Guerra in Ucraina: a Chernivtsi si organizza la resistenza

Situata nel sud-ovest dell’Ucraina, 40 km dal confine con la Romania, nel cuore della Bucovina, la città di Chernivtsi è divenuta un centro di smistamento per gli aiuti umanitari e per il transito dei rifugiati. In questa zona, finora risparmiata dai combattimenti, la mobilitazione è ovunque

11/03/2022, Florentin Cassonnet - Tchernivtsi

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Nell'"Ufficio dei volontari per la difesa dell'Ucraina" a Chernivtsi - © Courrier des Balkans

(Pubblicato originariamente da Courrier des Balkans il 9 marzo 2022)    

Viene da pensare immediatamente ad un formicaio. Il piano terra di questo vecchio edificio nel centro di Chernivtsi pullula di volontari. Uomini e donne di tutte le età si muovono con difficoltà tra le stanze e negli stretti corridoi. Alcuni portano borse all’interno, altri le portano fuori. Si tratta di aiuti umanitari dalla Romania o donati da cittadini ucraini. Lungo il corridoio d’ingresso, stelle metalliche bucagomme aspettano in numerose casse di essere portate ai posti di blocco che si moltiplicano ogni giorno lungo le strade e all’entrata delle città dell’Ucraina.

Alla fine di un altro corridoio vi è una vasta stanza dove molte donne sono occupate tra enormi pile di materiali. Stanno smistando coperte, vestiti, medicine, cibo, riconfezionandoli in pacchetti che saranno poi inviati a Kiev, Jytomyr, Kharkiv, ovunque ve ne sia bisogno. Su un tavolo, stivali militari e vestiti mimetici. Una giovane donna scatta una foto da postare su uno dei tanti canali Telegram attraverso i quali gli ucraini comunicano nonostante la guerra. Per dire a quelli al fronte: tenete duro, i rifornimenti stanno arrivando. Davanti all’edificio, viene caricata un’auto. Andrà a Kharkiv, sul fronte orientale, dove la guerra infuria e più di un milione di persone lottano per sopravvivere.

Il posto è stato rinominato "Ufficio dei volontari per la difesa dell’Ucraina". L’edificio venne costruito 130 anni fa, quando Chernivtsi era la capitale della Bucovina, una regione oggi a cavallo tra Romania e Ucraina, che allora faceva parte dell’Impero Asburgico. Alcune parti dell’edificio sono abbandonate da anni e quindi hanno bisogno di essere risistemate. Soprattutto il seminterrato. Perché quando suonano le sirene, è lì che bisogna andare per rifugiarsi, per proteggersi da possibili bombardamenti.

A Chernivtsi si allestiscono scantinati - © Courrier des Balkans

A Chernivtsi si allestiscono scantinati – © Courrier des Balkans

Max, 28 anni, risale da una delle due scale che portano lì. Con altri volontari, ha appena finito di installare i servizi igienici e un router wifi. "Questi scantinati non sono stati utilizzati per anni. Dobbiamo rendere il posto abitabile", spiega. Due giorni fa sono state installate luci e acqua. Un piccolo serbatoio di acqua potabile verrà anch’esso presto installato. Nel cortile interno, panchine sono state ricavate dai pallet. Passare la notte in questo scantinato dal soffitto basso e dal pavimento in terra battuta non è molto allettante. Quante persone possono entrarci? "Tutti quelli che possiamo. Se ci sono bombe, non ci si mette a contare”.

Max lavorava in un ristorante a Kiev, ma è dovuto fuggire il 2 marzo. "Quando ho sentito gli spari vicino a casa mia, sapevo che dovevo andarmene per portare la mia famiglia al sicuro. Ha guidato fino a Chernivtsi con la sua compagna, i loro due bambini di 6 e 18 mesi e altri membri della famiglia. Dodici persone in totale, in un convoglio di cinque auto. "Siamo qui da amici di amici che non ci conoscevano nemmeno”. Molti abitanti delle regioni finora risparmiate dall’invasione russa hanno fatto posto nelle loro case ai meno fortunati, in un’impresa collettiva di solidarietà pari all’immensa posta in gioco. "Non ho mai visto tanta unità tra gli ucraini", dice Max.

Questa unità nazionale sorprende molti. "Ora siamo fuori dalla politica", dice Misha, 40 anni, che ha lasciato Jytomyr ed è qui, come Max, per aiutare come meglio che può. "Normalmente odiamo la polizia, oggi la salutiamo", dice per far meglio comprendere il suo punto di vista. È da questa armonia nazionale e dall’ampio sostegno internazionale che gli ucraini traggono gran parte della loro forza per resistere. Come molti altri uomini e donne, Max dice di essere pronto a combattere. Ha ancora molti amici a Kiev e vorrebbe raggiungerli. "Non ci stiamo nascondendo, non stiamo scappando, stiamo aspettando la chiamata", dice con una calma fatta di determinazione, tristezza e rassegnazione nel dover fare qualcosa contro la propria volontà. "Non posso crederci, stavamo vivendo una vita moderna e ora siamo coinvolti in una guerra di altri tempi”.

