Guerra in Ucraina sui media serbi: il predominio della retorica filo-russa

Raskrinkavanje ha analizzato oltre 4000 articoli sulla guerra in Ucraina pubblicati tra l’inizio di febbraio e la fine di luglio sui giornali serbi Večernje novosti, Informer, Srpski telegraf, Blic e Danas. Di tutti gli articoli presi in considerazione circa 1600 risultano faziosi nei confronti di uno degli attori coinvolti (Russia, Ucraina e Occidente), con una netta prevalenza di toni filo-russi e anti-occidentali

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Edicola con quotidiani serbi © Fotokon/Shutterstock

(Originariamente pubblicato da Raskrinkavanje , il 31 ottobre 2022)

La guerra in Ucraina ha improvvisamente sconvolto la vita di milioni di persone in tutto il mondo. L’opinione pubblica, soprattutto quella europea, ha condannato, quasi all’unisono, l’aggressione messa in atto dal presidente russo Vladimir Putin. La Serbia però si è ritrovata in una situazione del tutto particolare, essendo un paese candidato all’adesione all’UE e, al contempo, tradizionalmente legato alla Russia. Sin dal inizio del conflitto in Ucraina, la leadership serba, compreso il presidente Aleksandar Vučić, si è dimostrata riluttante ad assumere una chiara presa di posizione sulla questione. Con il passare del tempo però per i vertici serbi è diventato sempre più difficile mantenere un atteggiamento ambiguo, anche perché, come sostiene lo stesso Vučić, le pressioni occidentali continuano a intensificarsi.

A differenza dell’élite politica, la maggior parte dei media serbi si è subito schierata: alcuni hanno tifato per Putin, altri – meno numerosi – hanno espresso il loro sostegno all’Ucraina, mentre un tabloid filogovernativo, seguendo appunto la linea tracciata dal governo, ha mantenuto una posizione neutra, senza scegliere da che parte stare.

Le giornaliste di Raskrinkavanje hanno analizzato oltre quattromila articoli sulla guerra in Ucraina pubblicati tra febbraio e luglio di quest’anno sui giornali serbi Večernje novosti, Informer, Blic, Srpski telegraf e Danas. Lo scopo dell’analisi era quello di individuare le narrazioni costruite dai media in questione relativamente al conflitto in corso, focalizzandosi in particolare sull’atteggiamento assunto dai media verso i principali protagonisti della vicenda, quindi verso la Russia e il presidente russo, l’Ucraina, i paesi occidentali e la Nato, nonché verso Aleksandar Vučić.

Dall’analisi è emerso che, nel periodo preso in considerazione, i media di cui sopra si sono perlopiù limitati a riprendere brevi notizie diffuse da agenzie di stampa oppure a pubblicare articoli imparziali. Tuttavia, più di 1600 articoli analizzati (circa il 40%), secondo le giornaliste di Raskrinkavanje, sono da ritenersi faziosi. Di questi circa 800 sono caratterizzati da un atteggiamento favorevole nei confronti della Russia e di Putin, spesso accompagnato da un linguaggio ostile nei confronti dell’Ucraina e dell’Occidente.

Tra i giornali che hanno cercato di presentare Putin e la Russia sotto una luce positiva, considerando invece l’Occidente come un male assoluto, spiccano Informer e Večernje novosti. Quest’ultimo, in un articolo pubblicato a settembre, è arrivato ad affermare che “i nostri stanno respingendo gli attacchi”, riferendosi all’esercito russo.

A differenza di Informer e Večernje novosti, il tabloid Srpski telegraf è rimasto indeciso su come parlare del presidente russo, oscillando tra articoli favorevoli a Putin, in cui ci si augura che riesca a “distruggere” i suoi avversari, e critiche rivolte al presidente russo perché si starebbe arricchendo “mentre le persone continuano a morire”.

Milan Lađević, fino a poco tempo fa caporedattore del tabloid Srpski telegraf, ha “ringraziato” Raskrinkavanje per l’analisi in questione che, secondo Lađević, dimostra che Srpski telegraf è “un media filo-serbo che non prende ordini né da est né da ovest”.

