I bosniaci: le bombe della NATO hanno portato l’angelo della morte
Molti bosniaci ritengono che l’alto numero di tumori nel Paese sia legato all’uso da parte della NATO di munizioni all’uranio impoverito nel 1995. Ma gli scienziati, sulla questione, si dividono. Un reportage investigativo tratto da IWPR.
Di Ekrem Tinjak, Faruk Boric e Hugh Griffiths –IWPR
Traduzione a cura di Osservatorio sui Balcani
Ad Hadzici, sobborgo di Sarajevo, l’imam locale, Hazim Effendi Emso, osserva un cimitero straripante. Lo spazio al centro della triste distesa di questa periferia industriale è costellato di nuove tombe. "Recentemente il numero dei funerali è aumentato. Quasi ogni giorno un funerale" afferma triste. Le date di nascita e di morte scolpite sulla lapide mostrano che molti sono morti nella loro mezz’età. La maggior parte di loro viveva a Grivci, un quartiere di Hadzici.
"Un gran numero di abitanti di Grivci sono morti di cancro ma è solo da un anno che stiamo registrando e tenendo statistiche sui decessi", continua l’Imam. A 64 chilometri a nord di Grivici, sulle montagne Romanjia, a 1000 metri sul livello del mare, un altro religioso si trova ad affrontare gli stessi problemi. Branko, un prete serbo-ortodosso a Han Pijesak, in Republika Srpska, RS, indica una cartina appesa ad una parete dell’ufficio del preside della scuola locale.
"Questo è il villaggio di Japaga. Circa 100 persone vi vivono ma nel 1996 molti sono morti di cancro". Ha dichiarato ad IWPR. "Il primo a morire è stata la cuoca della base militare che vi si trova, la signora Ljeposava, poi è toccato alla signora Todic. Poi è morto anche Budimir Bojat, che aveva sessant’anni, e Goran Basteh, che ne aveva 45, entrambi di cancro". Il prete lascia la cartina e volge la sua attenzione verso alcuni documenti su di una tavola. "Ogni anno, a Japaga, almeno una persona giovane muore di cancro" continua "non è certo normale in un villaggio così piccolo".
Ad un primo sguardo le comunità di Hadzici e Han Pijesak sembrano molto differenti. Uno è un abitato in prevalenza musulmano, in un sobborgo industriale, il secondo è rappresentato da un insieme di villaggi serbi di montagna, collocati in uno degli ambienti più incontaminati d’Europa. Ma i residenti di entrambe le località affermano che soffrono di questo alto tasso di decessi per cancro in seguito ai bombardamenti NATO all’uranio impoverito avvenuti nel settembre del 1995.
Uranio impoverito, un’eredità della guerra in Bosnia
Le Nazioni Unite descrivono l’uranio impoverito, DU, come un residuo del processo per arricchire l’uranio utilizzato nei reattori nucleari e nelle armi nucleari. E’ un "metallo instabile e radioattivo" che emette radiazioni ionizzanti di tre tipi: alpha, beta e gamma.
Gli Stati Uniti, assieme agli altri Paesi della NATO, utilizzano il DU per munizioni perforanti anticarro ed antiaeree.
Le forze aeree NATO hanno utilizzato l’uranio impoverito contro l’esercito serbo-bosniaco nell’agosto e nel settembre 1995 per arrivare ad una conclusione rapida del conflitto nella ex Repubblica jugoslava.
"L’obiettivo era quello di destrutturate il comando delle forze serbo-bosniache e di indebolire le capacità di combattere di queste ultime", ha affermato una fonte NATO a Sarajevo. "Non abbiamo provato a distruggere l’esercito".
Secondo la NATO, dal 5 all’11 settembre del 1995, i propri aerei hanno sparato 5,800 proiettili all’uranio impoverito presso Han Pijesak e Hadzici. Più del 90% di tutte le munizioni sparate sulla Bosnia Erzegovina durante gli attacchi aerei caddero su quelle due località.
La NATO afferma che circa 2400 volte gli aerei hanno sparato proiettili verso la base militare di Han Pijesak, nei pressi del villaggio di Japaga. Altre 1500 volte verso il deposito-rifugio per carro armati di Hadzci, nei pressi di Grivci.
Scienziati dell’ United Nation Environmental Programme, UNEP, hanno rilevato contaminazione nei campioni d’aria, d’acqua e di terreno di Hadzici e Han Pijesak raccolti nell’ottobre 2002.