Come molti ucraini, ha familiari anche in Russia, da parte di sua madre, cugini, alcuni dei quali hanno la sua età. "Mandiamo loro foto e video di quello che sta succedendo qui, la distruzione, i morti, ma non ci credono. Pensano che siano i sostentori di Bandera (1) che ci sparano", ci dice, facendo così capire il divario tra le realtà percepite dalla gente in Ucraina e quella che vivono in Russia. Le informazioni circolano tramite i legami familiari tra Ucraina e Russia tramite applicazioni di messaggistica, ma c’è così tanta disinformazione da parte russa che, per il momento, le famiglie di entrambi i paesi rimangono divise.

Questo centro raccolta non è l’unico a Chernivtsi, ve n’è un altro gestito dalle autorità comunali. "Ma è meno efficiente, ci sono un sacco di scartoffie, perché è gestito dalle autorità cittadine", chiosa Sasha. Ecco perché ha preferito venire qui, in questo centro gestito dalla società civile, che conta da 300 a 400 volontari. "Sono scioccata dal fatto che ho solo 20 anni e devo fare questo. Sasha, studentessa di medicina di Chernivtsi era qui in vacanza e le lezioni sarebbero dovute riprendere la prossima settimana. Non si sa ancora se sarà così ma lei ha già deciso di chiedere alla sua università il permesso di sospendere gli studi per continuare ad aiutare. "Ho molti contatti all’estero, quindi ho pensato di poter essere utile qui", spiega. Gran parte del lavoro di questi volontari è infatti logistico, ed è in gran parte dall’estero che possono ricevere ciò di cui hanno bisogno, dato che le catene di approvvigionamento in Ucraina sono difficili se non interrotte.

"Persone da tutta l’Ucraina chiamano per dirci di cosa hanno bisogno", racconta Ruslan, 51 anni, seduto al computer con un foglio di calcolo e fogli di carta per prendere appunti. "Oggi stiamo inviando medicine a Kiev e cibo a Charkiv. Gli autisti rischiano la vita quando si avvicinano ai combattimenti, ma si tratta di rifornire le zone circondate dall’esercito russo in un momento in cui molti beni essenziali stanno finendo. "Ciò di cui abbiamo più bisogno sono giubbotti antiproiettile ed elmetti. Ruslan si augura anche che venga implementata una no-fly zone, cosa che la NATO si rifiuta di fare, temendo che questo porterebbe ad una internazionalizzazione del conflitto.

Nel cortile interno vengono stoccati sacchi di patate e vi sono centinaia di casse di pomodori, coperti da un telone per proteggerli dalla neve che cade a intermittenza. "I pomodori sono stati confiscati da un camion diretto in Russia", dice Roman, prima di essere interrotto da un uomo apparentemente più in alto nella gerarchia informale che si è sviluppata nel corso dei giorni: "Non c’è bisogno di dirlo, basta dire che li porteremo alla mensa che nutre i rifugiati”.

Roman, 53 anni, possiede un garage a Chernivtsi. Ha messo i suoi veicoli a disposizione di questo centro di aiuto per portare il materiale umanitario nelle città dell’Ucraina. E "aiuta tutti", senza necessariamente far pagare le riparazioni, visto che le auto sono ormai uno strumento essenziale per la sopravvivenza della popolazione. "Se la gente viene con macchine costose, paga, se è povera, non paga", dice.

Come il garage di Roman, sono molte le aziende che hanno spostato la loro attenzione sulla difesa del paese, aiutando gli ucraini colpiti dalla guerra e sostenendo i combattenti. Nella periferia di Chernivtsi, un’azienda di attrezzature agricole ha cessato la sua attività, ha nascosto i suoi trattori e messo tre dei suoi camion a disposizione delle autorità, "per trasportare ciò che vogliono", spiega Alexandr, 36 anni, uno dei dirigenti.

La mensa dell’azienda nutre gratuitamente circa 150 rifugiati in un edificio che è stato convertito in un rifugio. Un altro edificio che era in costruzione è stato convertito in un magazzino per lo stoccaggio di prodotti alimentari provenienti dalla Germania, dalla Romania, ecc. Il capo della società è un cristiano evangelico e usa le sue reti internazionali per portare aiuti dall’estero.