Pur non avendo tifato per Putin in maniera insistente, Srpski telegraf, al pari di Informer e Večernje novosti, ha continuato a portare avanti una propaganda anti-occidentale. Nei sei mesi presi in esame, questi tre tabloid hanno pubblicato circa 700 articoli caratterizzati da un atteggiamento negativo nei confronti dell’Occidente, in cui si afferma, tra l’altro, che [il presidente statunitense] “Biden ha paura” di Putin e che in Occidente regna “la follia” e ”un’isteria anti-russa”, definendo i paesi occidentali guerrafondai.

Di tutti gli articoli schierati da una parte (circa 1600), un quarto è caratterizzato da toni anti-russi (presenti perlopiù sulle pagine dei quotidiani Blic e Danas), di questi il 10% denota un atteggiamento positivo nei confronti dell’Ucraina (principalmente sul quotidiano Danas).

Riportiamo di seguito i principali risultati della nostra analisi che permettono di comprendere come i media serbi hanno parlato della guerra in Ucraina e quali idee hanno cercato di imporre all’opinione pubblica locale. Dall’analisi è emerso che i tabloid (sui quali è comparsa la maggior parte degli articoli faziosi) hanno fatto a gara nel presentare l’Ucraina come uno stato fantoccio, l’Occidente come il vero responsabile del conflitto in corso e Putin come “un uomo giusto” che è stato praticamente costretto ad aggredire [l’Ucraina] per rispondere a varie provocazioni. Nonostante le numerose vittime, i rifugiati e le città distrutte, per i tabloid è il presidente serbo Aleksandar Vučić ad essere maggiormente colpito dal conflitto in Ucraina.

“I nostri avanzano, il nemico ha perso due carri armati”

All’inizio di aprile, quando le immagini dei civili massacrati sulle strade della città ucraina di Bucha hanno sconvolto l’opinione pubblica mondiale, Branko Vlahović, corrispondente da Mosca per il quotidiano Večernje novosti, scriveva: “L’intera vicenda è stata orchestrata dalla leadership di Kyiv”.

Vlahović è uno dei giornalisti serbi che hanno maggiormente contribuito alla relativizzazione della strage di Bucha.

Poco dopo la scoperta di questo crimine sono emerse alcune immagini satellitari dei cadaveri abbandonati nelle strade di Bucha risalenti a metà marzo, quindi al periodo in cui la città era ancora sotto il controllo dell’esercito russo. Ciononostante, Vlahović ha basato il suo giudizio “professionale” esclusivamente su un comunicato stampa emesso dal Cremlino che smentiva qualsiasi coinvolgimento di Mosca nel massacro di Bucha.

“Mentre le forze russe erano a Bucha, gli abitanti si muovevano liberamente, utilizzavano la rete mobile, lo dice la parte russa. Ora le autorità ucraine e alcuni media occidentali diffondono informazioni su un massacro, mostrando i cadaveri esposti in strada”, scriveva Vlahović lo scorso 5 aprile.

Negli articoli di Vlahović riecheggia la retorica ufficiale del Cremlino, fatto che non sorprende considerando che Vlahović, che vive e lavora a Mosca ormai da più di trent’anni, ritiene che da quando Putin è salito al potere, la situazione in Russia sia migliorata da tutti i punti di vista. Nel 2014 Vlahović ha persino scritto un libro dedicato a Putin, intitolato “Putin – il potere della Russia”.

“Nella recente storia della Russia post-sovietica il nome di Vladimir Vladimirovič Putin sarà scritto a lettere d’oro”, afferma Vlahović all’inizio del suo libro, definito – come si legge sul sito della casa editrice [Vukotić media] – “un ritratto di Vladimir Putin”, regnante dotato di “saggezza, perseveranza, fermezza e lungimiranza”.

La leadership russa, a quanto pare, apprezza il lavoro di Vlahović. Nel corso degli anni, Vlahović ha avuto l’opportunità di intervistare i massimi vertici dello stato russo, compreso lo stesso Putin.

