I dieci anni di Mesić

Il 18 febbraio scorso, con l’insediamento ufficiale del nuovo presidente croato Ivo Josipović, si è concluso definitivamente il decennio di Stjepan Mesić. Il nostro corrispondente ha tracciato un profilo dell’era Mesić, segnata soprattutto dal rafforzamento delle istituzioni democratiche

25/02/2010, Drago Hedl - Osijek

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Stjepan Mesic (foto di Bertelsmann Stiftung/flickr)

Stjepan Mesić (75) dopo essere stato a capo della Croazia per un intero decennio, adesso scherzando dice che sarà un "ex presidente della Repubblica a vita". Nei Balcani questo è un titolo abbastanza raro, da queste parti i funzionari di stato solitamente lasciano la funzione per motivi biologici (Tito, ex presidente a vita della Jugoslavia; il predecessore di Mesić, Franjo Tuđman), oppure grazie a storiche rivoluzioni (il presidente della Serbia Slobodan Milošević oppure, prima di lui, Nicolae Ceauşescu). Quando il 18 febbraio il terzo presidente croato, Ivo Josipović, ha prestato giuramento, Mesić ha consegnato i poteri secondo la procedura eseguita nei paesi democraticamente maturi, tanto che i croati, per la prima volta dopo l’indipendenza del 1991, hanno avuto l’occasione di vedere come si svolge questa cerimonia.

Chiunque volesse valutare il decennio della presidenza Mesić, non potrà evitare i sei punti fondamentali che hanno segnato i suoi due mandati quinquennali. Il primo è il netto distacco dal modo di governare del suo predecessore, l’autoritario Franjo Tuđman. Assumendo i poteri, Mesić aveva promosso il sintagma "presidente cittadino" e lo ha seguito per tutti i dieci anni, senza trasformare la sua posizione in una "missione divina" che rendesse felici i suoi sudditi.

Secondo, ha lavorato molto per far uscire la Croazia dall’isolamento internazionale in cui era finita a causa della fallimentare politica di Franjo Tuđman verso la Bosnia Erzegovina, durante la guerra, ma anche in seguito, e grazie alle relazioni con il Tribunale dell’Aia.

Terzo, si è impegnato strenuamente per la riaffermazione dei valori antifascisti, che durante il periodo di Tuđman erano stati fortemente esclusi per via del dichiarato sostegno ai neo ustascia e al vergognoso capitolo della storia croata riguardante il regime filo-nazista di Ante Pavelić (1941-1945).

Quarto, come capo delle Forze armate, Mesić, decidendo di mandare in pensione 12 generali dell’Esercito croato che avevano iniziato a immischiarsi nella politica e all’inizio del suo primo mandato avevano quasi portato a termine un golpe, ha dato un forte contributo alla depoliticizzazione dell’esercito, molto prima che la Croazia entrasse nella NATO.

Quinto, come presidente della Repubblica, Mesić si è opposto fortemente ai tentativi di una parte della Chiesa di immischiarsi nella vita politica, motivo per cui è entrato in aperto contrasto, a volte anche molto aspro, con una parte del clero cattolico.

Sesto, Mesić si è impegnato fortemente per portare a processo tutti i crimini di guerra, inclusi quelli compiuti dai soldati croati. Ha sempre sottolineato la necessità di individualizzare la colpa, per poter togliere da tutti i popoli la responsabilità dei crimini.

Uno dei più noti intellettuali croati, il professor Žarko Puhovski aggiunge ai questi meriti di Mesić anche il seguente: "Una delle caratteristiche positive più importanti della sua presidenza è stata di accettare la forte riduzione dei poteri presidenziali, che ancora erano in vigore quando è stato eletto. E’ un atto che i politici compiono con molta fatica: una volta eletti con determinati poteri, cercano di mantenerli e ampliarli. Stipe Mesić, in accordo con le sue promesse pre-elettorali, ha accettato che gli venissero ridotti notevolmente. Questo, sotto il profilo morale e costituzionale, è un’importante caratteristica dell’inizio del suo primo mandato."

Per tutti i dieci anni Mesić, secondo vari sondaggi d’opinione, è stato il politico croato più popolare. Popolarità che, con lievi oscillazioni, ha mantenuto l’eccezionale media del 72 percento.

