Hanno sbagliato tutti

La missione d’inchiesta promossa dall’UE rende pubbliche le conclusioni dell’indagine sul conflitto dell’agosto 2008 in Ossezia del Sud. I punti principali del report e le reazioni in Georgia

09/10/2009, Maura Morandi - Tbilisi

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Buffer zone (foto Lelio Orsini)

Lo scorso 30 settembre sono stati presentati a Georgia, Russia, al Consiglio dell’Unione Europea, all’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) e alle Nazioni Unite (ONU) i risultati delle indagini della Missione europea incaricata di indagare cause e responsabilità del conflitto dell’agosto 2008 in Georgia.

Il 2 dicembre 2008, Heidi Tagliavini – già Rappresentante Speciale del Segretario delle Nazioni Unite in Georgia dal 2002 al 2006 – è stata nominata dal Consiglio dell’Unione Europea alla guida della Missione internazionale indipendente ("Independent International Fact-Finding Mission on the Conflict in Georgia, IIFFMCG – CEIIG") costituita con lo scopo di far luce sul conflitto dei cinque giorni. Mandato della Missione accordatole dal Consiglio dell’UE, infatti, è stato quello di investigare le origini e lo svolgimento del conflitto in Georgia dal punto di vista del diritto internazionale, del diritto umanitario e dei diritti umani. Il costo della Missione è stato di 1,6 milioni di euro per un lavoro di circa 10 mesi.

Le investigazioni della missione avrebbero dovuto terminare alla fine di luglio, ma l’uscita del rapporto è stata rimandata alla fine di settembre con la motivazione che nuovi elementi venuti alla luce richiedevano nuove analisi. Qualcun altro invece ha sospettato che la presentazione del rapporto sia stata fatta slittare di proposito, in modo da non indicare il presidente georgiano Mikheil Saakashvili quale colpevole dello scoppio del conflitto a pochi giorni dall’anniversario del conflitto.

Nel corso degli ultimi mesi erano state pubblicate varie indiscrezioni sul rapporto dalle quali emergeva che sarebbe stata data alla Georgia la responsabilità dello scoppio del conflitto.

Sebbene nelle oltre mille pagine del rapporto alcune responsabilità e dinamiche del conflitto rimangano poco chiare, la Missione ha fornito conclusioni precise riguardo ad alcuni aspetti, in particolare per quanto riguarda la legittimità dell’uso della forza nelle diverse fasi del conflitto, il presunto genocidio commesso da parte georgiana e la presenza di forze armate russe in Ossezia del Sud prima dello scoppio del conflitto.

Il ministro georgiano per la Reintegrazione, Temur Iakobashvili, ha dichiarato che "il rapporto dichiara senza ombra di dubbio che tutti gli argomenti portati dalla Russia per giustificare il suo diritto di invadere la Georgia sono menzogneri". Secondo Iakobashvili "il rapporto conferma in modo inequivocabile che non è stato condotto nessun genocidio nella regione di Tskhinvali, che la Russia non aveva il diritto di invadere uno stato sovrano con il pretesto di proteggere i suoi cosiddetti cittadini".

Il rapporto effettivamente afferma che il genocidio da parte georgiana "non ha avuto luogo" e che, al contrario, "diversi elementi tra i quali saccheggi e distruzioni sistematiche nei villaggi etnici georgiani in Ossezia del Sud portano alla conclusione che è stata condotta una pulizia etnica contro i georgiani in Ossezia del Sud sia durante che dopo il conflitto dei cinque giorni".

A questo proposito il Presidente Mikheil Saakashvili considera il rapporto "una grande vittoria diplomatica della Georgia" e ritiene che il documento dica "molta più verità di quanto mi aspettassi". Il Presidente in particolare ha dichiarato che "per la prima volta nella storia, un membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è stato accusato di aver commesso crimini di guerra e pulizia etnica".

Il Ministero degli Esteri russo ha dichiarato che il documento include un certo numero di formulazioni "ambigue" che riflettono "l’approccio politicizzato di molti stati dell’Unione Europea nei confronti degli eventi dell’agosto 2008 e delle loro conseguenze". Il Ministero russo continua affermando che "sebbene ambiguo in alcune parti, il rapporto non può gettare nell’ombra la principale conclusione circa la colpa di Tbilisi di aver scatenato l’aggressione contro la pacifica Ossezia del Sud". Il Ministero degli Esteri della Georgia, Grigol Vashadze, invece ha lamentato il fatto che il rapporto non contiene un diretta formulazione sull’aggressione militare della Russia.

Secondo la Missione, inoltre, "dal punto di vista del diritto internazionale l’uso della forza da parte georgiana in Ossezia del Sud non è giustificabile", in quanto in violazione degli Accordi di Sochi del 1992 e del Memorandum sulle misure di sicurezza del 1996. Il documento precisa inoltre che anche se la Georgia fosse intervenuta in reazione ad un attacco proveniente dall’Ossezia del Sud, tale "risposta non sarebbe stata né necessaria né proporzionata".

La Missione afferma che le accuse da parte georgiana di "una presenza su larga scala di forze armate russe in Ossezia del Sud prima dell’offensiva georgiana non può essere sostanziato dalla missione" sebbene poi aggiunga che "comunque, ci sono relazioni e pubblicazioni anche di origine russa, che indicano la fornitura da parte russa di equipaggiamenti militari ed addestramento alle forze abkhaze e ossete prima del conflitto di agosto". Inoltre, si legge nel voluminoso rapporto che sembra confermata "un’affluenza di volontari e mercenari dal territorio della Federazione Russa in Ossezia del Sud attraverso il tunnel di Roki e la catena del Caucaso all’inizio di agosto, così come la presenza di alcune forze russe in Ossezia del Sud, diverse dal battaglione russo di peace-keeping".

La Missione, inoltre, differenzia in due momenti l’intervento della Russia: in un primo tempo l’intervento armato russo sarebbe stato legale "in quanto la Russia aveva il diritto di difendere i peacekeepers russi"; in un secondo momento, quando la Russia si è spinta nel territorio propriamente georgiano al di là dell’Ossezia del Sud, invece "l’azione è stata condotta in violazione del diritto internazionale".

In merito alla responsabilità dell’inizio del conflitto la Missione non riesce a dare una risposta chiara. Se da una parte, infatti, il documento "non menziona da nessuna parte" nelle parole di Iakobashvili "che la Georgia abbia lanciato la guerra" dall’altra nel documento in tre volumi si legge che il "bombardamento di Tskhinvali da parte delle forze armate georgiane durante la notte tra il 7 e l’8 agosto ha segnato l’inizio del conflitto armato su larga scala". Il rapporto precisa poi che "questo è stato solo il culmine di un lungo periodo di aumento delle tensioni, provocazioni e incidenti" e conclude dicendo che "non c’è modo di assegnare la totale responsabilità del conflitto ad un’unica parte".

Ma secondo il partito d’opposizione "Alleanza per la Georgia" guidato da Irakli Alasania non vi sono dubbi: "la decisione politicamente irresponsabile e indiscreta del Presidente Saakashvili di aprire il fuoco contro Tskhinvali ha messo a repentaglio lo stato georgiano e il suo sviluppo come libero stato".

*Programme Officer, UNHCR Georgia. Le opinioni espresse nell’articolo sono da attribuirsi unicamente all’autrice e non riflettono necessariamente la posizione dell’UNHCR

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