"Abbiamo trovato ancora munizioni all’uranio impoverito sul terreno e polvere di uranio impoverito in edifici trasformati poi ad Hadzici in negozi", ha affermato ad IWPR Pekko Haavisto, a capo della missione UNEP. "Ad Hadzici abbiamo anche trovato due pozzi la cui acqua presentava tracce di uranio impoverito, ad otto anni dalla fine del conflitto".
"Alla base militare di Han Pijesak abbiamo trovato polvere di uranio impoverito nei vari edifici, nei carri armati ed altro equipaggiamento ed eravamo preoccupati che i militari di leva utilizzandoli potessero risultare contaminati".
Ciononostante l’UNEP non concorda sul fatto che questi ritrovamenti confermino le paure bosniache che l’alto tasso di decessi per cancro sia legato ai bombardamenti NATO. "La bassa esposizione identificata dalla missione indica che è poco probabile che l’uranio impoverito possa essere associato in alcun modo a conseguenze per la salute" si afferma in un suo rapporto del 2003.
Ma la gente di Han Pijesak e Hadzici non concorda con queste conclusioni. Insiste infatti sul fatto che la contaminazione da uranio impoverito deve essere responsabile per quelli che definiscono alti ed anomali tassi di decesso per cancro.
Nessun fondo per la decontaminazione
Nonostante l’UNEP nel suo rapporto indicasse che gli edifici colpiti con proiettili all’uranio impoverito dovessero essere decontaminati, poco o nulla è stato fatto. Lo ha dimostrato un’inchiesta di IWPR.
Quando IWPR ha visitato la base militare di Han Pijesak, colpita anni prima dalla NATO, abbiamo trovato un carro armato T62 lasciato ad arrugginire presso il recinto che delimita il perimetro della base. Le sentinelle che ci hanno invitato a non camminare oltre hanno affermato che, per quanto ne sapessero, i siti colpiti con DU non sono mai stati decontaminati.
"Camminiamo spesso su quei terreni ma nessuno ci ha avvertito di alcun pericolo", ha aggiunto una sentinella preoccupata.
In Federazione le lamentele sono simili. "Siamo rientrati nel 1997, due anni dopo il bombardamento" afferma Suljo Drina, di Grivci, "ma il terreno non è stato mai decontaminato. Adesso mio padre ha un cancro alla gola".
Nel 2002 il governo della Federazione ha destinato 138.000 marchi convertibili per decontaminare i siti di Hadzici ed alle autorità cantonali di Sarajevo era stato chiesto di contribuire con ulteriori 123.000 marchi, ma sino ad ora nulla è stato fatto.
I soldi, emerge, non hanno mai raggiunto i beneficiari. "Semplicemente non abbiamo le risorse" afferma Mustafa Kovac, a capo della protezione civile del cantone di Sarajevo "abbiamo bisogno di strumentazione per misurare le radiazioni, equipaggiamento per proteggere il nostro personale e per l’addestramento ma, ripeto, non ci sono fondi a disposizione".
Pekko Haavisto, dell’UNEP, ha dichiarato ad IWPR che l’Unione Europea ha già offerto di finanziare la bonifica ma i fondi non sono stati richiesti dalle autorità locali.
"L’UNEP ha anche detto alle autorità della Republika Srpska e della Federazione, durante un seminario di formazione, che avrebbe potuto offrire consulenza sul campo presso i siti da decontaminare" ha affermato "ma nessuno ha presentato alcuna richiesta".
Il buco nero dell’informazione alimenta le paure
I medici bosniaci affermano che la mancanza di ricerca degli effetti sulla salute dell’uranio impoverito ha creato un clima di sfiducia. "La cosa che mi confonde è che il rapporto dell’UNEP afferma che il livello di radiazioni nelle aree contaminate non è rischioso" ricorda ad IWPR Zehra Dizdarevic, assessore alla salute di Sarajevo. "Ma, dall’altro lato erano inserite nel rapporto 24 raccomandazioni su come ci si dovrebbe tutelare e su come decontaminare le aree in questione".
"E’ difficile stabilire se qualcuno si sia ammalato di cancro perché viveva o vive vicino ad aree contaminate. Comunque senza indagini specifiche nessuno è in grado nemmeno di confutare quest’eventualità". "Il rapporto dell’UNEP afferma come sia necessario altro lavoro di indagine scientifica. Questo non è ancora successo".