“Colgo con gioia questa occasione per rivolgermi ai lettori di Večernje novosti, uno dei giornali più letti e influenti in Serbia, per rispondere alle sue domande e per condividere con lei le mie opinioni”, ha affermato Putin in un’intervista rilasciata a Vlahović.

A distanza di un mese dall’inizio della guerra in Ucraina, Vlahović – insieme ai giornalisti di Tanjug, RTS e Politika – ha avuto l’occasione di intervistare il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov. Negli anni scorsi ha intervistato anche l’ex presidente e premier russo Sergej Medvedev, dal quale ha ricevuto la medaglia “Puškin” per “il suo importante contributo al rafforzamento dell’amicizia russo-serba”. Nel luglio di quest’anno anche il patriarca russo Kirill ha conferito a Vlahović un’onorificienza.

Sin dall’inizio della guerra, gli articoli di Vlahović riguardanti i combattimenti in Ucraina hanno costituito “l’ossatura” della sezione esteri del quotidiano Večernje novosti, distinguendosi per lunghezza e dovizia di particolari. Nei suoi articoli, che spesso vengono pubblicati in prima pagina, Vlahović cita varie dichiarazioni e comunicati stampa rilasciati da diversi attori coinvolti, quindi non solo dalla parte russa, ma anche dalla parte ucraina, nonché dall’Occidente.

Tuttavia, la varietà delle fonti consultate non è sempre sinonimo di imparzialità. I testi di Vlahović denotano infatti una certa faziosità che emerge dal modo in cui l’autore giustappone le informazioni provenienti da varie fonti, spesso facendo prevalere la parte russa, concedendole maggiore spazio o incentrando l’intero articolo su informazioni provenienti da fonti russe, per poi citare en passant le dichiarazioni rilasciate dalla parte ucraina, che però di solito non hanno nulla a che vedere con l’argomento trattato nell’articolo.

La faziosità di Vlahović emerge anche dai titoli dei suoi articoli, nonché dalle sue scelte lessicali e sintattiche: i missili russi vengono sempre definiti armi “ad alta precisioni”, volendo così suggerire che colpiscano solo obiettivi militare (e non civili). Vlahović descrive l’esercito russo come un esercito capace e corretto che colpisce solo obiettivi di importanza militare, soccorre i feriti tra la popolazione ucraina, protegge i confini, tratta bene i prigionieri di guerra. I soldati ucraini invece, secondo Vlahović, sono corrotti, si bombardano da soli, sono vigliacchi e bugiardi, quindi sono inclini ad arrendersi oppure, una volta imprigionati, a mentire affermando di essere semplici cuochi o autisti.

Vlahović non è imparziale nemmeno per quanto riguarda l’approccio alle fonti e tende a considerare come dati di fatto tutte le informazioni provenienti da fonti russe, anche quando si tratta di informazioni non confermate, o persino smentite.

Con l’avanzare della guerra, il quotidiano Večernje novosti è diventato sempre più allineato alla retorica del Cremlino, talvolta riportando testualmente le notizie diffuse dai russi. “I nostri stanno respingendo gli attacchi, il nemico ha perso due carri armati”, si legge in un articolo uscito sulle pagine di Večernje novosti a settembre, quando i russi cercavano di “respingere” l’esercito ucraino che aveva sfondato la linea del fronte nei pressi di Kharkiv.

La faziosità del quotidiano Večernje novosti e del suo corrispondente da Mosca si evince anche dalla narrazione sul nazismo.

All’indomani dell’ormai storico discorso di Putin del 21 febbraio scorso, in cui il presidente russo ha praticamente annunciato l’aggressione all’Ucraina, Branko Vlahović, in un suo articolo, ha parlato per la prima volta del “nazionalismo” della leadership ucraina, citando il presidente russo. Nei giorni successivi, Vlahović ha sostituito il termine “nazionalismo” con “nazismo”, inizialmente citando fonti russe, per poi iniziare ad utilizzare tale espressione senza alcuna restrizione.