Anche qui, è l’equipaggiamento di protezione che manca di più. "Ho amici al fronte e stanno chiedendo giubbotti antiproiettile, elmetti, occhiali per la visione notturna", riferisce Alexandr, "Lo stato ha dato armi, ma abbiamo bisogno di più equipaggiamento per combattere efficacemente". Spera che non duri troppo a lungo, perché con l’attività dell’azienda sospesa, non ci sono più soldi in arrivo. Il fatto che sua moglie e suo figlio siano al sicuro in Romania gli toglie un peso dalla mente. Il suo collega Volodymyr è più preoccupato perché sua moglie non vuole partire senza di lui e hanno due bambini. Questo è il dilemma straziante che tutte le famiglie ucraine stanno affrontando oggi.

Stelle bucagomme - © Courrier des Balkans

Stelle bucagomme – © Courrier des Balkans

Dan, 36 anni, quando è scoppiata la guerra stava per finire la sua nuova panetteria a Irpin, una città dell’area metropolitana di Kiev. Dopo aver evacuato la sua famiglia a Khotin, una città a 50 km da Chernivtsi, è diventato un trasportatore. Nel suo minivan a sette posti, ha già fatto due viaggi di andata e ritorno a Irpin per portare cibo acquistato lungo la strada e far uscire la gente dalla città, bombardata dall’esercito russo. L’esercito ucraino ha anche fatto saltare il ponte di Kiev per rallentare il progresso delle forze russe verso la capitale.

Insieme a suo fratello Taras e ad altri tre autisti, cinque veicoli in tutto, sono riusciti a far uscire 17 persone nel primo viaggio, 30 nel secondo, persone che volevano fuggire dai combattimenti o la cui casa è stata colpita nei bombardamenti. Il 4 marzo, un edificio di 10 piani è stato bombardato. "Ora capiamo i siriani", dice Dan. "Durante il primo viaggio, i nostri vicini non volevano venire con noi. Ora se ne pentono. Non sono nemmeno sicuro che saremo in grado di evacuarli in un futuro viaggio, perché ci sono sempre meno vie d’uscita e alcuni quartieri sono ormai quasi impossibili da raggiungere".

Mentre lo racconta, il telefono di Dan continua a vibrare. Centinaia di chiamate e messaggi al giorno, persone che gli chiedono aiuto. "Ora che il mio numero di telefono è là fuori, molte persone che non necessariamente conosco mi chiamano per consigli, per informazioni sulle opzioni di trasporto. Ieri un padre ha persino pianto al telefono. Mi sembra di essere diventato uno psicologo.

Dan è diventato una sorta di call center, il che è un problema quando si guida. È così impegnato che ha dovuto chiedere alla sua famiglia di smettere di chiamarlo per potersi concentrare meglio. Ma anche con il 100% della sua attenzione, c’è troppo da fare. "Ti rendi conto che non puoi aiutare tutti. È difficile. Ci sono persone che mi chiedono di tirarli fuori, ma non posso".

Per ora, il morale è buono. "È il fatto che siamo insieme e che i nostri soldati stanno combattendo, anche se non so quanta propaganda ci sia dalla nostra parte perché la gente non si demoralizzi. Ma sono fiducioso, so che la situazione interna in Russia peggiorerà", dice. "Sento che sarà una prova di resistenza, perché le persone che all’inizio volevano restare finiscono per volersene andare". Per ora, è questa forza morale degli ucraini che li fa andare avanti: l’intera nazione è coinvolta nella difesa del paese, i civili rispondono alla chiamata dell’esercito a migliaia, tutti lavorano insieme, mettendo da parte le vecchie divisioni, per un obiettivo comune. Ma per quanto tempo questa energia può resistere al rullo compressore dell’esercito di Vladimir Putin?

Il giorno in cui l’ho incontrato Dan era fuori servizio. Suo fratello Taras invece era appena partito con altri quattro veicoli per Irpin per evacuare altre persone per portarli sino al confine rumeno. Tre giorni dopo, la missione è compiuta. "Ci abbiamo messo 15 ore per tornare, ci si impiega sempre di più, per i posti di blocco e per i pericoli che si corrono a Irpin", ci ha confidato dopo aver lasciato le persone che trasportava al posto di frontiera, dove migliaia di auto fanno la fila giorno e notte per fuggire dal paese, in una fila che si estende per sette chilometri, 24 ore di attesa. Taras sarà in pausa il giorno dopo. "Ora è molto pericoloso. Un autista del nostro convoglio è stato ferito da un colpo sparato contro la sua auto”. In Ucraina, l’equazione tra solidarietà e sicurezza diventa ogni giorno più difficile.

 

(1) Militanti di estrema destra che hanno elevato allo status di eroe l’ideologo nazionalista ucraino Stepan Bandera, collaboratore della Germania nazista, assassinato dai servizi segreti sovietici nel 1959. È questi movimenti che Putin strumentalizza quando dice che intende "denazificare" l’Ucraina  

Tutti i nostri approfondimenti nel dossier "Ucraina: la guerra in Europa"

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