Lejla Saracevic, direttrice dell’Istituto di radiologia di Sarajevo, concorda sul fatto che manchino statistiche ed informazioni affidabili e che questo è un grave problema. "Non ci è mai stata alcuna ricerca seria su questa questione", ha affermato. "Anche se il governo della Federazione ha istituito un gruppo di esperti, del quale io faccio parte, mancano i fondi e l’interesse generale per far luce sulla vicenda. E questi significa che ad ora nulla è stato fatto".
Anche i dottori della RS condividono ampiamente queste preoccupazioni in merito alla mancanza di informazioni. "C’è stato un sensibile incremento di malattie legate a tumori a Han Pijesak a partire dalla guerra, ma senza una ricerca seria in merito non si può sapere se siano legate all’uranio impoverito" afferma Ljuboje Sapic, specialista di malattie ai polmoni presso il centro sanitario di Han Pijesak.
"La poca ricerca che è stata fatta sull’uranio impoverito è ancora legata a supposizioni e congetture" ha aggiunto Sapic "abbiamo bisogno di statistiche e fatti concreti".
Tutti i medici intervistati da IWPR hanno affermato che la mancanza di dati statistici è uno dei principali ostacoli nello stabilire le correlazioni tra i bombardamenti NATO e la mortalità per cancro. L’assenza di tali statistiche implica sia difficile stabilire il tasso di incremento di tumori nel dopoguerra bosniaco.
"Posso affermare che abbiamo avuto un incremento dei casi di tumori ma non posso né confermare né smentire un collegamento con l’uranio impoverito" ha affermato Bozidar Djokic, direttore del centro sanitario di Han Pijsak "non abbiamo dati statistici e quindi non possiamo fare comparazioni con il passato".
I colleghi della Federazione affermano la stessa cosa. "Quando diciamo che c’è stato un incremento di persone ammalate di tumore non significa nulla" afferma il dottor Saracevic "come facciamo a quantificare quest’incremento se non sappiamo quanti sono gli ammalati attualmente e quanti erano negli anni scorsi?".
"Inoltre molti di coloro i quali vivevano ad Hadzici durante il bombardamento vivono ora nell’Entità serba. Dovrebbero essere esaminati anche loro, se vogliamo arrivare ad una conclusione in questa storia".
Gli Accordi di Dayton che nel 1995 hanno posto fine alla guerra ha riconosciuto Hadzici come parte della Federazione, molti dei serbi che vi risiedevano se ne andarono a vivere in Republika Srpska. Molti di loro vivono ora nella piccola città di Bratunac, nella Bosnia orientale.
IWPR si è recata a Bratunac. Anche se anche qui non erano a disposizioni statistiche che testimoniassero l’incremento dei casi di tumore i medici del posto hanno riportato molte evidenze aneddotiche.
Secondo Svetlana Jovanovic, medico presso l’ospedale di Bratunac, dal 1996 circa 650 dei 7.000 sfollati originari di Hadzici, sono morti e sono stati seppelliti nel cimitero della città, che è andato presto riempiendosi.
Secondo la Jovanovic, dopo aver esaminato i corpi, almeno 40 di questi 650 erano deceduti per cancro o leucemia.
"Se circa 7.000 persone si sono trasferite da Hadzici, possiamo stimare che il tasso di tumori sia inusualmente alto comparandolo con i tassi dell’intero Paese", ha affermato la Jovanovic.
"Ma non abbiamo statistiche rilevanti da altri posti per fare confronti ufficiali ed arrivare a qualche conclusione".
Quello che è fuor di dubbio è che il tasso di mortalità a Bratunac è molto superiore, nel complesso, a quello della Bosnia Erzegovina. Nel 2002 il tasso di mortalità era di 7.9 ogni mille abitanti. A Bratunac, nel periodo che va dal 1996 al 2003, era di 11.9. Più persone muoiono a Bratunac che nel resto della Bosnia Erzegovina. La domanda è perché.
Lo scetticismo sui rischi derivanti dall’uranio impoverito
Il rapporto UNEP del 2003 non entra nel merito sul rapporto tra DU e casi di tumore. Citando la mancanza di informazione adeguata conclude infatti che "a causa della mancanza di registri dei tumori in Bosnia le affermazioni in merito ad un aumento dei casi di tumore legato all’uranio impoverito non possono essere sostanziate".
Anche gli scienziati dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità, OMS, sono scettici sul fatto che l’uranio impoverito rappresenti un rischio per la popolazione bosniaca.
