I Balcani occidentali, l’UE e la crescita del 6%

La debolezza economica strutturale dei Balcani occidentali rischia di diventare un problema politico, ma l’UE non la sta affrontando in modo adeguato. Un commento

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Secondo un recente studio della Banca Mondiale, le economie dei Balcani occidentali dovranno crescere almeno del 6% l’anno se vogliono portarsi in pari con la media UE entro il 2040. Dopo un decennio trascorso senza crescita, gli ultimi dati sono però poco al di sopra del 3% – un livello troppo basso per raggiungere la convergenza. Eppure un PIL pro capite più vicino a quello dell’UE sarebbe importante per rafforzare la democrazia e lo stato di diritto nella prospettiva dell’adesione. Con l’aumento del divario, la regione si ritrova al contrario esposta alle tentazioni del populismo, del nazionalismo e di altri sentimenti antieuropei.

La storia della politica europea di allargamento nei Balcani occidentali è stata una storia di mancati successi. È necessario riconoscerlo, benché Bruxelles sottolinei l’apertura di nuovi capitoli negoziali col Montenegro e la Serbia o il quarto vertice dei Balcani occidentali che il 12 luglio riunirà a Trieste membri di punta dell’UE e rappresentanti dei paesi candidati, nell’ambito del processo di Berlino. Nella regione molti pensano che l’interesse di Bruxelles si ravvivi solo quando le crisi locali rischiano di minacciare l’Unione stessa, e che dunque i Balcani occidentali contino soprattutto in quanto corridoio migratorio, fonte di criminalità organizzata, centro di passaggio per il t[]ismo islamico o teatro secondario del conflitto tra l’Occidente e la Russia.

Il fiasco del Washington Consensus

Gli stati dei Balcani occidentali hanno in buona parte realizzato le riforme strutturali richieste dall’Unione europea, dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale – il cosiddetto Washington consensus. Hanno aperto i mercati all’UE, privatizzato e liberalizzato le economie, imposto politiche di austerità. Alla base del Washington consensus sta l’idea che le riforme, assieme con l’adozione graduale delle leggi, dei principi e delle attività dell’UE, possano creare economie di mercato e preparare la strada per l’adesione all’UE.

In effetti qui si può osservare all’opera la mano invisibile del mercato – ma in un modo diverso da quello previsto dai modelli per la transizione. In molti casi il nepotismo e i limiti della pubblica amministrazione impediscono di allinearsi politicamente ed economicamente con l’Unione europea. È un’eredità amara lasciata dalle politiche di privatizzazione sbagliate degli anni Novanta, quando le imprese collettive furono prima nazionalizzate e poi trasferite nelle mani di pochi magnati con buone connessioni politiche. Da allora le economie sono state saccheggiate: gli attuali casi giudiziari delle mega-holding Agrokor in Croazia e Delta in Serbia rappresentano solo la punta dell’iceberg.

Il maggiore ostacolo è però posto dalle relazioni economiche strutturali tra la regione e il centro economico dell’UE. I rapporti finanziari e commerciali, la posizione geografica e i legami politici rendono già di fatto i Balcani occidentali parte dell’UE – ma con molti svantaggi e senza diritto di voto. E non c’è traccia di convergenza: incapaci di fronteggiare la concorrenza dall’Unione europea le industrie sono scomparse, l’indebitamento estero sta aumentando, e la disoccupazione rimane alta, tanto che quasi la metà degli under 30 non lavora. Si sta invece gonfiando sempre più il settore dell’amministrazione e dei servizi, a bassa intensità di creazione di valore. Anche il livello degli investimenti è inadeguato, soprattutto per quanto riguarda l’istruzione e la ricerca e sviluppo.

Si crea così una situazione in cui è impossibile produrre abbastanza beni e servizi che possano essere esportati – ma nemmeno riuscire a curare le infrastrutture esistenti, come le autostrade che collegano i membri meridionali dell’UE, la Turchia e il Medio Oriente al cuore dell’Europa. Gli incentivi all’emigrazione rimangono forti e spingono i lavoratori più motivati e qualificati a trasferirsi verso il centro dell’Unione europea.

Alla fine dei conti, l’indebitamento estero della regione e tutte le sue conseguenze derivano dal deficit commerciale di 98 miliardi di euro che queste piccole economie ormai aperte hanno accumulato con l’Unione europea tra il 2005 e il 2016. Per compensare quel deficit gli stati dei Balcani occidentali si sono indebitati pesantemente, di nuovo soprattutto con banche dell’UE. A loro volta, queste ultime controllano gran parte del settore bancario della regione, così che guadagnano sia dal fare credito agli stati, sia dal servire direttamente le imprese e le famiglie dei Balcani occidentali.

In una situazione del genere, la prospettiva di un’ulteriore integrazione con l’UE non attrae affatto i cittadini della regione, e la sorte dei loro vicini greci rafforza ulteriormente i loro dubbi sull’adozione dell’attuale modello dell’UE.

I possibili vantaggi per l’UE

Per raddoppiare il loro tasso di crescita annuale, i candidati all’adesione hanno urgentemente bisogno di una prospettiva di sviluppo e di maggiori investimenti pubblici. È per questo che dovrebbero poter accedere ai fondi strutturali europei, unirsi ai meccanismi UE di stabilità finanziaria ed essere trattati da tutti i punti di vista come parte del progetto di integrazione europea.

Sta nell’interesse dell’UE stessa rendere la regione più capace di attrarre commerci e investimenti, e di legarla alle sue reti di trasporti, energia e comunicazioni digitali; in questo modo si abbasserebbe anche la pressione migratoria. Sono evidenti anche i possibili vantaggi politici: un rafforzamento della sicurezza nell’Europa sud-orientale farebbe compiere all’UE un salto di rango in questa nuova era geopolitica. Il modello democratico europeo potrebbe ritrovare una nuova freschezza, riuscendo a limitare l’influenza di altri attori come la Russia, la Turchia e i paesi musulmani – nonché l’imprevedibile amministrazione Trump.

È giunta l’ora di predisporre un aggiustamento delle politiche rivolte all’Europa sud-orientale. Nel 2019 l’UE entra in un nuovo ciclo istituzionale, con le elezioni per il Parlamento europeo, la nuova Commissione e il nuovo periodo di bilancio. Dall’altra parte, la Brexit potrebbe aprire opportunità per politiche strutturali e di coesione più attive che in passato. L’obiettivo della nuova UE a 27 dovrebbe essere quello di integrare i paesi dei Balcani occidentali: un successo del suo modello economico e sociale in quei paesi darebbe una grande spinta alla credibilità dell’UE come attore strategico risoluto e capace di produrre standard di vita piuttosto omogenei nell’intera Europa.

Tobias Flessenkemper è responsabile dell’area Balcani per il Centro Internazionale di Formazione Europea (CIFE), Nizza. Dušan Reljić dirige l’ufficio di Bruxelles dell’Istituto tedesco per gli affari internazionali e la sicurezza (SWP), consulente del governo tedesco e del Bundestag su tutte le questioni di politica estera e di sicurezza. Il testo appare anche sul sito SWP nella sezione "Punto di vista ".

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