I Balcani fanno parte dell’Europa. Un’intervista

Uno dei più interessanti scrittori dell’attuale scena letteraria bulgara. Il suo sguardo acuto ed ironico sull’incontro/scontro di civiltà tra Occidente ed Oriente. Osservatorio sui Balcani ha incontrato Alek Popov e, nei prossimi giorni, pubblicherà un suo racconto

26/07/2005, Redazione -

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Alek Popov

A cura di Marinela Nikolova e Andrea Ferrario

Alek Popov, classe 1966, è uno dei più interessanti scrittori dell’attuale scena letteraria bulgara. Autore di svariati volumi di racconti e novelle, nonché del romanzo "Missione Londra", ha recentemente anticipato su rivista alcuni brani del suo nuovo romanzo "La scatola nera", di imminente uscita. Uscirà a breve, con il titolo "Vademecum del pensatore radicale", anche una raccolta dei saggi che Popov ha pubblicato negli ultimi anni in svariate riviste, volume che conterrà anche il saggio sul "pomodoro bulgaro della conoscenza" che pubblicheremo nei prossimi giorni ed accompagna la presente intervista. Uno dei temi costanti dell’opera di Alek Popov è quello dell’incontro/scontro tra Occidente e Oriente, sempre trattato con grande ironia. Un tema che è al centro anche del romanzo "Missione Londra", già tradotto in svariate lingue e che si meriterebbe senz’altro una traduzione italiana, il quale prende spunto dalle disavventure di svariati membri dell’ambasciata bulgara a Londra per sviluppare una trama piena di comicità, dal ritmo di un action, ma che allo stesso tempo dipinge un quadro critico dello sguardo dell’Est verso l’Ovest e di quest’ultimo verso l’Est.

Il critico serbo Teofil Pancic ha scritto che il suo romanzo "Missione Londra" si prende gioco di quella che si può definire la "autoeuropeizzazione" dell’uomo balcanico e allo stesso tempo dell’indifferenza dell’Occidente ricco. Questi due elementi hanno avuto un qualche ruolo durante la scrittura del suo romanzo? Vale a dire, in quale misura l’autore di un paese come la Bulgaria, che secondo gli standard attualmente prevalenti è periferico, scrive per il proprio pubblico nazionale e in quale invece per un potenziale e più ampio pubblico occidentale?

"Missione Londra" è un romanzo comico, ambientato nell’ambasciata bulgara a Londra nella quale, nel bene o nel male, ho lavorato per un certo tempo come attaché culturale. Il soggetto naturalmente è frutto dell’invenzione, ma la trama è autentica e questo in una certa misura confonde il lettore, spingendolo a prendere tutto come pura verità. La "autoeuropeizzazione" come processo distorto è naturalmente da sempre uno dei temi conduttori non solo della letteratura bulgara, ma di quelle balcaniche in generale. E’ un serbatoio di situazioni comiche senza fine. Quello che ho cercato di fare, è stato di togliere tali situazioni dalla tradizionale cornice quotidiana e di inserirle nel contesto degli attuali processi di adesione. Non ritengo però giusto che tutto ciò avvenga solo a scapito dell’Europa Orientale. Mi sembra che anche l’uomo occidentale sia preda di illusioni, che distorcono le sue idee riguardo a se stesso e agli altri, dando luogo a situazioni non meno assurde. Il romanzo è altrettanto critico nei confronti delle due Europe e in un certo modo ciò va a favore della loro integrazione. Cerco di non dividere il pubblico in balcanico ed europeo. I Balcani fanno parte dell’Europa. In questo senso noi siamo una delle tante possibili versioni dell’Europa. Dovrete abituarvi a questa idea. Lo stesso concetto di "europeo" mi suona abbastanza astratto e pretenzioso – una specie di cittadino modello, che ci fa immancabilmente venire in mente l’immagine di uno scandinavo. Nei Balcani questo concetto viene spesso ridotto alla mera apparenza della prosperità economica, che in grande misura viene proiettata dallo stesso Occidente. Al di là di tale apparenza tuttavia vi sono altri valori. La libertà interna di rivendicare la propria identità è una di essi…

Sono passati più di 15 anni dal crollo dei regimi comunisti. Secondo lei il peso del precedente spazio letterario, ideologizzato e burocratizzato, è in qualche modo ancora presente sulla scena culturale bulgara?

Non potrebbe essere altrimenti. D’altronde 15 anni sono un breve periodo dal punto di vista della storia. Anche da una prospettiva umana non sono sufficienti per cancellare un periodo di 45 anni – si tratta in pratica di un’intera vita. L’eredità del periodo totalitario è rintracciabile in tutti gli aspetti del presente nella forma di uno sfondo del tutto particolare, una specie di background invisibile. Lo si può guardare come un peso e in un certo senso lo è, ma allo stesso tempo è anche un’esperienza preziosissima, che non può essere cancellata con mano leggera. Come minimo perché in nome di questo esperimento sono state sacrificate così tante vite… A questa esperienza si continua tuttavia a guardare come a qualcosa di marginale. Subito dopo i cambiamenti, sono volati qui da tutto il mondo esperti di ogni genere per insegnarci come dobbiamo vivere. Nella fretta è come se a nessuno fosse venuto in mente che anche dall’Europa Orientale è possibile imparare cose utili. L’Occidente era imbevuto di sicurezza di sé e della sensazione della propria self-rightousness. Penso che a quindici anni di distanza stia diventando più evidente che entrambi i mondi erano organicamente collegati. L’Europa Occidentale non sarebbe mai stata tale senza il blocco orientale. Il concetto di welfare-state è stato lanciato come concorrenza al socialismo totalitario esistente all’Est. Ora che la minaccia è svanita, assistiamo a una riduzione dello stato sociale in Occidente. Un tempo tutti si attendevano ingenuamente che sarebbe cambiata solo una delle due metà. Ma quanto più capitalistico diventa l’Est, tanto più capitalistico diventa anche l’Occidente. E questo non è una sorta di paradosso, bensì una legge naturale. La legge dei vasi comunicanti.