Allo stesso tempo, anche altri giornalisti delVečernje novosti hanno iniziato ad utilizzare, con sempre maggiore insistenza, il termine “nazismo”, che prima del summenzionato discorso di Putin non compariva mai sulle pagine del giornale. Lo scorso 7 marzo il quotidiano Večernje novosti è uscito in edicola con un supplemento di otto pagine intitolato I nipoti dei nazisti nelle trincee dell’Ucraina. A contribuire maggiormente alla realizzazione del supplemento in questione è stato proprio Vlahović con un articolo di quattro pagine dal titolo Due decenni di cedimenti al nazismo. Da quel momento in poi, il giornale Večernje novosti ha continuato a riportare notizie come se fosse l’ufficio per le relazioni con il pubblico del Cremlino: leggendo gli articoli pubblicati su questo quotidiano è difficile distinguere tra fatti e opinioni dei giornalisti, che ormai hanno fatto proprio il discorso sul nazismo – in realtà utilizzato per giustificare l’aggressione russa – e continuano a riproporlo senza metterlo in discussione.

Branko Vlahović non ha voluto rispondere alle domande dei giornalisti di Raskrinkavanje.

Nel tentativo di convincere i suoi lettori della veridicità della storia incentrata sulla “denazificazione”, Večernje novosti non ha esitato a ricorrere a gravi manipolazioni. Lo scorso 27 marzo il quotidiano ha pubblicato un’intervista, a firma della giornalista Ivana Stojanović, con un membro del Bundestag, Gregor Gysi, il quale, rispondendo ad una domanda della giornalista, avrebbe affermato che “nel 2019 gli ucraini hanno eletto i partiti nazisti e di estrema destra che poi sono entrati a far parte del parlamento e del governo”.

Ad un mese e mezzo dalla pubblicazione dell’intervista in questione è arrivata la smentita di Gysi – che Večernje novosti ha scelto di pubblicare in un box a margine della pagina – in cui il deputato tedesco ha spiegato di aver detto l’esatto contrario di quanto riportato dal quotidiano serbo. “In fin dei conti, è un compito che gli ucraini dovrebbero assolvere. In un certo senso lo hanno già fatto quando nel 2019 […] hanno votato contro i partiti nazisti e di estrema destra, cacciandoli così dal parlamento e dal governo”, questa la vera risposta di Gysi. Nella sua smentita il membro del Bundestag ha sottolineato che anche alcune altre affermazioni che gli sono state attribuite nell’intervista in questione, intitolata I nazisti di tutta Europa si fanno avanti nelle istituzioni, non riflettono fedelmente le sue opinioni.

Per Večernje novosti si è trattato di “un errore involontario”, ossia di “un’imprecisione sfuggita” ai giornalisti.

Di tutti gli articoli analizzati da Raskrinkavanje, proprio quelli usciti sulle pagine del quotidiano Večernje novosti, e in primis quelli a firma di Branko Vlahović, sono diventati il fulcro della propaganda sui nazisti [ucraini] nel panorama mediatico serbo. Persino il tabloid Srpski telegraf si è dimostrato più “moderato” nel trattare questo tema, limitandosi perlopiù a menzionare i nazisti nelle citazioni di fonti russe, spesso mettendo in dubbio la loro veridicità.

Sulle pagine del quotidiano Blic le parole “nazisti” e “denazificazione” compaiono solo occasionalmente, di solito all’interno degli articoli che riportano dichiarazioni altrui, dalle quali Blic prende nettamente le distanze.

La propaganda filo-putiniana

Dragan J. Vučićević, caporedattore del tabloid Informer, non si è mai posto alcun dilemma riguardo alla scelta con chi schierarsi.

Sono ormai anni che Vučićević esprime pubblicamente il suo entusiasmo per Putin: ha pubblicato vari selfie in cui indossa le magliette con l’immagine di Putin, ha una cover per smartphone raffigurante il presidente russo, su Twitter si è vantato di possedere un orologio da polso, sempre con l’immagine di Putin, ricevuto in dono nel 2016 dall’allora presidente serbo Tomislav Nikolić. [Qualche anno fa] il tabloid diretto da Vučićević si è spinto ancora più in là, pagando per “decorare” Belgrado con manifesti giganti raffiguranti il volto del presidente russo, accompagnato con la scritta “Spasibo Putin” [Grazie Putin].

