I giorni di Sarajevo

Conclusa la terza edizione di Dani Sarajeva, manifestazione che riavvicina serbi e bosniaci nello spazio culturale comune. Circa 300 artisti sarajevesi hanno presentato i propri lavori a Belgrado. La riflessione di Borka Pavičević, del Centro per la Decontaminazione Culturale

21/05/2009, Francesca Rolandi - Belgrado

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È arrivata alla terza edizione la manifestazione Dani Sarajeva (I giorni di Sarajevo) che si tiene a Belgrado per iniziativa della fondazione YIHR, Youth Initiative for Human Right. L’idea dalla quale nasce il progetto è quella di rafforzare, e in molti casi creare, le relazioni tra giovani provenienti dai differenti territori della ex Jugoslavia. Mezzo prescelto, l’arte. Il periodo dell’anno in cui il festival si tiene, il mese di maggio, ha un significato intrinseco in quanto vuole ricordare l’inizio dell’assedio di Sarajevo nel 1992. Uno degli scopi che il festival apertamente si propone è quello di favorire un processo di presa di coscienza degli eventi bellici degli anni ’90 e di stimolare un dibattito anche sui temi più controversi.

Nel caso specifico dei rapporti tra Sarajevo e Belgrado, la mancanza di barriere linguistiche gioca a favore di un progressivo riavvicinamento culturale, permettendo la piena fruizione dei prodotti artistici. Conta inoltre l’esistenza di un fortissimo background comune, sviluppatosi nei decenni della Jugoslavia postbellica, quando le due città erano parti di un unico sistema culturale al quale ognuna apportava la propria specificità. Erano i tempi in cui la New Wave belgradese faceva da colonna sonora nei club sulle rive della Miljacka, e la band-cult Ekv dedicava una canzone a Sarajevo, quelli in cui la trasmissione satirica sarajevese Top list dei surrealisti spopolava nella capitale della Federazione e dalle televisioni belgradesi faceva capolino lo slang di strada di Sarajevo. E le cooproduzioni, teatrali come cinematografiche, erano la quotidianità. Nel 1989, mentre quel periodo volgeva al tramonto, la città di Sarajevo regalò, in occasione del IX vertice dei Paesi non allineati, una copia di uno dei suoi simboli – la fontana Sebilj – a Belgrado, che la posizionò sul fondo della zona pedonale-turistica di Skadarlija. Proprio quella fontana è ora uno dei simboli della manifestazione "I giorni di Sarajevo".

Attraverso una quattro giorni piuttosto intensa gli organizzatori dell’evento, che gode quest’anno per la prima volta del sostegno delle autorità cittadine di Belgrado, hanno offerto una panoramica esaustiva dell’attuale scena culturale della capitale bosniaca. Il teatro l’ha fatta forse da padrone, fin dalla serata di apertura ccn la commedia surreale "Vremenski tunel" (Il tunnel del tempo), da un testo del drammaturgo Nenad Veličković. In "Vremenski tunel" un gruppo di studenti entra nel tunnel che collega le improbabili piramidi di Visoko alla ricerca di indizi che confermino le bizzarre teorie di una Bosnia come "culla della civiltà" e si trovano catapultati nella storia bosniaca, dove incontrano personaggi quali Gavrilo Princip, Aleksa Šantić, il partigiano Walter. Tra storia e attualità i riferimenti, conditi da humor, sono continui. "Tu vuoi sparare agli occupanti" dice uno dei ragazzi a Princip "ma devi sapere che tra meno di un secolo avremo il marco tedesco come moneta e un Alto rappresentante della comunità internazionale". Sono seguite due pièce per la regia di Dino Mustafić, "Mortal kombajn" e "Zvijer na mjesecu" (La belva sulla luna), che parlano, rispettivamente, di politica e transizione la prima, del genocidio nascosto del popolo armeno la seconda, e "Budućnost je u jajima" (Il futuro è nelle uova) da un testo di Jonesco.

La programmazione musicale è stata anch’essa nutrita. Ha aperto la rassegna il gruppo Dubioza Kolektiv che, attraverso un mix di dub, reggae e hard core, si fa portavoce di un’alternativa politica alle derive nazionaliste della Bosnia Erzegovina. Ma è stato in particolare il Damir Imamović Trio, che prosegue nel suo progetto di esplorare in varie direzioni la sevdah, musica tradizionale della Bosnia Erzegovina, a registrare il tutto esaurito e a provocare nel pubblico un vero trasporto emotivo. E, oltretutto, a raggiungere un pubblico ben più esteso dell’ambiente di attivisti che è naturalmente portato a frequentare questo genere di eventi.

Il viaggio attraverso la società bosniaca è proseguito con una serie di documentari, attraverso i quali si è parlato di guerra, delle sue premesse e delle sue conseguenze, ma anche di attualità. In particolare le proiezioni di "Queer Sarajevo Festival 2008" e "Demokracija u prevodu" (Democrazia in traduzione) hanno spinto il pubblico al dibattito: il primo denuncia le aggressioni e le violenze avvenute nella notte dell’apertura (e immediata chiusura) del primo evento culturale della locale comunità LGBT, nella silenziosa connivenza della polizia e della gran parte del mondo politico; "Demokracija u prevodu" racconta invece l’ondata di partecipazione politica dal basso che la scorsa primavera ha portato per le strade la società civile di Sarajevo con la richiesta di dimissioni dei vertici cittadini e cantonali. Oltre a ciò ancora arte contemporanea, come il "Calendario urbano" di Ajna Zatriċ, esposto all’esterno del Teatro drammatico jugoslavo, fotografia (Rikard Larma), eventi letterari (la presentazione dell’ultimo libro di Miljenko Jergović, conosciuto in Italia soprattutto per "Le Marlboro di Sarajevo"), party (dj set del duo femminile Starke), panels di discussione sui temi della libertà di movimento e regime dei visti, libertà di espressione e di stampa, libertà di orientamento sessuale.

Borka Pavičević, direttrice del Centro per la decontaminazione culturale, si dichiara molto soddisfatta dell’evento: "Si tratta del coronamento di un lungo lavoro, iniziato negli anni ’90 con mostre su Sarajevo, Tuzla, Srebrenica. Da quest’anno, per la prima volta, abbiamo avuto anche un appoggio istituzionale, in particolare dai vertici cittadini, il che è senz’altro positivo. In un certo senso il tempo ha lavorato nella direzione giusta, dal momento che ci è riuscito quello che non era stato possibile alcuni anni fa con la manifestazione su Srebrenica, alla quale venne rifiutato uno spazio istituzionale. Il lavoro della società civile è appunto quello di fare pressione sul governo. Rispetto al festival, in particolare io credo che sia stato molto interessante il dibattito avvenuto il 17 maggio, giorno internazionale contro l’omofobia. Per una volta si è parlato di una diversità che non è quella nazionale, si sono sottolineate le pressioni delle autorità religiose sulla società civile e si sono demistificati alcuni miti entrati nella coscienza collettiva".

Tra eventi, performances e dibattiti, il festival "Dani Sarajeva", che ha portato quasi 300 artisti sarajevesi a Belgrado, sembra essere riuscito nel suo intento di dare un piccolo contributo alla migliore conoscenza reciproca di due realtà che spesso, anche solo per inerzia, non comunicano.

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