I Balcani agli Oscar
Due i film dei Balcani candidati all’Oscar per miglior film straniero. Sono “Quo vadis, Aida?” di Jasmila Zbanić e il romeno “Collective” di Alexander Nanau. Nicola Falcinella ripercorre il rapporto tra i film della regione e il prestigioso premio targato Usa
Che il cinema dei Balcani possa quest’anno brindare all’Oscar dopo “No man’s Land” di Danis Tanović nel 2002? Come miglior film in lingua straniera sono stati nominati il bosniaco “Quo vadis, Aida?” di Jasmila Zbanić e il romeno “Collective” di Alexander Nanau, quest’ultimo in lizza anche tra i cinque migliori documentari.
Le due opere sono abbastanza accreditate, anche se il favorito della vigilia è il danese “Un altro giro” di Thomas Vinterberg, noto per “Festen”, “Il sospetto” e “La comune”, con qualche possibilità di un premio nella notte tra il 25 e il 26 aprile. Lo scorso anno era entrato in cinquina il macedone “Honeyland – Medena zemja” di Tamara Kotevska e Ljubomir Stefanov, uno dei documentari più belli e sorprendenti degli ultimi tempi. In precedenza erano stati nominati nel 2016 il turco-francese “Mustang” di Deniz Gamze Erguven (per la Francia), il geogiano-estone “Tangerines” di Zaza Urushadze (per l’Estonia) nel 2015, il greco “Dogtooth” di Yorgos Lanthimos nel 2011, poi bisogna andare più indietro al 1997 per il georgiano “A Chef In Love” di Nana Dzordzadze e al 1995 per “Prima della pioggia” di Milčo Mančevski.
Prima della caduta del Muro di Berlino si erano spartite qualche nomination Jugoslavia e Grecia, con “Papà… è in viaggio d’affari” di Emir Kusturica, “Ifigenia” ed “Elettra” di Michael Cacoyannis, “La battaglia della Neretva” di Veljko Bulajić, “Ho incontrato anche zingari felici” e “Tre” di Aleksandar Petrović, “Sangue sulla terra” e “Frine e le compagne” di Vasilis Georgiadis, “Nono cerchio” di France Štiglic e l’italo-jugoslavo “La strada lunga un anno” di Giuseppe De Santis.
L’unico Oscar balcanico resta quello di Tanović, che portò sullo schermo la guerra di Bosnia in maniera dirompente con le sue contraddizioni. Ora “Quo vadis, Aida?” affronta per la prima volta la pagina più tragica di quel conflitto, il massacro di Srebrenica nel luglio 1995. Assumendo il punto di vista di Aida, insegnante prestata come interprete per l’Onu e preoccupata per la sorte di marito e figli, Jasmila Zbanić lo fa in maniera il più possibile oggettiva e riuscendo a far vedere le ombre di quell’eccidio che ancora restano sull’oggi. Un film intelligente (in concorso alla Mostra di Venezia 2020 e distribuito in Italia da Lucky Red) che cerca di ricostruire fatti a volte sminuiti in maniera lontana da stereotipi e con un linguaggio comprensibile a tutti, l’opera giusta per concorrere all’Oscar.
“Collective”, passato alla Mostra di Venezia 2019 e disponibile sulla piattaforma Iwonderfull, è un documentario che diventa thriller su una questione di stringente attualità e per questo ancor più meritevole di attenzione. Il 30 ottobre 2015, durante un concerto, si sviluppò un incendio nel club Collective di Bucarest, che non disponeva di uscite di sicurezza. Nel rogo morirono 27 persone con 180 feriti, 37 dei quali perirono nei quattro mesi successivi, non tanto per le bruciature subite quanto per infezioni batteriche mal curate. La tragedia assunse proporzioni ancora più spaventose per l’inefficienza e la corruzione nella sanità, con una catena di incapacità, corruzione, omissioni e negazioni della verità che aggravarono il bilancio.
Nanau, romeno di nascita e tedesco di adozione e studi, al quarto documentario lungo, segue il caso trasformandolo in un serrato thriller d’inchiesta, quasi all’americana, allontanandosi da uno stile documentaristico più consueto, facendo delle scelte formali uno dei punti di forza dell’opera. Il film ricostruisce una vicenda attualissima che ci fa pensare a quelle che abbiamo tutti sotto gli occhi. Per le vittime dell’incendio, gli ospedali divennero luoghi pericolosi dove si sviluppavano infezioni e non c’erano trattamenti adatti. L’indagine scoprì presto che il disinfettante più impiegato era molto diluito rispetto a quanto riportato sull’etichetta e pertanto inefficace, ma sbatte anche contro un muro di gomma della negazione delle responsabilità. Dall’altra parte c’è un governo che ha negato le autorizzazioni per il trasporto dei feriti in nosocomi stranieri più attrezzati per non dover pagare le spese relative. “Una scelta politica”, come si ribadisce più volte. Tanto che il governo socialdemocratico in carica si dovette dimettere sotto la pressione della rivolta popolare, per lasciare spazio a un esecutivo tecnico.
Una delle singolarità è che a scoprire il caso sia un giornale sportivo, la Gazeta sporturilor, con il caporedattore Catalin Tolontan a capo della squadra di giornalisti impegnata a fare luce sull’accaduto. “Collective” è anche un film sul giornalismo e su una professione che non può essere megafono dei potenti, ma deve porre domande scomode e deve insistere quando non riceve risposte. Alla determinazione di Tolontan e dei suoi colleghi fa da specchio quella del nuovo ministro della Sanità, che affronta una situazione di corruzione diffusa e di piccoli e grandi interessi che si contrappongono al bene pubblico. Nanau filma e fornisce allo spettatore i fatti, senza voler alimentare una facile indignazione, bensì sollecitando una presa di consapevolezza e una spinta verso un cambiamento reale.