I grattacieli di Istanbul

La costruzione di grattacieli sempre più alti ad Istanbul è sotto accusa, per il danno che i giganti porterebbero al patrimonio paesaggistico dell’antica capitale bizantina e ottomana. Ma il vero scontro sembra piuttosto sul modello di sviluppo economico voluto dal governo dell’AKP

17/07/2014, Matteo Tacconi -

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Grattacieli a Istanbul (foto L. Zanoni)

Sono tre palazzi di trentasei, trentadue e ventisette piani. Contengono in tutto quasi cinquecento appartamenti. Intorno si sviluppa un’ampia area di venticinquemila metri quadri, adibita principalmente a negozi e parcheggi. È questa la scheda tecnica, breve ma importante nei numeri, di Onaltı Dokuz. Si tratta di un complesso residenziale e commerciale tirato su nel distretto di Zeytinburnu, nella parte occidentale di Istanbul.

Nel sito di Onalti Dokuz si legge del panorama mozzafiato che gli inquilini, dai loro appartamenti, possono ammirare. La vista si posa sulle moschea blu e di Solimano, su Aya Sofya e sul palazzo Topkapı, storica residenza dei sultani. Oltre il Corno d’Oro, la lingua di mare che divide in due la parte europea della città, emerge invece la sagoma tozza della torre di Galata, che completa il celebre skyline di Istanbul.

Il problema è che questo stesso skyline, se inquadrato dall’altro versante di Istanbul, risulta inquinato dalle tre torri di Onaltı Dokuz, che s’incuneano con irruenza in questa silhouette. Per tale motivo lo scorso dicembre un giudice del distretto giudiziario di Istanbul ha ordinato di “limare” i grattacieli di Onalti Dokuz, in modo da salvaguardare lo skyline.

La sentenza non è stata applicata. La ditta costruttrice, Astay, controllata da Mesut Toprak, ha presentato ricorso. Questione di soldi. L’azienda, dovesse davvero abbattere alcuni dei piani dei tre grattacieli, avrebbe ripercussioni negative in termini finanziari. S’attende comunque l’appello.

Grattacieli e politica

Questa vicenda ha anche delle venature politiche. Mesut Toprak è ritenuto vicino al primo ministro Recep Tayyip Erdoğan e alcune ricostruzioni giornalistiche, tra cui quella di Al-Monitor, hanno rivelato che l’imprenditore avrebbe ottenuto il terreno a prezzi agevolati. Non solo: il comune di Istanbul, retto dall’Akp, il partito di Erdoğan, avrebbe cambiato il piano regolatore in modo discutibile, così da permettere a Toprak, che avrebbe donato allo stesso Akp il terreno dove sorge la sua sede di Istanbul, di sviluppare il progetto schivando vincoli culturali e architettonici.

Erdoğan, tramite i suoi collaboratori, ha fatto sapere che a suo tempo aveva esplicitato a Toprak la propria contrarietà al progetto. Ma l’ex ministro della Cultura, Ertuğrul Günay, ha fornito un’altra versione dei fatti. Günay, uscito dal partito dopo che lo scorso dicembre è emerso lo scandalo della corruzione nelle alte sfere dell’Akp, ha spiegato che aveva fatto presente al primo ministro i problemi che le torri di Onaltı Dokuz ponevano a livello paesaggistico. «Ma anziché ascoltarmi Erdoğan disse che stavo esagerando e che gli edifici non avrebbero disturbato la silhouette», ha spiegato Günay al quotidiano Zaman, vicino a Fetullah Gülen. Quest’ultimo è il predicatore che, muovendo gli ingranaggi di Hizmet, la potentissima congregazione civile-religiosa che ha fondato, sta cercando di opporsi a quella che a suo avviso è la deriva autocratica di Erdoğan.

Sviluppo economico o paesaggio?

La vicenda dell’Onaltı Dokuz non è un caso isolato. Le istanza ecologiste emerse durante la protesta di Gezi Park, accoppiate alla questione ancora scottante delle tangenti, a sua volta legata allo scontro in corso tra Erdoğan e Gülen, nonché alle imminenti presidenziali di agosto e alle politiche del prossimo anno, hanno fatto partire una campagna stampa, coordinata proprio dai media gulenisti, intenta a denunciare la foga edilizia che sta ridisegnando o scarnificando, a seconda dei punti di vista, il paesaggio urbano della capitale finanziaria e culturale della Turchia.

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Un altro esempio riguarda la Spine Tower. Con i suoi 200 metri è l’edificio più alto, tra i tanti incapsulati nel distretto commerciale di Maslak. Anch’esso si trova nella porzione europea della città. Dei suoi 47 piani, 27 sarebbero stati edificati irregolarmente. L’area che si sviluppa intorno, invece, avrebbe una superficie verde inferiore rispetto a quella pattuita all’inizio dei lavori. Il bestione, che secondo i detrattori oscura la vista del Bosforo e del palazzo Dolmabahce, che fu sede amministrativa dell’Impero ottomano tra la metà dell’800 e gli anni ’20 del secolo scorso, è stato costruito da Alp Gurkan, un altro imprenditore del mattone considerato vicino all’Akp. Ma Gurkan è anche il proprietario della miniera di carbone di Soma, dove a maggio 300 operai sono rimasti intrappolati sottoterra, perdendo la vita.

Il disastro di Soma ha squadernato il rapporto controverso tra crescita e sicurezza in Turchia. Secondo i critici l’avanzata economica turca, uno dei grandi vanti dell’era Erdoğan, è stata dettata da una scarsa sensibilità verso le condizioni dei lavoratori. La corsa alla ricchezza – questo il succo – è più importante della tutela dell’individuo. Usando una lente più larga, si può dire che la polemica sui grattacieli rientra nello stesso discorso. Le torri ingombranti che sono spuntate in questi anni a Istanbul – ma anche i progetti faraonici come il tunnel sul Bosforo e il nuovo aeroporto – sono il simbolo di un modello socio-economico fondato su regole turbo-capitaliste, in cui quello che conta è il progresso a ogni costo. La differenza è che in questo caso la tutela viene meno non verso il lavoratore, ma nei confronti dello skyline e della stratificazione storica e culturale che lo sorregge.

Alle accuse, l’Akp risponde coi numeri

Sempre sul quotidiano Zaman, recentemente, l’intellettuale Taha Akyol è intervenuto sul tema dei grattacieli, legandolo al concetto di conservatorismo, di cui Erdoğan e l’Akp sono interpreti. Secondo Akyol, tuttavia, quello del primo ministro e della sua formazione non è vero conservatorismo. E per sostenere questa tesi ha usato come caso scuola la realizzazione dell’imponente moschea di Çamlıca, situata sul colle più alto di Üsküdar, sulla sponda asiatica di Istanbul. L’edificio, di quindicimila metri quadri, fortemente voluto da Erdoğan, risulterà visibile da ogni punto della città, una volta ultimato. «Un conservatore o un partito di governo conservatore vedrebbero nella costruzione di una simile moschea, che rivaleggia con quelle più antiche, un gesto irrispettoso verso i valori storici». Quella di Erdoğan è dunque una forma di esibizione, che nulla c’entra con la volontà di ossequiare la fede, intesa come pilastro del conservatorismo.

A queste contestazioni, Erdoğan e la sua squadra rispondono come al solito con i numeri. Quelli economici, come quelli politici. Mai come oggi la Turchia ha goduto di buona salute. In dieci anni il Pil pro capite è triplicato. Il paese ha oggi una classe media che compra, consuma, investe. Mentre l’Akp, dal 2002 a oggi, non ha perso una sola contesa elettorale.

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