I Balcani occidentali tornano sull’agenda europea. Ma non basta
Il progressivo rallentamento del processo di allargamento ha fatto perdere terreno all’UE nei Balcani rispetto ad altre potenze globali. Non basterà un summit a rilanciare il ruolo di Bruxelles nella regione
(Questo testo è stato scritto in collaborazione con l’iniziativa Europea )
La lettera congiunta dei nove ministri degli Esteri (Austria, Croazia, Repubblica Ceca, Germania, Grecia, Irlanda, Romania, Slovacchia e Slovenia) in cui lo scorso 5 marzo hanno chiesto all’Alto rappresentante dell’UE Josep Borrell di inserire la discussione strategica sui Balcani occidentali nell’agenda del prossimo Consiglio Affari esteri, è soltanto una delle tante cortine di fumo che abbiamo già visto in passato. Ogni volta che l’UE non sa cosa fare con i Balcani occidentali, si trovano dei volenterosi che scrivono lettere, “non-paper” e si organizzano dibatti che producono poco o niente, a parte nuova frustrazione nella regione balcanica.
“Dietro l’iniziativa dei ministri non esiste alcun progetto o piano specifico. Si vuole semplicemente attirare l’attenzione sulla regione e preparare il terreno per il summit Ue-Balcani occidentali che la presidenza slovena dell’UE vorrebbe organizzare nel prossimo semestre, probabilmente a dicembre. Inutile illudersi, non ci saranno né soldi nuovi per la regione, né novità importanti”, ha commentato a OBC Transeuropa una fonte diplomatica a Bruxelles.
La lettera è un’altra prova che i Balcani occidentali sono sempre di meno visti da Bruxelles come una regione di futuro allargamento dell’Unione, ma piuttosto come un’area geografica foriera di crisi o parte di problemi ancora più grandi (per esempio la questione dei migranti lungo la rotta balcanica). E’ in quest’ottica può essere inquadrata l’introduzione della figura del Rappresentante speciale dell’Unione Europea per i Balcani occidentali e per il dialogo tra Belgrado e Pristina.
L’altra motivazione per aprire il dibattito sulla regione balcanica è l’arrivo della nuova amministrazione a Washington. Il presidente americano Joe Biden ed i suoi collaboratori hanno fatto capire che nei prossimi quattro anni intendono occuparsi dei Balcani occidentali. Secondo le fonti di OBC Transeuropa al Dipartimento di Stato degli Stati Uniti si concentreranno su due questioni in particolare: Bosnia Erzegovina e Kosovo.
A differenza dell’amministrazione Trump che agiva da sola, senza consultare o coinvolgere l’UE, come nel caso dell’accordo tra Belgrado e Pristina firmato a Washington l’anno scorso, il nuovo segretario di stato Tony Blinken e i suoi collaboratori vogliono lavorare fianco a fianco con i partner europei. Sfortunatamente per i paesi candidati all’adesione all’UE, gli americani non useranno il loro peso nei rapporti con l’UE per accelerare il processo di allargamento, ma per risolvere le questioni ancora aperte in Bosnia Erzegovina e Kosovo.
Rallentando a passo di lumaca il processo di allargamento l’UE ha perso lo strumento più importante e più accattivante nei rapporti vis-a-vis con i paesi candidati all’adesione, permettendo a Russia, Cina, Turchia ma anche ai paesi del Golfo, di radicarsi e di creare le loro reti di interessi e appoggi.
È chiaro che l’allargamento non gode di grande sostegno nei paesi membri, specialmente nei paesi chiave come la Francia e la Germania. Non dobbiamo dimenticare nemmeno i Paesi Bassi che si sono dimostrati più volte ostili all’allargamento utilizzando a perfezione tutti gli strumenti a disposizione per rallentarlo al massimo.
Certo, anche i paesi candidati dovrebbero fare di più per cambiare l’opinione pubblica in tutti quei paesi membri dell’Ue dove si verifica una forte resistenza dell’elettorato verso allargamento. Ma purtroppo sembra che non basti adottare e implementare le riforme richieste dall’Ue per progredire verso l’adesione.
L’esempio della Macedonia del Nord è lampante. Mentre è possibile giustificare la lentezza del processo di adesione all’UE della Serbia e del Montenegro con la “state capture” è incomprensibile che l’UE abbia bloccato l’apertura dei negoziati con Skopje a causa del veto della Bulgaria che non riconosce la nazione e la lingua macedone. Nessuno crede che il premier bulgaro Boyko Borisov avrebbe potuto bloccare la Macedonia del Nord se la cancelliera Angela Merkel e il presidente francese Emmanuel Macron avessero voluto premiare il governo di Zoran Zaev con l’apertura dei negoziati all’adesione.
Una delle massime dell’Unione europea nel processo di adesione raccomanda che ogni paese candidato avanzi per i suoi meriti verso l’UE. Oltre alla Macedonia del Nord anche l’Albania potrebbe pagare il prezzo del maxi-rallentamento dell’allargamento. Tirana ha raggiunto tutti i benchmark richiesti e l’Italia spinge, con un gruppo dei membri dell’Unione, affinché i negoziati di adesione all’UE vengano aperti nei prossimi mesi. Ora, però, spuntano altri paesi membri che ritengono che non sia conveniente fare il cosiddetto “decoupling”, ovvero che Skopje e Tirana “camminino” insieme verso l’UE.
Volendo, l’Unione può però andare oltre l’organizzazione di summit adottando misure concrete in questo percorso già a partire dall’anno in corso. La Serbia potrebbe aprire almeno metà dei capitoli negoziali seguendo la nuova, rivisitata, metodologia per i negoziati di adesione. Il Montenegro potrebbe chiudere almeno un altro capitolo dell’acquis, visto che l’ultimo è stato chiuso quasi quattro anni fa. Si potrebbe poi aprire i negoziati di adesione con l’Albania e la Macedonia del Nord e concedere alla Bosnia Erzegovina lo status di candidato all’UE o almeno aiutare il paese a realizzare le 14 priorità fondamentali imposte proprio dall’UE. Infine, ma non meno rilevante, la concessione della liberalizzazione dei visti per il Kosovo. I cittadini kosovari sono gli unici in Europa, a parte i russi ed i bielorussi, che non possono viaggiare nella zona Schengen senza visto.