L’adorazione che Vučićević nutre per Putin ha influito in maniera determinante sulla politica editoriale del suo giornale. Sulle pagine di Informer Vučićević ormai da anni sta costruendo un vero e proprio culto della personalità di Vladimir Putin, dipingendolo come il principale protettore del popolo serbo, oltre a Vučić ovviamente. “Putin difende il Kosovo come se fosse serbo”, “ Grazie fratello Putin: giù le mani dalla Serbia”, “Putin è un ve
o zar”…

Come abbiamo già scritto, nel 2019 [durante una visita di Putin a Belgrado] Informer ha parlato di presunti effetti miracolosi della presenza di Putin sulla salute dei cittadini di Belgrado. “Putin, vieni a trovarci più spesso! La visita di Putin a Belgrado sarà ricordata per aver portato ad una netta diminuzione delle chiamate al pronto soccorso. Grazie a lui i cittadini si sentivano molto meglio”.

Promuovere l’immagine di Putin evidentemente può essere vantaggioso anche dal punto di vista economico. In un’intervista rilasciata al quotidiano statunitense Politico, Vučićević ha affermato che la pubblicazione di un’immagine di Putin sulle pagine di Informer può portare addirittura ad un raddoppio delle vendite. Nel periodo compreso tra febbraio e luglio di quest’anno Putin è comparso sulla prima pagine di Informer più di cinquanta volte, quindi ogni tre giorni.

Allo scoppio del conflitto in Ucraina Vučićević sapeva perfettamente cosa fare. “Munito” di magliette, calendari e custodie per smartphone raffiguranti Putin, si è schierato in difesa del presidente russo. Appena iniziata la guerra, il suo tabloid ha attirato l’attenzione dell’opinione pubblica con un atto di totale distorsione della realtà, titolando in prima pagina “L’Ucraina ha attaccato la Russia”.

In seguito, Informer si è sforzato di presentare l’invasione russa dell’Ucraina come un logico atto di autodifesa. Ben presto però tale retorica è “evoluta” in una narrazione incentrata sui nazisti [ucraini], e con essa è cambiato anche l’obiettivo della guerra che, nell’ottica di Informer, non è più finalizzata all’autodifesa dei russi, bensì alla liberazione dell’Ucraina.

Sulle pagine di Informer Putin quasi sempre viene presentato come una figura forte e dominante e come protettore del popolo russo in Ucraina. Lo si evince anche dal lessico utilizzato: “L’Ucraina chiede pietà”, “Il rapido colpo di Putin”, “Putin distruggerà Kyiv”. Il culto della personalità viene costruito non solo attraverso l’utilizzo dei superlativi, ma anche con le immagini in cui il presidente russo appare sempre risoluto e impavido.

Il caporedattore di Informer non ha cambiato la sua opinione su Putin nemmeno quando quest’ultimo ha citato il caso del Kosovo per giustificare il riconoscimento dell’indipendenza del Donbass da parte di Mosca. Informer si è limitato a constatare con toni blandi che “Putin gioca la carta del Kosovo” e che “lo scontro tra le potenze mondiali si gioca sulle nostre spalle”, addossando però tutte le colpe a Vuk Jeremić, uno dei leader dell’opposizione serba. Così la figura di Putin è rimasta “incorrotta” e l’articolo in questione, pubblicato in prima pagina, è stato accompagnato da una foto del presidente russo che lo ritrae con gli occhiali da sole e un’espressione seria, tanto che sembra un eroe dei film d’azione.

Anche il quotidiano Večernje novosti esalta la figura di Putin con metodi simili, presentandolo come un uomo giusto, impegnato per la pace. Nel febbraio di quest’anno, prima che iniziasse la guerra in Ucraina, Branko Vlahović ha definito Putin come un leader che assolutamente non voleva un conflitto. Per Vlahović, sono stati l’Occidente e “le teste calde a Kyiv” a spingere Putin alla guerra, tanto che anche dopo lo scoppio del conflitto ha continuato a parlare di Putin come di un leader politico irremovibile nei suoi principi, talvolta anche lodando le mosse del presidente russo. “La decisione del presidente Putin di non attaccare Azovstal è del tutto comprensibile e ragionevole”, scriveva Vlahović.

