Guerra in Bosnia: la violenza sulle donne
La guerra in Bosnia Erzegovina. Le prime vittime? Le donne. Spesso dimenticate. Si è tenuto ieri a Milano, organizzato da Amnesty International, l’incontro Bosnia: la guerra non finita. La violenza sulle donne. Riportiamo integralmente l’intervento a cura di Bakira Hasecic, Amna Kovac, Adila Kovacevic, dell’associazione bosniaca Donna vittima della guerra
Di Bakira Hasecic, Amna Kovac e Adila Kovacevic
Durante l’aggressione sullo stato di Bosnia-Erzegovina dal ’92 al ’95, tra le categorie più esposte agli orrori della guerra si trovavano le donne che hanno subito enormi danni materiali e psichici.
Su di loro è stato attuato un crimine di guerra di violenza sessuale e tortura fisica di tale gravità che lo stesso rimane al di fuori della capacità di comprensione da parte di un normale essere umano. Il crimine compiuto sulle donne bosgnacche è stato un attacco alla dignità dei bosgnacchi, contro la sostanza biologica in Bosnia-Erzegovina. Tale crimine fa parte dell’ideologia di coloro che volevano raggiungere i propri fini attraverso una, tra le più terribili, forme di genocidio.
Per prima cosa, la pulizia etnica del territorio dalla popolazione non-serba, veniva attuata seguendo uno scenario prestabilito.
Secondo, i pianificatori dell’aggressione sulla Bosnia-Erzegovina sapevano bene che – a mezzo di brutali stupri di massa e torture delle donne bosgnacche – avrebbero realizzato un’azione diretta contro la piramide etnica di questo popolo, in tal modo costringendolo – ulteriormente e sempre allo scopo di pulizia etnica – all’esodo, soprattutto da quei territori dove questo popolo costituiva la maggioranza degli abitanti.
In questo momento è difficile parlare del numero esatto di donne violentate e torturate durante l’aggressione sulla Bosnia Erzegovina. Un gran numero di donne stuprate preferiscono rimanere in silenzio per quanto il silenzio possa essere dannoso per loro; non hanno la forza di condividere con chiunque il dolore di quella terribile umiliazione. Tuttavia, la vergogna e la paura di essere giudicate come anche la paura verso gli autori di crimini, rende ancor più difficile la rilevazione del numero esatto.
Venivamo ammazzate, gettate nelle fosse comuni. Venivamo stuprate, arrestate, incarcerate nelle prigioni e nei campi, torturate, usate da scudo vivente. Venivamo obbligate al lavoro forzato, scacciate a forza dalle nostre città e villaggi, derubate dei nostri averi e in mille altri modi umiliate brutalmente. Non di rado le bambine tra i 12-14 anni venivano forzatamente separate dalle loro famiglie e condotte in luoghi speciali dove venivano sottoposte, da parte dell’aggressore, a orribili sevizie, stupri ed altre forme di tortura, compresa la mutilazione fisica e l’assassinio. Suona quasi irreale che ciò sia accaduto nel 20° secolo, in Europa.
Con lo sguardo rivolto verso il futuro e verso i problemi quotidiani, esiste il pericolo di dimenticare quanto ci è successo ieri, ma esiste anche il pericolo opposto: che con lo sguardo rivolto soltanto verso il passato, si trascurino i problemi che sono stati causati dall’aggressione sulla Bosnia Erzegovina, problemi che dovranno essere risolti da questa e dalle generazioni che verranno.
Per questo motivo, il nostro obiettivo è di ricordare gli eventi, non molto lontani, di parlarne con coraggio e in modo argomentato e, nel contempo, di lottare per il cambiamento dello status sociale della donna-vittima di guerra, la quale rimane, anche dopo la guerra, vittima maggiore delle sue conseguenze.
Noi dobbiamo fare di tutto per restituire dignità alla donna. La risposta, per quanto possa essere brutale è, allo stesso tempo, semplice.
Viene fatta la domanda: perché l’atto di genocidio è stato rivolto proprio contro la popolazione non serba?