Tuttavia, i suoi critici gli rimprovereranno la tendenza a commentare tutto e tutti e di essere a questo riguardo troppo spesso incoerente. Nel continuo desiderio di voler essere spiritoso, persino dove non c’è spazio per l’umorismo, Mesić è stato spesso vulnerabile ai commenti dei media, e a volte la sua inclinazione nel cercare compromessi politici per motivi pragmatici lo ha portato in situazioni che si discostavano dalle sue prese di posizione .

"Stando alla frequenza, entrambi gli aspetti, sia quello positivo che quello negativo, sulla bilancia di Mesić forse sono alla pari", afferma il noto storico Slavko Goldstein, "ma fra di loro c’è una importante differenza di valore, evidente già a prima vista. Sul lato negativo si trovano cose passeggere che durano un giorno o due, e che vengono presto dimenticate nel vortice dei nuovi avvenimenti, mentre sul lato positivo ci sono i valori durevoli che si ricordano, e che ricorderà anche la storia, perché hanno contribuito notevolmente, alla fine del decennio di Mesić, a far sì che la Croazia sia diventata un paese più democratico e più ‘simpatico’ rispetto a come era prima della sua presidenza".

Mesić, però, non sarà ricordato solo per questo. La sua interessante vita assomiglia ad uno scenario cinematografico. Suo padre era un partigiano di Tito, mentre non ricorda l’immagine di sua madre, morta quando lui aveva solo un anno e mezzo. E’ stato uno studente nella media e si è laureato in legge nel 1961. Presto, diventa sindaco di un piccolo comune della sua nativa Orahovica, e quattro anni più tardi viene eletto nel Parlamento della Croazia, quando ancora faceva parte della Jugoslavia. E’ stato il primo deputato ad essere eletto dai cittadini e non secondo il dettato del partito comunista. Nel 1971, durante gli eventi che segnarono la "primavera croata" viene accusato del tentativo di frantumare la Jugoslavia, motivo per cui finisce in carcere per un anno.

Continua questa battaglia nel 1989, nel periodo della nascita del pluripartitismo in Croazia. Si aggrega alla Comunità democratica croata (HDZ) di Franjo Tuđman, che vinse alle prime elezioni pluripartitiche nel 1990. Diventa il primo premier croato, e nell’autunno dello stesso anno, quando in ex Jugoslavia si aveva già il presentimento del sanguinoso crollo del paese, va a Belgrado come membro della Presidenza della Jugoslavia, l’organo collegiale del paese composto dai rappresentanti di tutte le otto repubbliche e regioni autonome di allora. L’anno successivo, diventa presidente di questa Presidenza, ma il paese è già in guerra.

Mesić sarà quindi ricordato come l’ultimo presidente della Jugoslavia, di quel paese che per le enormi differenze dei suoi popoli e a causa della soppressione dell’antagonismo esploso dopo la morte di Tito, e del tentativo di Slobodan Milošević di imporre la dominazione della Serbia, non aveva alcuna possibilità di sopravvivere.

Nel 1991 Mesić torna a Zagabria, sopravvive al tentativo di attentato quando l’Esercito popolare Jugoslavo bombarda l’ufficio di Tuđman nel centro di Zagabria, e dove al tempo risiedeva anche Mesić. L’anno successivo viene eletto alla presidenza del parlamento croato, ma ben presto entra in conflitto con Tuđman e con le ambizioni di quest’utlimo sulla vicina Bosnia Erzegovina, affinché una sua parte fosse annessa alla Croazia.

Cade nuovamente in disgrazia politica. Abbandona l’HDZ e fonda un suo partito, che però non ha successo alle elezioni, tanto che poi si unisce al Partito popolare croato (HNS) e come suo candidato, dopo la morte di Tuđman, nel dicembre 1999, si presenta alle elezioni presidenziali. Partendo da outsider, a cui veniva assegnato solo il cinque percento di voti, vince trionfalmente alle elezioni e il 18 febbraio 2000 diventa ufficialmente il secondo presidente croato.

Mesić è stato il politico croato con più "trofei" e almeno per questo motivo avrà un posto assicurato nella storia: ha ricoperto le tre cariche politiche più importanti della Croazia, cosa mai accaduta prima di lui, e di esempi di questo tipo ne esistono pochi anche a livello internazionale. È stato premier della Croazia, presidente del Parlamento e presidente della Repubblica per due mandati, oltre ad essere stato l’ultimo presidente della Presidenza jugoslava.

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