Abkhazia, Georgia, Russia | | Politica, Unione europea
I confini non sono per sempre
Il difficile dialogo con il governo di Tbilisi, i rapporti con l’Europa e la Russia, le prospettive di sviluppo di un territorio la cui indipendenza non ha ottenuto ampio riconoscimento internazionale. Un’intervista con Maxim Gvinjia, de facto ministro degli Esteri dell’Abkhazia
Maxim Gvinjia si è fatto migliaia di chilometri ogni mese per cercare il riconoscimento dell’Abkazia in qualità di vice di Sergey Shamba, de facto ministro degli Esteri dell’Abkhazia. Dopo la sua recente promozione a ministro, Gvinjia ha intensificato ulteriormente la sua agenda. Osservatorio Balcani e Caucaso lo ha incontrato a Sukhumi nel mese di febbraio
Quali Paesi ha visitato questo mese?
Sono stato in Argentina, Ecuador, Cuba, Venezuela, Italia, Russia…
Fino ad oggi solo quattro Paesi hanno riconosciuto l’Abkhazia (Russia, Venezuela, Nicaragua e Nauru). Vi aspettate altri riconoscimenti?
Il riconoscimento non è una cosa che si ottiene immediatamente. C’è bisogno di un clima politico particolare, spesso condizionato dalla situazione internazionale. L’Abkhazia è stata riconosciuta da alcuni Paesi e non da altri, ma dal punto di vista del diritto internazionale non è importante se uno stato è riconosciuto da un Paese, da due, da tre, o da cinquantaquattro, qual è la differenza? Ci sono tanti Paesi al mondo che hanno ottenuto solo un parziale riconoscimento a livello internazionale, incluso Israele.
Dal punto di vista legale non vedo quindi una differenza reale tra l’Abkhazia e tanti alti Paesi. Purtroppo però, a livello internazionale le decisioni vengono in un certo modo, e ciò che è normale per il Kosovo, la cui indipendenza è stata riconosciuta da molti Paesi occidentali, non lo è per l’Abkhazia.
Cerchiamo di ottenere il riconoscimento da ogni Paese del mondo che mostri un atteggiamento positivo nei confronti dell’Abkhazia. Nei casi di Bielorussia, Ucraina e alcuni altri, questo passo potrebbe avvenire in un contesto politico favorevole. Alcuni Paesi sarebbero pronti a riconoscerci, ma preferiscono aspettare per utilizzare questa scelta nel momento più opportuno dal punto di vista delle relazioni internazionali.
Il nostro scopo principale è avere il maggior numero di amici possibile, con quei Paesi che non sembrano intenzionati a riconoscere l’indipendenza dell’Abkhazia, cerchiamo comunque di sviluppare relazioni economiche. Per noi il riconoscimento economico è altrettanto importante quanto quello politico.
È noto che l’Abkhazia ha relazioni a livello non ufficiale con diversi Paesi che si affacciano sul Mar Nero. Avete intenzione di migliorare le relazioni con altri Paesi Europei?
Facciamo tutto il possibile per avere dei contatti con l’Unione Europea e di presentare loro le nostre questioni, anche se spesso i nostri cittadini non riescono neppure ad ottenere un visto per l’Europa, anche se si tratta di cure mediche o questioni umanitarie.
Questo accade nonostante l’immigrazione in Europa dall’Abkhazia sia praticamente inesistente. Ma il fatto che l’Europa non ci riconosce è in realtà un problema per la stessa Europa. Noi esistiamo. Siamo un Paese europeo e un vicino dell’Europa. Ma l’Europa continua a sviluppare la propria strategia basandosi su fattori politici, non sulla realtà dei fatti. Come può avere successo la politica di vicinato dell’Unione Europea se non si basa sulla realtà dei fatti?
Molti Paesi in Europa determinano le loro relazioni con l’Abkhazia a partire da loro rapporti con la Russia. Non riconoscono l’Abkhazia perché siamo alleati della Russia, ma non abbiamo intenzione di cambiare il nostro rapporto con la Russia solo per essere più vicini all’UE, non vogliamo prender parte a questo gioco geopolitico.
Cosa pensa dell’opinione secondo cui la Russia sta prendendo il controllo dell’Abkhazia?
Abbiamo rapporti con la Russia da duecento anni. È una realtà storica e non ha senso far finta di non avere forti relazioni con la Russia.