"Dalle informazioni che abbiamo al momento non crediamo che i civili siano in pericolo" ha affermato Mike Repacholi, coordinatore del programma sulle radiazioni con base a Ginevra dell’OMS.
Ha ammesso, ciononostante, che la mancanza di ricerca rende in ogni caso difficile trarre conclusioni. "Vi sono dei gap nella nostra conoscenza e necessitiamo di ricerca specifica per fare una valutazione migliore dei rischi per la salute", ha affermato.
L’Autorità Internazionale sull’Energia Atomica, IAEA, ha adottato una linea molto simile. Tiberio Cabianca, del dipartimento sulla pubblica sicurezza dell’IAEA, ha preso parte alla missione investigativa di dieci giorni dell’UNEP, nel 2002.
"Da un punto di vista radiologico la IAEA non considera l’uranio impoverito una minaccia per la salute della popolazione civile in Bosnia Erzegovina", afferma.
"Dai nostri campioni abbiamo rilevato come le munizioni all’uranio impoverito abbiano contaminato le scorte d’acqua ed abbiamo trovato particelle di polvere d’uranio impoverito sospese in aria. Ciononostante i livelli di contaminazione erano molto bassi e non rappresentavano alcun rischio radioattivo diretto".
In ogni caso Pekko Haavisto, dell’UNEP, tara queste conclusioni ricordando il relativamente lungo lasso di tempo intercorso dal momento dei bombardamenti, quando la contaminazione ha toccato il suo apice, al momento di quest’indagine scientifica.
"Quando abbiamo effettuato il nostro studio di dieci giorni gli esperti non hanno rilevato alcun rischio di impatto diretto sulla salute pubblica. Ma questo è avvenuto nel 2002, e così non siamo in grado di dire quale sia stato l’impatto sulla salute negli anni precedenti" ha affermato. "Non abbiamo effettuato alcun test se non ad otto anni dal bombardamento".
"Il rapporto dell’UNEP è basato su una teoria che va per la maggiore che afferma che l’uranio impoverito ha un impatto limitato sulla salute al di fuori dell’area specifica di contaminazione. Ma c’è un gruppo di esperti che ritiene che anche bassi livelli di radiazioni di uranio impoverito possono avere gravi effetti, e per questo hanno criticato il nostro rapporto".
In disaccordo su come misurare la contaminazione
Alcuni scienziati affermano che il problema sta tutto nel metodo di misurazione. Uno tra chi ritiene che l’uranio impoverito sia molto più pericoloso di quanto si sia supposto è Chris Busby, del comitato del Ministero della difesa britannico istituito per monitorare le questioni legate all’uranio impoverito.
Il dottor Busby ha condotto i propri studi in un’altra area dove è stato utilizzato il DU, il Kossovo. "L’UNEP afferma che piccole quantità di uranio impoverito nell’aria non sono pericolose, ma non è il caso del Kossovo" ha affermato ad IWPR aggiungendo che secondo lui "hanno utilizzato i modelli di rischio sbagliati".
"Il modello convenzionale di rischio è basato sul rapporto tra l’intero organismo ed una particella di uranio impoverito" ha spiegato.
"Ma quando la particella di uranio impoverito viene inalata accade che viene esposto a quest’ultima solo una minima parte di tessuto. Non sull’intero organismo dovremmo calcolare i suoi effetti ma solo sulle cellule direttamente colpite".
Malcolm Hooper, professore emerito di chimica presso l’università di Sunderlan concorda come questo sia un metodo migliore per misurare la forza della contaminazione.
"L’uranio impoverito è un rischio per la salute della popolazione civile perché le particelle di DU finiscono inizialmente nelle acque. Poi, con il sole, la luce ed il caldo stimola nuovamente le particelle che vengono sospese nuovamente nell’aria", ha detto ad IWPR.
"Il rapporto dell’UNEP è poco credibile. Sono arrivati con sette anni di ritardo ed i siti bombardati, quanto vi si sono recati, erano già stati parzialmente decontaminati: i veicoli distrutti e la maggior parte delle munizioni erano state rimosse".
Infine il professor Hooper ha ricordato la controversia che riguarda i militari italiani che sono stati in missione sia in Bosnia che in Kossovo. Le prime ipotesi di un collegamento tra le morti per cancro e l’uranio impoverito sono emerse proprio in seguito alle morti misteriose di giovani soldati italiani che erano stati di servizio in quelle terre.
La TV italiana l’ha subito chiamata la "sindrome dei Balcani" e la stampa straniera ha ripreso la storia.
