi diranno di "non aver invocato una guerra totale, ma di aver fatto in modo che tutti si schierassero in difesa della Macedonia," come ha detto Branko Gjerovski, caporedattore
di Dnevnik, in difesa di un suo editoriale del 14 agosto 2001, quando invocò "una battaglia finale in cui tutti prendevano le armi contro la Macedonia". L’editoriale può essere interpretato in un senso o nell’altro, ma è diventato noto come "l’incidente Gjerovski", prima di tutto perché fino ad allora Dnevnik era stato il campione dei diritti delle minoranze nella società civile macedone, esercitando pressioni sulla classe politica perché si facesse di più verso l’integrazione delle minoranze in tutti i settori della società. In un’altra occasione Gjerovski si sentì obbligato a precisare, accusato di fare un giornalismo di parte, che "…il giornalismo sbilanciato non esiste. Esiste solo quello veritiero."
"Abbiamo corso un grosso rischio all’inizio della crisi," ha detto Erol Rizaov, del quotidiano Utrinski
Vesnik. "Avremmo potuto unirci alla banda e suonare l’inno del nazionalismo, il che ci avrebbe garantito un maggior numero di lettori. Abbiamo scelto, al contrario, di essere quanto più bilanciati e neutrali possibile, accettando di pagarne il prezzo in termini economici. Spero che siamo riusciti nell’intento, perché le conseguenze si sono certamente verificate." La stessa opinione è condivisa da Aco Kabranov di A1 TV, che ha detto: "E’ abbastanza chiaro che l’emittente perderà
ascoltatori, ma, a lungo termine, speriamo di recuperare qualche beneficio."
Lo stesso autorevole giornalista albanese che abbiamo consultato in precedenza, che ha insistito per rimanere anonimo per non deteriorare i suoi rapporti con la stampa albanese, ha dato una sua interpretazione della condotta dei media albanesi durante la crisi. "Non c’è stata alcuna differenza rispetto alla stampa macedone," ha detto. "anche qui era presente lo stesso trito ‘hate speech’. L’unica differenza potrebbe essere che, sia in termini di quantità che di qualità, era inferiore a quello della stampa macedone, dal momento che esistono solo due organi di stampa albanesi di un certo rilievo nel paese, il servizio albanese della radiotelevisione macedone (emittente pubblica) e il quotidiano "Fatki"… Inoltre, gli organi di stampa macedoni avevano più responsabilità, perché solo un ristretto numero di macedoni capisce o parla albanese, mentre la maggior parte degli albanesi capisce il macedone. Comunque, da entrambe le parti si è fatto ricorso allo ‘hate speech’ e all’insulto indiscriminato dell’altro. Dunque, i media in Macedonia hanno lunga strada da percorrere. Cercano di avere una visione realistica del mondo intorno a loro e delle circostanze in cui sono costretti a lavorare. Sanno tutti che la transizione non è un evento tipo "big bang", ma piuttosto un processo lungo e arduo. Tutti i media cercano di sopravvivere in attesa del giorno in cui sarà possibile mettere alla prova le rispettive abilità in un vero mercato, che renderà subito chiaro chi sarà o non sarà abbastanza valido. Fino a quel momento, sembra che l’unica cosa da fare sia simpatizzare con loro e augurarsi che i loro problemi si possano presto risolvere.

Vedi anche:

Macedonian Institute for Media

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