In Italia oggi non è facile pubblicare libri di autori dell’Europa Orientale. Queste letterature vengono considerate come appesantite da elementi culturali e storici molto specifici e quindi come difficili da vendere. Se viene pubblicato qualcosa, il più delle volte viene presentato come una curiosità "etnica". Si tratta di un’immagine che non corrisponde all’attuale produzione della maggior parte degli autori dell’Europa Orientale. Perché secondo lei tuttavia tale immagine persiste? E come è possibile cambiare questa situazione?
Ogni letteratura nazionale è in pratica una "curiosità etnica", poiché lo strumento di cui si serve, la lingua, è in larga parte impregnata di particolarità etniche. Ma la letteratura va sempre al di là della lingua. Penso che sia questa la difficoltà fondamentale quando si traduce. L’incomprensione viene non dalla lingua, ma nonostante la lingua. Là, nella giungla dei codici, dei simboli e dei significati culturali, ogni scrittore traduce in prima persona dalla lingua delle idee alla lingua della gente. Secondo me questa interpretazione metafisica primaria decide se un’opera rimarrà chiusa nella propria cornice locale, oppure se suonerà altrettanto bene in tutte le lingue umane. Il principio "act locally, think globally" riguarda in larga parte anche la scrittura. I pregiudizi di cui lei parla valgono in realtà anche per il modo in cui l’Europa Orientale guarda alle letterature occidentali. Solo una parte molto piccola della produzione attuale dell’Europa Occidentale viene tradotta nell’area e ciò per gli stessi motivi. E’ paradossale, ma la letteratura in traduzione più diffusa sia nell’Europa Orientale che in quella Occidentale è quella americana! Se si escludono i classici, naturalmente. E questo mi porta a pensare che l’arte è universale soprattutto nei propri segmenti più bassi e più alti. Dan Brown e Cervantes varcano i confini con altrettanta facilità.

Tuttavia voglio credere che la letteratura svolgerà lo stesso importante ruolo nella consolidazione della futura identità europea che ha svolto nella formazione di quella nazionale. Ma a tale fine gli autori devono emanciparsi dall’immagine collettiva che spesso viene proiettata su di essi. Posti in un contesto più ampio, forse scopriremo che al di là dei tratti "culturali e storici" più specifici traspare una più generale sensibilità europea, che d’ora in poi si svilupperà.

Il culturologo bulgaro Aleksandar Kjosev ha recentemente scritto in un articolo che "non esiste una letteratura bulgara contemporanea". La causa fondamentale, secondo lui, è che dopo i cambiamenti lo spazio letterario bulgaro (lettori, critici, istituzioni ecc.) si è ristretto fino al di sotto di una massa critica, sotto la quale una letteratura non può esistere e svilupparsi. Qual è la sua opinione in merito?

Aleksandar Kjosev afferma qualcosa in cui egli stesso non vuole credere. Non penso che il suo obiettivo fosse quello di convincere il mondo che la letteratura bulgara non esiste. In una certa misura si tratta di una sfida a se stesso, perché anche lui fa parte di questa letteratura. Nei fatti però il suo articolo è stato estremamente utile, perché ha aperto un dibattito molto serio. Ha dato luogo a forti reazioni emozionali ed è stato all’origine di un gran numero di testi che hanno interpretato il tema da tutti gli angoli possibili. Alla fine l’intero discorso ha dimostrato che lo spazio letterario bulgaro è comunque ancora sufficientemente reale. Forse è in crisi, ma esiste. La mia critica riguarda soprattutto le istituzioni della parola. Il problema è che i nostri editori non credono sufficientemente nella letteratura bulgara. Produrre un titolo originale è sempre stato più difficile che attingere senza alcuno sforzo al patrimonio della cultura mondiale. Ma la soddisfazione che se ne trae è incomparabile. Per farlo ci vogliono una strategia a lungo termine, investimenti, il coraggio di assumersi rischi e, non ultimo, dell’idealismo.

Oltre che scrittore, lei è segretario del PEN club bulgaro e caporedattore della rivista letteraria per bambini Rodna Rec. Può spiegare al lettore italiano quali sono le particolarità del mercato librario bulgaro e, più in particolare, quali sono oggi i maggiori problemi che gli scrittori bulgari si trovano ad affrontare?
Il maggiore problema è la mancanza di una rete di distribuzione sviluppata. Dopo i cambiamenti il sistema di librerie statali si è disgregato e i libri si sono ritrovati letteralmente per la strada. Sui banchetti andava soprattutto la letteratura di massa rapidamente monetizzabile, in particolare quella americana tradotta: thriller, romanzi rosa, fantasy. In quel periodo molte persone prive di esperienza e motivazione sono entrate nel business editoriale. Ora le cose poco a poco vanno al loro posto, ma una grande parte del paese continua a rimanere relativamente isolata dalle novità del mercato librario. Gli editori diventano più professionali, ma non sono ancora in grado di lanciare progetti propri di ampio respiro. O non ci provano nemmeno, che è ancora peggio. A quanto mi è noto, non esiste nemmeno un editore bulgaro che abbia acquistato i diritti mondiali di un nostro autore e che abbia cercato di imporlo almeno a livello regionale. A parte questi aspetti, i problemi degli scrittori bulgari non sono molto diversi da quelli che incontrano i loro colleghi italiani. In primo luogo, quello di scrivere i propri libri.

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