Le paure sull’uranio impoverito in Bosnia sono emerse quindi per la prima volta nel dicembre del 2000, con la morte per cancro di Salvatore Carbonaro, di 24 anni.
Carbonaro era il sesto veterano dei Balcani a morire di cancro e si differenziava dai cinque precedenti perché era stato solo in Bosnia e non in Kossovo.
Sino ad allora la NATO non aveva mai nemmeno ammesso di aver utilizzato proiettili all’uranio impoverito in Bosnia. Ma nel dicembre del 2000 il Ministro alla difesa italiano, Sergio Mattarella, ha ammesso che l’Alleanza li aveva usati, aggiungendo di esserne stato solo allora informato.
Mattarella ha poi ordinato un’inchiesta, guidata dal professor Franco Mandelli, per investigare il potenziale collegamento tra l’incidenza di tumori nell’esercito e l’uranio impoverito.
Uno dei membri del gruppo di Mandelli, il dottor Martino Grandolfo, ha affermato ad IWPR di aver riscontrato un eccesso statistico di linfomi di Hodgkin, una forma di leucemia.
"La percentuale di casi di linfoma di Hodgkin tra le truppe italiane che sono state in Bosnia e Kossovo è più del doppio di quelli riscontrati tra i soldati che sono rimasti in Italia", ha affermato ad IWPR "ma al momento non sappiamo perché questo avvenga".
Nel luglio del 2004 erano arrivati a 27 i veterani italiani dai Balcani morti per cancro ma chi si batte per i loro diritti afferma che la cifra è addirittura più alta.
"Ci si aggira sui 32 o 33, ed il numero di veterani ammalati di cancro è sul centinaio" ha affermato ad IWPR Falco Accame, ex ufficiale della marina e ricercatore militare, che presiede l’Anavafaf, associazione di veterani.
Le reazioni sdegnate dell’opinione pubblica ha obbligato il governo a creare una commissione parlamentare presso il Senato sull’uranio impoverito che dovrà compiere ulteriori indagini.
Ma Accame ha affermato ad IWPR che lo Stato, nonostante abbia pagato un indennizzo alle famiglie dei militari morti, non ha riconosciuto alcun legame tra queste morti e l’uranio impoverito.
"Come accade nel caso dei problemi di salute legati alle sigarette o all’amianto, anche con l’uranio impoverito non possiamo essere certi che ci sia correlazione con la morte dei soldati" ha aggiunto Accame "quello con cui abbiamo a che fare qui sono solo probabilità".
Ciononostante la non volontà di riconoscere ufficialmente alcun legame tra DU e cancro potrebbe cambiare.
In una sentenza molto significativa, nel luglio 2004, una corte di Roma ha ordinato al ministero per la difesa di risarcire con 500.000 euro la famiglia di Stefano Melone, un veterano dei Balcani morto di cancro nel 2001.
La corte ha dichiarato che Melone è morto "in seguito all’esposizione a sostanze radioattive e cancerogene" ed ha elencato l’uranio impoverito tra queste.
La vedova del soldato deceduto, Paola Melone, ha affermato ad IWPR che quest’ultimo è stato "un caso storico" aggiungendo che una corte civile ha ora "riconosciuto che l’uranio impoverito è un agente cancerogeno l’ha elencato in una lista di possibili cause" della morte di suo marito.
"Questo caso costituisce un precedente e stiamo organizzando una conferenza qui in Italia, a favore di altre famiglie di veterani o deceduti, per aiutarle nei casi giudiziari che hanno in corso", ha aggiunto.
In Bosnia, si continua a morire
Ritornando in Bosnia non si parla di casi giudiziari, commissioni parlamentari e bonifiche.
Mentre il dibattito divampa in Italia su cause ed effetti, la gente locale in Bosnia continua ad affermare che molte persone muoiono inspiegabilmente.
Ahmed Fazlic-Ivan, vice-presidente del distretto di Grivci, vive a 300 metri dal deposito per carri armati bombardato.
"Siamo venuti a conoscenza dell’uranio impoverito nel 2002, quando sono arrivati qui gli ispettori dell’ONU", ha affermato ad IWPR.
"Mio padre è morto di un tumore ai polmoni nel marzo di quest’anno. Vi sono 700 persone che vivono a Grivci e 56 di questi sono morti negli ultimi due anni, molti dei quali di cancro o diabete".
"Qui diciamo spesso che Aezrael, l’angelo della morte, è venuto a Grivci e che porterà via tutti".
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