I costi dell’intervento
Sempre più spesso la Macedonia invia militari in missione all’estero, per tentare di accellerare il percorso di avvicinamento a Nato e Ue. La morte di 11 peacekeepers di ritorno dalla Bosnia, in seguito ad un incidente aereo, ha però messo il paese di fronte ai costi di questa politica
Il 12 gennaio scorso, intorno a mezzogiorno, un elicottero dell’esercito macedone è precipitato nei pressi del villaggio di Blace, non lontano da Kumanovo. Gli undici militari presenti a bordo sono tutti morti. Erano di ritorno dalla Bosnia, dove avevano servito per sei mesi all’interno della missione di monitoring dell’Unione Europa "Altea".
L’elicottero su cui viaggiavano, un MI-17, aveva già iniziato le operazioni di atterraggio verso l’aereoporto di Skopje quando è precipitato. E’ ormai certo che le scarse condizioni di visibilità, determinate dalla fitta nebbia presente sul posto, siano state un fattore centrale nel provocare la tragedia.
Eppure, l’elicottero era un mezzo dotato di tecnologie avanzate. Nel 2005 era stato rammodernato e dotato di dispositivi per il volo notturno, che permettono di volare anche nelle condizioni più difficili.
Dopo essere stato ammodernato, nel 2005, (insieme ad altri tre elicotteri dell’esercito macedone), l’MI-17 precipitato era considerato una macchina all’avanguardia. Secondo i media macedoni, soltanto altri tre eserciti in Europa, quelli di Gran Bretagna, Francia e Spagna, e non più di quindici a livello mondiale, dispongono attualmente di dispositivi per il volo notturno.
Questo, tra l’altro, rappresenta il principale motivo per cui l’Ue ha insistito per una partecipazione macedone all’"Altea", invito subito accettato da Skopje.
"Il vostro contributo sarà davvero importante, voi fornite elicotteri che sono fondamentali per questo tipo di operazioni", dichiarò Javier Solana al ministro della difesa macedone Jovan Manasievski nel luglio 2006, quando venne sottoscritto a Bruxelles l’accordo di partecipazione macedone alla missione.
Solana sottolineò anche il valore politico di questa partecipazione, che vedeva la Macedonia prendere parte attiva ad una missione militare dell’Unione Europea.
La tragedia del 12 gennaio ha provocato dolore nel paese, ed ha dato vita ad un acceso scontro politico, col governo e l’opposizione a scambiarsi reciproche accuse. L’indagine sull’accaduto è ancora in corso, le scatole nere dell’elicottero sono state spedite in Russia (paese di produzione dell’MI-17, mentre l’ammodernamento è stato effettuato con tecnologia israeliana), per essere decodificate, nella speranza di gettare luce sulle cause dell’incidente.
[]e umano o problemi tecnici? Anche se una risposta a questa domanda è di sicura importanza, non riuscirà comunque a portare indietro gli uomini caduti, e per la prima volta la Macedonia deve affrontare il dolore della morte di giovani soldati deceduti in missione all’estero.La presenza macedone in missioni internazionali è diventata, come spesso succede, una questione innanzitutto politica. Il parlamento deve approvare le missioni, e di solito lo fa in fretta e senza troppo dibattito, visto l’imperativo di ingraziarsi l’Ue e la Nato.
Fino a pochi anni fa, la Macedonia stessa aveva sul proprio territorio una missione militare internazionale di peacekeeping, arrivata dopo il conflitto etnico divampato nel 2001. Il paese si è quindi trasformato, nel giro di pochi anni, in un paese che manda propri soldati all’estero.
"La fine della missione militare europea "Concordia" sul suolo macedone, e il successivo coinvolgimento delle nostre forze in Afghanistan ed Iraq, dimostrano chiaramente il profondo cambiamento della nostra posizione internazionale, la crescita della nostra credibilità e sottolineano il nostro contributo alla pace ed alla sicurezza globali", dichiarò, nel 2003, l’allora ministro della Difesa Vlado Buckovski, alla vigilia dell’invio del primo contingente macedone in una missione all’estero.