A differenza di Informer e Večernje novosti, che hanno sempre presentato Putin e la Russia sotto una luce positiva, i quotidiani Srpski telegraf, Blic e Danas hanno assunto un atteggiamento più critico. In molti articoli pubblicati sulle pagine di Blic e Danas, basati principalmente sulle informazioni diffuse dai media occidentali, si esprime una dura condanna delle azioni di Putin. Alcuni editorialisti del quotidiano Danas hanno anche cercato di fare una distinzione tra la Russia e Putin, sottolineando più volte che molti cittadini russi si oppongono alla guerra. A differenza dei tabloid, sulle cui copertine spesso compare Putin, Danas ha preferito dedicare le prime pagine alle vittime e alle città ucraine distrutte.

Il dilemma del Srpski telegraf: pro o contro Putin?

Per Milan Lađević, ormai ex caporedattore del quotidiano Srpski telegraf, non è stato facile scegliere da che parte stare.

Srpski telegraf per anni ha mostrato una forte simpatia per Putin, che veniva dipinto come un amico e protettore del popolo serbo: “Putin protegge i serbi in Republika Srpska e nel Kosmet [Kosovo e Metohija]”, “L’offensiva di Putin per salvare i serbi”, “Putin di persona ha salvato i serbi: ci ha dato il gas prima dei bombardamenti – se non fosse stato per quel gas, non avremmo resistito nemmeno due giorni sotto le bombe dell’Alleanza”.

Quindi, ci si aspettava che, allo scoppio della guerra in Ucraina, Lađević si schierasse con Putin, come hanno fatto i suoi colleghi di Informer e Večernje novosti. Tuttavia, lo scorso primo marzo Lađević sul suo profilo Twitter ha condiviso un’intervista rilasciata da Putin nel 1999, accompagnando il post con un commento che ha sorpreso molti.

“Non hanno voluto aiutare la Serbia, perseguendo l’interesse nazionale della Russia. Anche la Serbia dovrebbe perseguire i propri interessi nazionali, per evitare di essere ancora una volta utilizzata come carne da cannone”.

Un commento che ha segnato un cambio di retorica del tabloid diretto da Lađević. Se infatti nelle prime settimane di febbraio Srpski telegraf parlava di un imminente conflitto con toni positivi nei confronti di Putin – affermando che il presidente russo era talmente potente da riuscire a “distruggere l’Ucraina in quattro giorni” e che nemmeno un eventuale aiuto dell’Occidente all’Ucraina sarebbe bastato a sconfiggere la Russia –, la situazione è cambiata dopo una riunione del Consiglio di sicurezza nazionale tenutasi lo scorso 25 febbraio in cui la leadership di Belgrado ha deciso di non introdurre sanzioni contro Mosca, pur impegnandosi a rispettare l’integrità territoriale dell’Ucraina.

Nei giorni successivi Srpski telegraf ha inaugurato una nuova “era” per quanto riguarda la sua posizione nei confronti della Russia: sulle pagine del giornale l’espressione “operazione militare speciale” è stata pian piano sostituita con i termini “guerra” e “aggressione”, si è iniziato a parlare di oppositori alla guerra tra i cittadini russi ed è stata messa in dubbio la capacità dell’esercito russo di portare avanti l’invasione. “L’aggressione di Putin non procede come previsto”, scriveva il tabloid a metà marzo, pubblicando poi anche un’intervista con l’ambasciatore ucraino a Belgrado intitolata “I veri neonazisti siedono al Cremlino”. In quel periodo Srpski telegraf ha iniziato anche a riportare, con sempre maggiore frequenza, le informazioni diffuse dai media occidentali e la sezione del giornale intitolata “La guerra in Ucraina” è stata rinominata “L’aggressione russa all’Ucraina”.

