I media in Bulgaria: euforia, crisi e corruzione

Intervista alla Prof.ssa Lada Trifonova Price dell’Università di Sheffield Hallam sullo stato di salute dell’informazione in Bulgaria, paese d’origine su cui ha concentrato anche i suoi studi

02/05/2018, Valentina Vivona -

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offnews.bg

Lada Trifonova Price si è laureata in giornalismo all’Università di Sofia, in Bulgaria, poco dopo il crollo del regime comunista. Ha costruito la sua carriera nel Regno Unito, lavorando prima come freelance, iniziando poi a insegnare giornalismo presso l’Università di Sheffield Hallam e diventando, infine, responsabile della formazione presso il Centro per la Libertà dei Media (CFOM). Il suo ambito di ricerca è la libertà d’informazione nell’Europa Orientale e, in particolare, nel suo paese d’origine. L’ingresso nell’Unione Europea non sembra aver migliorato la salute del giornalismo in Bulgaria, anzi: la professoressa Price, in questa intervista, spiega perché.

Si può parlare di ‘liberalizzazione’ dei media in Bulgaria, dopo il 1989?

Il processo di democratizzazione è stato lungo e doloroso, ma nei primi anni ‘90 si è percepita una forte volontà di cambiamento. La cosiddetta “Terza Ondata” democratica, a cui la Bulgaria appartiene, ha investito anche il mercato mediatico. Il panorama è completamente cambiato in pochi anni: il controllo è passato dallo stato ai privati, con la sola eccezione dei canali radio-televisivi rimasti di proprietà pubblica. La concorrenza era feroce perché erano numerosissime le testate apparse in quegli anni. I gruppi stranieri sono entrati nel mercato a metà anni Novanta, un po’ più lentamente rispetto ad altri paesi del blocco orientale. Hanno inizialmente puntato sulla stampa, come l’editore tedesco WAZ, ma hanno poi spostato i loro investimenti nella televisione.

Un’euforia dissipata dalla crisi economica globale che in Bulgaria si è sentita a partire dal 2009…

Il tradizionale modello economico dei media è in crisi, non solo in Bulgaria. È sempre più difficile sopravvivere con i soli proventi derivanti dalla pubblicità e dalle vendite. La crisi globale del 2008 – 2009 ha reso tutto ancora più difficile e, in Bulgaria, ha permesso agli oligarchi di acquisire più potere. WAZ, l’editore tedesco di cui parlavo prima, ha disinvestito nel 2010 principalmente perché non poteva più sostenere le pressioni causate dal groviglio tra economia e politica – sono stati gli stessi proprietari a dichiararlo. Purtroppo la Bulgaria è il paese più corrotto dell’Unione Europea e questo ha un impatto negativo sull’informazione e sul giornalismo. Uno dei problemi principali è la mancata trasparenza: nessuno sa chi c’è dietro ai media, chi li finanzia. Non deve allora sorprendere che la popolazione bulgara abbia una scarsissima fiducia nei mezzi d’informazione. Ironicamente, nel 2010 il Parlamento bulgaro ha approvato un dispositivo legale speciale a garanzia della trasparenza della proprietà dei media: una splendida iniziativa, rimasta solo sulla carta.

C’è spazio per i media indipendenti?

Questa è una domanda a cui è difficile rispondere. Difficile perché i giornalisti che provano ad indagare – per esempio – sulla corruzione, sono spesso vittime di intimidazioni, aggressioni o minacce. Lo strumento più usato dai politici e dalle altre figure pubbliche è la denuncia per diffamazione o calunnia. Per fortuna, i tribunali si muovono di solito a favore dei giornalisti per cui raramente si arriva a una condanna. Rispondendo alla domanda: ci sarebbe molto spazio per l’informazione indipendente in Bulgaria, ma sopravvivere è davvero difficile in un contesto così ostile.

Quanto sono forti le interferenze politiche nel giornalismo?

Probabilmente non le suona nuovo il nome del New Bulgarian Media Group, di proprietà del deputato Delyan Peevski: una società tramite cui gestisce diversi quotidiani e riviste e, soprattutto, controlla l’80% della distribuzione della carta stampata. L’autonomia dei media è progressivamente erosa dalla propaganda statale. Emittenti pubbliche come BNT (Televisione Nazionale Bulgara) e BNR (Radio Nazionale Bulgara) sono considerate neutrali, tuttavia dipendono al 100% dai sussidi statali e, inoltre, il direttivo è solitamente a nomina politica. I mezzi d’informazione privati e, ancora di più, locali dipendono dai finanziamenti pubblici, essenziali anche se minimi. Solo alcuni mezzi d’informazione online stanno cercando di eludere questi meccanismi, ma devono ancora trovare una loro sostenibilità economica.

Sembra un paradosso che l’ingresso nell’Unione Europea e il declino della libertà d’informazione abbiano coinciso in Bulgaria.

Dopo aver soddisfatto i criteri d’accesso, le riforme in Bulgaria hanno proceduto a un ritmo molto più lento. Le istituzioni europee non hanno il potere di punire le violazioni della libertà d’informazione nei paesi membri e, in effetti, solo l’OSCE ed il Consiglio d’Europa hanno alzato la voce in un paio di occasioni. Eppure l’UE dovrebbe indagare su come sono usati i fondi strutturali perché il governo compra l’assenso dei media essenzialmente con i soldi delle campagne informative comunitarie. Questa prassi prende il nome di ‘sussidio selettivo’ o ‘tangente legale’. 

È il turno della Bulgaria alla presidenza dell’UE: un’ottima occasione per parlare di libertà d’informazione?

Cinque anni fa l’UE ha tenuto un incontro sulla libertà d’informazione dove evocava ciò che dovrebbe essere ripetuto a gran voce oggi: le istituzioni comunitarie devono diventare competenti in materia di tutela della libertà d’informazione e costringere al rispetto della Carta dei Diritti Fondamentali, specialmente l’Articolo 11. Nuove procedure legislative di carattere vincolante devono essere approvate ed applicate al più presto. È l’unico modo per mettere pressione a quegli stati membri che non hanno alcun riguardo della professione giornalistica e della salute dell’informazione, vitali per la democrazia.

Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto

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