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I cittadini fantasma
Un terzo della popolazione albanese vive all’estero, e sostiene con i suoi investimenti l’economia del paese. Tirana, però, non gli riconosce il diritto al voto. Ora la questione inizia ad essere affrontata dai politici, che guardano a questi voti in vista delle consultazioni del 2009
Più di un milione di cittadini albanesi – circa un terzo della popolazione – vive all’estero, e fa parte della categoria dei cosiddetti "cittadini fantasma", a cui è negato il diritto al voto. La costituzione albanese, infatti, non prevede una modalità di voto per i cittadini residenti all’estero.
Nonostante il fenomeno perduri da quasi due decenni, in Albania la negazione di questo diritto inizia a destare preoccupazione solo in questi ultimi mesi, in vista delle elezioni del 2009. Con l’avvicinarsi delle votazioni, in cui è in gioco il futuro del paese, il mondo politico albanese si è accorto dell’anomalia che sacrifica migliaia di potenziali voti, che potrebbero fare la differenza tra la rielezione di una destra monocolore e l’ascesa al governo di una sinistra divisa.
Non tutti, però, la pensano allo stesso modo. Il dibattito è stato aperto dalla società civile e da diversi analisti, che hanno proposto di includere il diritto di voto degli albanesi all’estero nel pacchetto di riforma della legge elettorale.
Uno dei primi a trattare l’argomento è stato il G99, una struttura che fa parte della società civile ma che non ha uno status ben definito, tanto che c’è chi prevede un suo possibile approdo in politica nel 2009. Il suo leader, Erjon Veliaj (ex leader di Mjaft), ha iniziato una campagna in sostegno del riconoscimento del diritto di voto degli albanesi all’estero. "Si tratta di una discriminazione nei confronti di circa un milione di albanesi di cui qui nessuno si preoccupa, nonostante questi, con le loro rimesse, ab biano mantenuto in vita l’economia del paese", ha denunciato Veliaj.
Dello stesso parere anche diversi analisti. Un articolo di Igli Totozani, dal titolo "Azionari senza potere", pubblicato inizialmente dal quotidiano "Shekulli", ha fatto il giro dei giornali e della blogosfera albanese. Totozani analizza l’importanza degli emigranti albanesi nel sollevare le potenzialità economiche del paese, in particolare della popolazione anziana, ma anche per il ruolo dei loro investimenti. Senza trascurare l’evidente e costante legame dei migranti con l’Albania, Totozani condanna il fatto che per tutto questo tempo sia stato negato loro l’unico diritto che lo stato albanese poteva concedergli. "Questi cittadini albanesi sono stranieri ovunque. Ma sono gli unici investitori che non esitano ad investire in Albania e che perdonano con generosità l’infrastruttura zoppicante. Sono gli unici azionari al mondo a cui non è concesso alcun potere", denuncia Totozani.
Diverse statistiche a riguardo, provenienti da fonti diverse, danno ragione a Igli Totozani. Gli albanesi all’estero, infatti, rimangono tuttora legati al paese d’origine, e una buona parte di loro influisce positivamente nella crescita economica del paese, non solo attraverso le rimesse a sostegno dei genitori anziani, ma anche attraverso investimenti in molti settori, e in particolar modo nell’acquisto di proprietà immobiliari.
I cittadini albanesi emigrati nei paesi vicini, quali l’Italia e la Grecia, sono gli stessi che si recano in Albania con regolarità, più volte all’anno. Sono proprio questi migranti a infoltire più degli altri la categoria dei "cittadini fantasma", poiché a una maggioranza schiacciante di loro è negato sia il diritto di voto in Albania – data la lacunosità della legislazione albanese in materia – sia nei paesi di adozione, dove è molto difficile riuscire ad ottenere la cittadinanza. Nonostante siano molto legati al loro paese d’origine e seguano regolarmente ciò che avviene in Albania, per loro è impossibile votare. La vicinanza e la facilità di spostarsi a buon prezzo via terra in tempi di elezioni fa sì che gli albanesi residenti in Grecia siano più propensi a recarsi in Albania per votare, mentre ciò non è possibile per i connazionali che vivono in Italia, il cui unico mezzo di trasporto più tempestivo sarebbe l’aereo, dai prezzi non proprio low-cost.