Al momento, la Macedonia ha circa 200 militari dislocati tre Afghanistan, Iraq, Bosnia e, dal 2007, anche in Libano. La presenza più significativa, con 130 tra soldati, ufficiali e personale medico, è quella in Afghanistan, 40-50 uomini sono in Iraq mentre sono circa 20 i piloti impegnati in Bosnia
La presenza in Libano, che si limita a pochi ufficiali, ha però un forte significato simbolico per il paese, visto che rappresenta il primo contributo della Macedonia ad una missione di peacekeeping delle Nazioni Unite.
La decisione di mandare truppe in Libano ha diversi risvolti politici, e viene interpretata anche come un tentativo di ingraziarsi la Francia, che attualmente ha il comando di questa missione, e di ammorbidire la posizione, piuttosto scettica, che questa ha dimostrato più volte sull’ingresso della Macedonia nell’Ue.
Dal 2003 il numero dei soldati macedoni impegnati in missioni all’estero è andato gradualmente aumentando, soprattutto a causa delle richieste fatte dalla Nato. Ci si aspetta che anche gli attuali 200 uomini impegnati diverranno ancora di più dopo l’ingresso nell’Organizzazione Nord-Atlantica, o addirittura dopo il semplice invito all’ingresso, che dovrebbe avvenire il prossimo aprile nel summit di Bucarest (ma che rimane incerto a causa dell’opposizione della Grecia).
Le missioni rappresentano per Skopje un peso economico non indifferente. Secondo esperti militari, l’attuale budget macedone non permette il mantenimento di più di 200 uomini in missione oltre confine. Secondo il ministero della Difesa, mantenere le forze attualmente dispiegate in missioni internazionali costa ogni anno circa nove milioni di dollari.
Secondo alcuni media, i soldati macedoni in Iraq detenevano negli anni scorsi il poco invidiabile record dei salari più bassi tra tutti gli uomini impiegati nel paese, secondo altri invece, sarebbero stati "secondi" in questa speciale classifica, dopo gli uomini dell’esercito del Kyrgystan.
Nell’ottobre del 2005, però, il ministro Manasievski ha approvato un aumento di 400 dollari, che ha fatto salire le retribuzioni a 2.300-2.900 dollari (in Afghanistan sono leggermente più basse). Con questo aumento, le truppe macedoni hanno iniziato a percepire un salario leggermente superiore a quelle della vicina Albania, pur restando molto indietro rispetto a quelle croate, che ricevono circa 1000 dollari in più.
Il "gruppo Adriatico" (Albania, Croazia e Macedonia) ha inviato truppe congiunte in Afghanistan nel 2005 (sotto comando greco) all’interno della Brigata dell’Europa Sud-orientale (SEEBRIG). Ci si aspetta che questa brigata sarà ulteriormente rinforzata dalla Nato a partire dal 2008.
Nel 2004 le forze macedoni in Iraq hanno ricevuto apprezzamenti dalla "Jane’s Intelligence Review", per il successo di alcune operazioni nella parte sud di Bagdad, che portarono ad arresti e alla scoperta di vari depositi di armi. Più di trenta soldati macedoni sono stati decorate da altri paesi per il proprio comportamento in missione, alcuni per aver salvato la vita a propri commilitoni.
Per la Macedonia, come per altri paesi della regione, non sembra esserci alternativa alla partecipazione alle missioni di peacekeeping internazionali. "Aumentiamo la nostra partecipazione perché questo accorcia i tempi di attesa per entrare nella Nato", ha affermato ripetutamente l’attuale ministro della Difesa macedone.
Purtroppo, però, come la Macedonia ha imparato recentemente e con dolore, questo significa anche che alcuni degli uomini impegnati possono non tornare più a casa. E se questa considerazione vale anche per i paesi più grandi, per la piccola Macedonia il prezzo in vite umane pagato in questi giorni sembra a molti insopportabile.