Guerra in Ucraina, che fine hanno fatto gli oligarchi?

Capitani d’industria, uomini d’affari ma, soprattutto, uomini di grande influenza politica. Sono gli uomini più ricchi del paese, i cosiddetti oligarchi ucraini. Un approfondimento su come hanno reagito all’aggressione russa dell’Ucraina

18/05/2022, Claudia Bettiol -

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Rinat Achmetov - Di Komul, opera propria, CC BY-SA 3.0

Spuntati nei primi anni Novanta, sopravvissuti a diversi presidenti, a due rivoluzioni, all’aggressione ibrida russa del 2014-2021 e a due ondate di “de-oligarchizzazione”, anche gli oligarchi ucraini stanno attraversando tempi molto difficili, alcuni più di altri. L’invasione russa su larga scala dello scorso 24 febbraio ha, infatti, sconvolto la loro vita di magnati e uomini influenti, distruggendo letteralmente imprese e infrastrutture di loro proprietà e provocando nel paese un’instabilità non solo di tipo economico e sociale, ma anche politico.

Dallo scoppio della recente guerra, della classe oligarchica ucraina non si hanno quasi notizie: i magnati sembrano essersi volatilizzati, perdendo sia la loro influenza nella politica interna che ingenti somme di denaro nei propri affari. Ma come hanno realmente reagito all’invasione russa e quali sono le posizioni che hanno abbracciato allo scoppio di questo nuovo conflitto?

Dalla guerra agli oligarchi…

I grandi imprenditori dell’est, che sono spuntati con il crollo dell’Unione Sovietica e hanno costruito la loro fortuna grazie all’instabilità di quel periodo, vengono spesso e volentieri definiti tutti oligarchi, ma non è del tutto corretto. Come afferma l’analista politico Volodymyr Fesenko, non è solo una questione di status finanziario: gli oligarchi sono persone che hanno contemporaneamente uno status elevato negli affari, un patrimonio cospicuo, un capitale mediatico (soprattutto televisivo) e un’influenza politica che viene solitamente esercitata attraverso i partiti e le campagne elettorali.

L’oligarchia, in Ucraina, emerse sotto la presidenza di Leonid Kučma, ex dirigente della più grande fabbrica di armamenti dell’allora Dnipropetrovs’k (l’attuale città di Dnipro). Negli anni in cui fu capo di stato (1994-2005), Kučma non si impose come singolo magnate bensì giocò un ruolo di arbitro neutrale fra i diversi gruppi di interesse del paese, gestendo a suo modo le tensioni fra la nuova classe oligarchica che lo circondava e incassando favori politici tra di essa. Nonostante le riforme liberalizzatrici introdotte successivamente dal primo ministro Viktor Juščenko (1999-2001) – il quale riuscì a far decollare l’economia ma non a fermare l’influenza delle strutture mafiose su di essa -, con il supporto di Kučma, gli oligarchi riuscirono a farsi strada e a rafforzare quel sistema difettoso e corrotto che l’Ucraina si porta dietro da allora, dove media e democrazia vengono usati per instaurare amici al potere e controllare, in tal modo, il monopolio economico del paese.

Da allora, gli oligarchi hanno sempre fatto parte integrante del sistema socio-economico-politico del paese, rendendo ancora più difficile il passaggio per l’Ucraina a un sistema democratico privo (o quasi, diciamo) di corruzione. Solo il quinto presidente ucraino, Petro Porošenko – anch’egli un oligarca di Vinnycja, proprietario della fabbrica di cioccolato del paese Rošen e della stazione televisiva 5 Kanal – ha osato esporsi verbalmente per la “de-oligarchizzazione” del paese, probabilmente spinto dalla pressione calzante dell’Unione europea. Ma la sua lotta effettiva si è ridotta ad alcuni tentativi per eliminare dalla concorrenza il suo acerrimo avversario di Dnipropetrovs’k, Ihor Kolomojs’kyj. D’altronde, come avrebbe potuto Porošenko far sparire la classe oligarchica, quando lui stesso ne fa parte?

Il più accanito oppositore si è rivelato sorprendentemente essere l’attuale presidente in carica, Volodymyr Zelenskyj – teoricamente arrivato al potere grazie al sostegno di Kolomojs’kyj – il quale, con la “legge anti-oligarchi” recentemente approvata dalla Verchovna Rada e che avrebbe dovuto entrare in vigore questo mese, ha sfidato apertamente il fronte oligarchico. Ma l’inizio della cosiddetta “operazione militare speciale” in Ucraina da parte di Vladimir Putin ha sospeso la partita.

…agli oligarchi in guerra

La guerra su larga scala con la Russia sembra non aver influito realmente sul sistema oligarchico ucraino: non c’è effettivamente stato nessun crollo totale nel modello oligarchico vero e proprio, nonostante le perdite cospicue (e parliamo di miliardi di dollari) che hanno subito questi uomini d’affari, specie i proprietari delle maggiori industrie situate nei territori a sud-est dell’Ucraina, come Rinat Achmetov, Vadym Novynskyj, Juryj Kosjuk o Ihor Kolomojs’kyj.

Gli oligarchi hanno reagito in modo diverso all’invasione russa. L’uomo più ricco di tutta l’Ucraina, Rinat Akhmetov, è stato l’unico a condannare apertamente e duramente l’aggressione, definendo il presidente russo Vladimir Putin un criminale di guerra. Altri membri dell’oligarchia (i fratelli Surkis, Vadym Rabinovyč, Oleksandr Jaroslavs’kyj) sono fuggiti dal paese, rischiando di perdere la loro precedente influenza. Viktor Medvedčuk, amico stretto del presidente russo, si trova in un centro di detenzione dei servizi segreti ucraini (SBU) in attesa di un verdetto del tribunale.

