I dolori del calcio kosovaro
Un vero e proprio ghetto calcistico. E’ il Kosovo dei nostri giorni, la cui federazione di calcio aspetta ancora il riconoscimento di Uefa e Fifa. I professionisti kosovari danno il meglio di sé all’estero, nei Paesi di adozione. E c’è qualcuno che è riuscito a passare dalla lega-ghetto alla Champions League
Lo slogan della Uefa “We care about football” non si applica al Kosovo. Da vent’anni le vicende politiche del Paese costringono questo sport all’isolamento, causa l’impossibilità per le sue squadre di giocare all’estero.
“Agosto ha segnato i vent’anni dalla fine della lega jugoslava”, dice Eroll Salihu, ex giocatore nel Pristina FC e ora Segretario generale della Federazione calcio del Kosovo. “Generazioni di calciatori hanno iniziato e terminato la carriera in questo ghetto sportivo”.
Ancora fuori dalla FIFA
Il calcio kosovaro vive in isolamento dagli anni novanta, e dal 1999 aspetta che la politica faccia una mossa. La dichiarazione d’indipendenza del febbraio 2008 e il riconoscimento da parte di 81 Paesi di quest’ultima sono elementi a favore, ma lo statuto Uefa stabilisce esplicitamente che l’ammissione di una nuova federazione è condizionata al riconoscimento del Paese da parte delle Nazioni Unite. Anche la Federazione mondiale (Fifa) deve ancora essere convinta ad accettare il Kosovo come membro numero 209, ma in questo caso lo statuto lascia maggiori speranze:
"Ogni associazione responsabile dell’organizzazione e supervisione del gioco calcio nel proprio Paese può diventare membro Fifa. In questo contesto, per ‘Paese’ si intende uno stato indipendente riconosciuto dalla comunità internazionale”. Qui il Kosovo può sfruttare il pronunciamento del Tribunale internazionale di giustizia, secondo cui la dichiarazione d’indipendenza non viola il diritto internazionale.
Secondo Salihu, i fatti sono dalla parte del Kosovo. “Le Nazioni unite hanno accettato l’esistenza del Kosovo con la sentenza del Tribunale – chiarisce – ma il Kosovo sta pagando il prezzo di regole adottate solo per evitare richieste da parte di regioni problematiche". Per poi concludere: “Noi siamo disposti ad ospitare amichevoli con le squadre di Paesi che riconoscono il Kosovo, ma la Uefa lo proibisce”.
Le istituzioni a sostegno dello sport accompagnano le federazioni sportive in questa battaglia. Il ministero per la Cultura, i Giovani e lo Sport ha fatto del riconoscimento internazionale dello sport kosovaro una priorità: “Il ministero appoggia le federazioni che vogliono entrare a far parte delle associazioni internazionali”, dice Malsor Gjonbalaj, consigliere per lo sport del ministero. Questo significa sostegno tecnico ed economico per le trasferte, ma anche misure politiche e legislative e investimenti in infrastrutture. “Le infrastrutture sono fondamentali per le federazioni internazionali, quindi noi lavoriamo su quello mentre le associazioni lavorano per il riconoscimento nei rispettivi sport”, continua Gjonbalaj.
Gli unici sport presenti a livello internazionale
Al momento, solo tre sport competono a livello internazionale: pallamano, ping-pong e lotta. Almeno altre due federazioni devono essere riconosciute perché la Commissione olimpica del Kosovo possa entrare in quella internazionale. E sembra che alle tre si aggiungerà presto quella del tiro a segno a competere nell’arena internazionale.
Nel frattempo, il Kosovo guarda alla judoka diciannovenne Majlinda Kelmendi (categoria sotto i 52 kg) come sua possibile prima rappresentante olimpica. Kelmendi, già campionessa europea e mondiale junior, sta cercando di conquistare i punti necessari per partecipare ai Giochi di Londra nel 2012. Rimane però da vedere se gareggerà sotto la bandiera della Federazione internazionale judo, come ha fatto finora, o sotto quella del Kosovo.
Professionisti dello sport in altri Paesi
Tuttavia, per il pubblico non è cosa nuova vedere sportivi kosovari rappresentare altri Paesi nelle competizioni internazionali. È noto che giocatori chiave della nazionale di calcio albanese hanno origini kosovare. Altri giocatori nati in Kosovo giocano nelle squadre dei Paesi dove sono cresciuti, ad esempio Finlandia, Svezia e Svizzera (dove hanno il ruolo più significativo). Valon Behrami e Albert Bunjaku hanno partecipato ai Mondiali sudafricani del 2010, mentre Xherdan Shaqiri si sta mettendo in luce nelle qualificazioni agli Europei 2012, attirando l’attenzione di prestigiosi club europei. Questi campioni sono fonte d’ispirazione e stimolo per i seimila praticanti nel Paese.
Prendiamo ad esempio Fatos Beqiraj, 23 anni, cresciuto nella prima divisione del Kosovo fino al 2008. Dopo un trasferimento a Podgorica (Montenegro), l’anno scorso è stato ingaggiato da una delle migliori squadre della regione, la Dinamo Zagabria e ha conquistato la qualificazione per la stagione di Champions League. Beqiraj è l’unico calciatore che è riuscito a passare dalla lega-ghetto del Kosovo alla Champions League e realizzare il sogno di giocare al Santiago Bernabeu contro il Real Madrid.
Davanti a tanti limiti, una nota positiva. I giocatori kosovari possono ora contare sul regolamento Uefa in merito a trasferimenti. Dall’estate del 2010, ogni club kosovaro ha quindi diritto di negoziare la vendita all’estero di propri calciatori. “Una cosa è certa. Non abbiamo smesso di giocare nelle circostanze terribili degli anni novanta e non smetteremo ora”, afferma con determinazione Salihu.