Seguendo attentamente i messaggi che giungevano da Andrićev venac [quartiere di Belgrado dove è situato il palazzo della Presidenza della Repubblica], Srpski telegraf ha saputo adattarsi velocemente all’evolvere della situazione.

Alla fine di maggio il presidente Vučić ha reso noto di aver sottoscritto un nuovo accordo con Putin riguardante le forniture di gas, secondo cui la Serbia nei prossimi tre anni dovrebbe ottenere il gas russo “al prezzo più conveniente in Europa”. Di conseguenza, anche Srpski telegraf ha ricominciato a presentare Putin sotto una luce positiva, pubblicando alcuni articoli in cui si affermava che il presidente russo “stava schiacciando le armi ucraine come se fossero noci” e che volendo “poteva lasciare l’America al buio con un click”.

Successivamente, il susseguirsi di articoli caratterizzati da un linguaggio neutro o positivo nei confronti di Putin veniva ogni tanto interrotto con qualche commento negativo. Ad esempio, a metà giugno Srpski telegraf titolava: “Mosca tira colpi bassi”, reagendo così ad un’intervista rilasciata dall’ambasciatore russo a Belgrado Aleksandr Botsan Kharchenko all’emittente N1 in cui il diplomatico russo ha affermato, che pur essendo rimasta “delusa” dal voto favorevole della Serbia alla risoluzione dell’Onu che condannava l’aggressione russa, Mosca riteneva tale decisione comprensibile a causa delle pressioni esercitate sulla Serbia da parte dell’Occidente. Un linguaggio diplomatico che Srpski telegraf ha interpretato utilizzando toni molto duri. “Praticamente ha detto che la Serbia non è uno stato sovrano e che non conduce una politica indipendente essendo ricattata dall’Occidente”.

Nei mesi successivi il tabloid ha continuato a perseguire una linea editoriale che oscillava tra amore e odio verso la Russia. Fino alla fine di luglio venivano pubblicati articoli in cui si esaltava la potenza delle armi di Putin, considerate capaci di incutere “così tanta paura da far tremare”, e l’esercito russo che, ormai inarrestabile, conquistava una città dopo l’altra con “una tattica feroce in grado di spazzare via le forze di difesa ucraine”. Successivamente però il tabloid è tornato ad utilizzare toni negativi, affermando, tra l’altro, che Putin “si sta arricchendo mentre la gente continua a morire” e che il presidente russo è stato messo alle strette “come un ratto”.

Milan Lađević non è però d’accordo con chi ritiene che la politica editoriale del suo tabloid abbia subito una svolta.

“Non c’è stata alcuna svolta, l’Ucraina è stata aggredita e sin dal primo giorno del conflitto abbiamo espresso la nostra posizione secondo cui la Russia ha attaccato l’Ucraina, ma non siamo ciechi, quindi ci accorgiamo anche di quello che sta facendo l’altra parte, soprattutto la Nato”, ha dichiarato Lađević a Raskrinkavanje, aggiungendo poi di sapere con certezza che “Raskrinkavanje preferirebbe che venisse elogiato l’Occidente”, elogi che, secondo Lađević, difficilmente possono essere espressi perché “la Nato ha fatto alla Serbia la stessa cosa che la Russia ha fatto all’Ucraina”.

“Il fatto di aver pubblicato sia testi positivi che negativi [nei confronti di Putin] dimostra che la nostra politica editoriale non è di parte, bensì equilibrata, non si schiera con nessuno […] Stiamo cercando di riportare soltanto le informazioni veritiere, a prescindere da dove provengano”, ha spiegato Lađević, sottolineando infine che “non vi è nulla di strano nel fatto che abbiamo espresso una posizione favorevole verso l’accordo sul gas, perché si tratta di una buona notizia per la stabilità energetica per il nostro paese e anche perché i cittadini non dovranno pagare bollette troppo alte per il riscaldamento, l’energia elettrica…”.