L’impossibilità di votare dall’estero penalizza altresì migliaia di studenti albanesi che lasciano l’Albania per lunghi anni. Molti albanesi che studiano all’estero non hanno mai avuto modo di votare da quando hanno compiuto 18 anni. Una politica del genere naturalmente non contribuisce al buon esito delle iniziative di "brain gain" (il contrario del "brain drain", fuga di cervelli) che stanno molto a cuore ai politici di Tirana, poiché fanno aumentare il senso di apatia che è già molto diffuso tra le giovani generazioni albanesi, nonostante i progressi degli ultimi anni.
L’idea di offrire ai cittadini albanesi che vivono all’estero la possibilità di votare ha ricevuto un segnale positivo dal leader dei socialisti, Edi Rama. Nell’ambito dei suoi incontri pre-elettorali, dal titolo "Dialogo con l’Albania", Rama si è recato ad Atene per incontrare gli albanesi residenti in Grecia. In questa occasione è stata accennata anche la necessità di includere tale diritto nella riforma elettorale, ma finora non è stata intrapresa nessuna azione a riguardo.
Sempre dalla sinistra, è arrivata la reazione positiva di Ilir Meta, leader del LSI (Movimento socialista per l’integrazione) che ha trovato nella questione del diritto di voto agli emigrati un punto su cui contrastare il PS, da cui il LSI si è scisso nel 2005. Il partito di Meta accusa il Partito socialista di non mostrarsi sufficientemente determinato a risolvere il problema. Di fatto, se gli albanesi residenti all’estero potessero votare già alle prossime elezioni, si aprirebbero nuove possibilità per il LSI – che al momento non ha molto peso nella politica albanese – per usare questi voti ed arrivare al potere.
Da parte della destra, invece, è giunta solo qualche sporadica reazione sulla complessità della questione e sui costi che secondo alcuni sarebbero insostenibili.
Il principale oppositore al voto degli albanesi all’estero è stato l’analista Andri Nurellari. A suo avviso è ingiusto far votare gli emigrati albanesi "innanzitutto perché essi, per l’appunto, risiedono all’estero, e di conseguenza ciò che avviene in Albania non li riguarda più". Nurellari aggiunge, con la formula lockeana ribaltata "no representation without taxation", che il fatto che questi cittadini vivano all’estero implica anche che non pagano le tasse in Albania, cosa che "non gli dà diritto di voto a spese di coloro che vivono nel paese".
Ma la questione della residenza è più complessa di quanto possa sembrare. Spesso, nei censimenti albanesi, anche i cittadini che da anni vivono all’estero vengono considerati residenti in Albania. Molti di loro, anche se non hanno intenzione di ritornare a vivere nel paese nel breve termine, investono nel settore immobiliare, e risultano quindi nominalmente residenti in Albania. Questo "caos" delle residenze che non corrispondono alla realtà, è alimentato dall’utilizzo dei passaporti al posto delle carte di identità. "Non riusciamo mai ad avere degli elenchi rigorosi dei votanti in Albania, e in queste condizioni è impossibile riuscire ad ottenerli in giro per il mondo" conclude Nurellari, paventando la forte possibilità di manipolazione dei voti esteri da parte dei partiti al governo.
Mentre si spera che le carte d’identità, dopo lunghe procedure di appalti, siano pronte per le prossime elezioni, il voto degli albanesi all’estero rimane in balia del difficile coordinamento tra potere centrale e rappresentanze albanesi all’estero, e anche della volontà politica che per ora è funzionale solo alle elezioni del 2009. Fino a quando non si troveranno dei modelli adatti tra quelli delle migliori democrazie occidentali, e le soluzioni tecniche adottate dai vicini paesi balcanici, un terzo della popolazione albanese continuerà a vivere tra l’Albania e l’estero con lo status di "cittadini fantasma".