Ihor Kolomojs’kyj, conosciuto come il principale organizzatore della campagna elettorale di Volodymyr Zelenskyj – e di recente accusato di corruzione come governatore della regione ucraina di Dnipropetrovs’k nel 2014-2015 – non sembra particolarmente preoccupato per la situazione attuale, forse perché (pare) le sue risorse industriali sono concentrate in una regione che le forze russe stanno aggirando.

Sulle prese di posizione degli oligarchi nei confronti del conflitto, il sindaco della città di Dnipro, Borys Filatov, lo scorso aprile ha dichiarato : “Se parliamo di oligarchi, ad esempio delle imprese di Viktor Pinčuk, queste aiutano con macchinari e materiali da costruzione. In base alle loro possibilità forniscono anche assistenza medica agli sfollati interni. Se parliamo, invece, di Ihor Kolomojs’kyj, non so dove si trovi questa persona. Alcuni dicono che sia a Dnipro, altri che sia a Bukovel’. Non lo si scorge affatto all’orizzonte, non lo si vede proprio. Si ha la sensazione che non esista”.

Rinat Achmetov: l’unico oligarca patriota?

L’uomo d’affari più ricco di tutta l’Ucraina, Rinat Achmetov, magnate dell’acciaio e dell’energia elettrica di Donec’k, nonché “re del carbone” e proprietario della squadra di calcio Šachtar Donec’k, è noto per i suoi stretti legami con i due ex presidenti, Leonid Kučma e Viktor Janukovyč (2010-2014), quest’ultimo il suo “pupazzetto politico”. Molti ritengono, infatti, che fosse stato Achmetov a usare il proprio denaro per trasformare Janukovyč, ex criminale divenuto poi dirigente industriale, in un politico.

Ma se, fino al 2014, Achmetov fece parte della cerchia ristretta di oligarchi vicini a Janukovyč, con le proteste auto-organizzate di Euromajdan abbandonò l’ex presidente (che fuggì poi, come sappiamo, in Russia) di cui non approvò l’uso della violenza; non appoggiò l’opposizione come fece Porošenko, anzi, per recuperare potere finanziò e sostenne la causa separatista nelle regioni orientali del Donbas. Ma sempre con un piede in due staffe: grazie al suo potere politico e finanziario, Achmetov non perse la sua influenza a Kyiv. Nel Donbas – a Donec’k come a Mariupol’ – cercò, per quanto possibile, di tenere intatte le sue proprietà e di fare da “ponte fra est e ovest”, dichiarando che il Donbas è ucraino. Parrebbe, infatti, che Achmetov stesse facendo pressione (e con successo) al Cremlino e nelle repubbliche separatiste, a tal punto da fermare, ancora nel 2014, l’offensiva su Mariupol’, dove si trovava Azovstal’, di sua proprietà.

Con lo scoppio del conflitto nel 2014, Achmetov ha avuto difficoltà da entrambi i lati del confine, ma ciò non gli ha impedito di fare affari sia in Ucraina (dove possiede centrali elettriche, acciaierie e un enorme bacino mediatico) sia in Russia.

Attualmente, sostiene tutte le difficoltà associate alla guerra, aiutando l’esercito regolare ucraino e gli sfollati (si parla di una donazione di 100 milioni di euro già impiegati) e restando in patria: stando a un recente video del giornalista Dmitry Gordon , Achmetov non ha mai lasciato il paese da quando è iniziata la guerra ed è l’unica persona tra le più ricche e influenti d’Ucraina ad aver espresso apertamente le sue posizioni nei confronti dell’aggressione russa. Nei media internazionali (CNN , New York Times, Forbes) è l’unico oligarca che non resta in silenzio e riconosce le atrocità commesse dal regime di Putin. Indubbiamente, il fatto che le atrocità peggiori si stiano commettendo proprio nella sua città, a Mariupol’, e all’interno della sua Azovstal’, non può che fargli abbracciare la causa ucraina.

Dimostrando al mondo intero il proprio patriottismo ucraino, Achmetov ha affermato che se mai Azovstal’ e la sua rete di fabbriche dovessero passare sotto il controllo dei separatisti russi, nessun ucraino ci lavorerebbe e, lui stesso, non ci investirebbe nemmeno un copeco.

Nessuno degli altri oligarchi ha agito come Achmetov: alcuni non si sa dove siano, altri si nascondono o fanno finta di nulla e ancora non si capisce chi è favorevole all’aggressione russa e chi no. E lo sappiamo bene: anche non prendere una posizione è una presa di posizione.

Il (non) futuro degli oligarchi ucraini?

Una sola guerra può spazzare via un sistema radicato in un paese da anni? Se lo stanno chiedendo diversi esperti ed analisti che stanno studiando la questione oligarchica: “È da ingenui credere che il sistema oligarchico scomparirà sullo sfondo delle ostilità. Le persone che sono diventate oligarchi sulla scia degli anni Novanta hanno sfruttato appieno le opportunità che si sono aperte dopo il crollo dell’URSS. Nulla impedisce a queste stesse persone di cogliere le opportunità in un’Ucraina postbellica. Soprattutto ora che lo stato sta diventando l’attore principale dell’economia”, afferma l’analista politico Oleksandr Kočetkov.

Non appena, infatti, la situazione attuale di conflitto si sarà più o meno stabilizzata, l’amministrazione presidenziale dovrà tornare ad essere un arbitro tra i clan in competizione. E a questo punto sono due le opzioni possibili: o le autorità e le imprese si accordano su chiare regole di interazione per il risanamento del paese, oppure il vecchio gioco di “amici e nemici” – che è già costato all’Ucraina notevoli perdite politiche ed economiche – continuerà a oltranza.

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