Vi è però un elemento costante nel modo in cui non solo Srpski telegraf, ma anche Večernje novosti e Informer parlano della guerra in Ucraina: un atteggiamento negativo nei confronti dell’Occidente. I giornali in questione non criticano tanto l’Ucraina quanto i diplomatici, i paesi e le organizzazioni occidentali, come la Nato, definendoli ipocriti e provocatori, responsabili dello scoppio della guerra in corso. Srpski telegraf si scaglia con particolare insistenza contro il presidente statunitense Joe Biden, definendolo spesso come epiteti irrispettosi, come “un demente” che “si è cagato addosso”. Leggendo questo tabloid si è portati a pensare che la Russia sia in guerra con l’Occidente e che l’Ucraina non sia altro che una vittima collaterale.

In Ucraina si muore, ma la prima vittima è Vučić

Anche la politica editoriale del quotidiano Blic è rimasta allineata alla retorica della leadership serba.

Nei primi giorni di marzo – mentre i russi distruggevano Mariupol’ e altre zone dell’Ucraina orientale avvicinandosi e Kyiv, costringendo oltre un milione e mezzo di ucraini a fuggire dalle loro case, mentre quelli che erano rimasti cercavano di sopravvivere senza luce, acqua e cibo – per Blic la prima vittima della guerra è stata la Serbia, incarnata nella figura di Aleksandar Vučić.

“Riuscirà la Serbia a sopravvivere alla guerra in Ucraina?”, si chiedeva Blic in prima pagina lo scorso 3 marzo, fornendo subito una risposta: un’immagine di Vučić che inviava un messaggio incoraggiante, promettendo che la Serbia sarebbe riuscita a “resistere a tutto e mantenere la stabilità”.

Il numero di Blic con la copertina sopra descritta è uscito all’indomani dell’approvazione della risoluzione dell’Onu che condannava l’aggressione russa all’Ucraina. Blic ha evidentemente ritenuto necessario giustificare agli occhi degli elettori di Vučić la decisione della Serbia di appoggiare la risoluzione in questione.

“Una decisione saggia”, recitava la didascalia della foto di Vučić pubblicata in prima pagina. L’articolo proseguiva nelle pagine interne accompagnato da un’altra foto di Vučić con un’espressione seria e lo sguardo fisso su alcuni fogli sparsi sul tavolo davanti a lui. Il presidente ha un’aria stanca – ha infatti avuto, come si legge nell’articolo, una serie di incontri con i funzionari europei, protrattisi fino a notte inoltrata – ma il suo messaggio è chiaro: “Lottiamo quanto possiamo. Il nostro compito è quello di salvare la nostra Serbia”.

Da anni ormai il quotidiano Blic è molto vicino a Vučić e ai suoi collaboratori.

Lo scorso 17 settembre, quando Blic festeggiava i suoi 26 anni di attività, il presidente Vučić era a New York per partecipare all’Assemblea generale dell’Onu, quindi non ha potuto prendere parte alla grande festa organizzata da Blic, alla quale però hanno partecipato, oltre alla moglie del presidente, Tamara Vučić, anche alcuni dei suoi più stretti collaboratori, tra cui Ana Brnabić, Ivica Dačić e Bratislav Gašić. Tra gli ospiti c’erano anche molti altri funzionari dello stato – come l’ex city manager di Belgrado Goran Vesić, il direttore delle Poste Zoran Đorđević e il direttore di Telekom Srbija Vladimir Lučić – nonché alcuni uomini d’affari ed esponenti del mondo dello spettacolo.

Blic ha pubblicato un testo dedicato ai festeggiamenti accompagnato da numerose foto e belle parole rivolte alla redazione da alcuni esponenti dell’élite al potere.

“Le storie che avete pubblicato hanno sollevato questioni importanti di cui prima non si parlava, contribuendo così a far diventare la Serbia un paese migliore”, ha affermato la premier Ana Brnabić.

Ivica Dačić, anch’egli evidentemente contento dell’operato di Blic, si è detto convinto che il quotidiano “saprà affrontare il periodo davanti a noi che sarà pieno di sfide”.

Nei mesi scorsi Blic ha mantenuto un atteggiamento critico sia nei confronti dell

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