Nella nostra storia recente, in questi 16 anni, eravamo in una situazione anche più fragile di quella attuale. Ciononostante, prendevamo decisioni per conto nostro. La nostra determinazione nel rimanere indipendenti è solida e non siamo intenzionati a rinunciarvi.
Ma spero nello sviluppo di politiche più costruttive negli Stati Uniti. La nostra priorità è migliorare gli standard di vita della nostra popolazione e per questo vogliamo avere buoni rapporti con tutti i Paesi. Altri Paesi dello spazio post-sovietico credono che negare il passato e attaccare la Russia li possa aiutare ad avvicinarsi all’Europa, ma non è questo il punto. Per avvicinarsi all’Europa e all’Occidente è fondamentale sviluppare valori europei.
Le nostre relazioni con i nostri vicini e i Paesi europei cambiano… la Russia e la Germania si sono scontrate durante la Seconda guerra mondiale, ma oggi sono buoni partner e alleati. Molte capitali occidentali sarebbero contente di vedere una politica anti-russa in Abkhazia, ma perché mai dovremmo comportarci in questo modo?
I negoziati di Ginevra promossi dall’Unione Europea sono l’unico canale ufficiale di dialogo con la Georgia. Come procedono?
È una negoziazione molto difficile. Abbiamo cercato di trovare accordo sui principi di base con le nostre relazioni future con la Georgia. Per noi la cosa più importante è garantire che non combatteremo più. La stabilità è il fattore principale per lo sviluppo dell’Abkhazia e dell’intera regione. Guardiamo sempre alla nostra regione con l’idea di stabilire un dialogo.
Attualmente molti Paesi della regione soffrono di isolamento e stagnazione economica, e purtroppo anche la Georgia ha delle responsabilità in questo senso. Siamo disposti ad avere un dialogo con la Georgia perché geograficamente siamo vicini, ma purtroppo l’attuale situazione politica a Tbilisi rende tutto molto difficile.
Perché l’Abkhazia deve essere indipendente?
Il nostro è un caso unico. Stiamo cercando di costruire la nostra statualità. Dopo la guerra, siamo rimasti isolati e le nostre infrastrutture erano completamente distrutte. Ma abbiamo superato questo esame di sostenibilità, e se qualcuno vuole analizzare la questione della nostra indipendenza, vedrà che si basa su diritti legali, morali e storici. Ci sono molti Paesi non riconosciuti al mondo, inclusi Somaliland e Taiwan.
In molti hanno un’idea chiara di cosa significhi ”autodeterminazione” e né l’UE ne Washington possono dare un giudizio definitivo a riguardo. Quando qualcuno sente che i propri diritti non sono tutelati a sufficienza, questo ha il diritto di cercare un governo migliore e se necessario cercare l’indipendenza. I confini dei Paesi non sono per sempre.
Il governo di Tbilisi ha recentemente presentato un nuovo piano per la reintegrazione di Abkhazia e Ossezia del Sud. Cosa ne pensa?
Non ci aspettiamo sostanziali novità dall’attuale governo georgiano, perché ci stiamo allontanando ogni giorno di più. La Georgia parla continuamente di nuove idee riguardo l’Abkhazia ai media internazionali, ma non li propone direttamente a noi. Cercano sembra di giocare alla risoluzione pacifica del conflitto, ma senza fare passi concreti. La realtà, è che vige un embargo economico.
Il distretto di Gali è abitato principalmente da mingreli (georgiani). Nelle negoziazioni, si considera la possibilità di cedere il distretto di Gali in cambio del riconoscimento della vostra indipendenza da parte di Tbilisi?
Questa non è una questione negoziabile. Non si tratta di negoziare territori che abbiamo occupato, si tratta della nostra patria. Gali è sempre stata parte dell’Abkhazia.
I segni della guerra e della distruzione sono però ancora molto evidenti a Gali…
È così per via dell’isolamento economico. In condizioni favorevoli sarebbe possibile ricostruire il Paese in tempi brevi, ma per quanto riguarda Gali e l’Abkhazia orientale nel suo complesso ci sono molti problemi legati all’embargo economico imposto dalla Georgia. Se non fosse per questo, Gali potrebbe diventare ben presto un luogo dove vivere nel benessere, perché si trova al centro della principale zona agricola dell’Abkhazia.