Gli strateghi e i pianificatori dell’aggressione conoscevano molto bene le loro vittime. Sapevano tutto di loro valori morali e culturali, di loro orientamenti religiosi e dell’ambiente psico-sociale nel quale le vittime avevano vissuto.
Sapevano precisamente che tipo di reazione avrebbe provocato l’atto di stupro nella vittima ma anche nel suo ambiente più prossimo: presso i familiari, i parenti, i vicini di casa…
Quando abbiamo capito che il crimine di guerra compiuto su di noi avrebbe potuto restare impunito e gli esecutori girare a piede libero, abbiamo raccolto le nostre forze e deciso di parlare, con chiarezza ed in maniera argomentata, del crimine di guerra da noi subito, e di registrare la nostra associazione.
Formando l’Associazione, le vittime sopravvissute a stupri e maltrattamenti hanno tentato e sono riuscite a trasporre la loro sofferenza individuale ad un livello più alto, cercando con le loro testimonianze e le attività di innescare il processo di risanamento della società intera, esponendo la loro anima offesa, le loro ferite sanguinanti, allo sguardo pubblico e lottando per la giustizia e la verità.
La nostra Associazione è stata costituita il 14 maggio 2003 e fino ad oggi conta 324 associate residenti in Bosnia-Erzegovina e altre 84 donne esiliate, residenti altrove nel mondo.
Oltre ad essere donne-vittime di guerra, noi siamo anche famiglie i cui membri sono stati massacrati davanti ai nostri occhi e spesso si tratta di famiglie intere (le donne venivano violentate davanti alla famiglia, ai mariti, ai fratelli e padri).
Quindi, il nostro scopo è: di ricordare gli eventi, non molto lontani, di parlarne con coraggio e in modo argomentato e, nel contempo, di lottare per il cambiamento dello status sociale della donna-vittima di guerra, la quale rimane, anche a guerra finita, maggiore vittima delle sue conseguenze.
Le conseguenze dello stupro
Le conseguenze dello stupro sono molteplici e pesanti. Molte donne sono rimaste incinte a seguito dei maltrattamenti sessuali, poi costrette ad interrompere la gravidanza o a partorire i bambini non desiderati che davano in adozione; alcune sono state portate in Serbia e Montenegro dove subivano gli stupri e maltrattamenti, partorivano bambini che venivano da loro abbandonati in occasione della fuga, altre portavano i bambini con sé.
Numerose bambine, giovani ragazze e donne sono diventate invalidi permanenti e non potranno più diventare madri; alcune bambine e ragazze non desiderano mai più sposarsi; molte sono state abbandonate dai mariti a causa dello stupro subito, i mariti di alcune non sanno neppure oggi che sono state violentate.
Le vittime sopravvissute agli stupri testimoniano che sono state esposte continuamente anche ad altre forme di tortura, sono state brutalmente picchiate e hanno presenziato alle esecuzioni di altre persone, spesso dei familiari più prossimi (genitori, fratelli, sorelle, figli e mariti).
Tali forme diverse e durature di tortura hanno provocato, in donne sopravvissute vittime di guerra, varie e numerose conseguenze psichiche, fisiche e sociali.
Il disturbo psichico più comune di cui soffrono le donne vittime dello stupro è il PTSS (la sindrome da stress post-traumatico).
Le donne che sono sopravvissute ai campi di concentramento, ai campi di lavoro forzato o le donne che sono state sessualmente maltrattate sviluppano ulteriori sintomi più complessi – che sono anche più diffusi e durano di più nel tempo rispetto a quelli che vengono individuati sotto la denominazione "PTSS". Queste persone hanno attraversano pesanti cambiamenti di personalità, soprattutto nella sfera dei loro rapporti con gli altri e hanno problemi con l’identità.
In concomitanza con la Sindrome da stress post-traumatico, in donne vittime di stupri, si registrano anche i seguenti disturbi psichici: i cambiamenti di umore tra i quali sono più diffusi: depressione ed altri disturbi ansiosi, disturbi somatoformi tra i quali sono più frequenti la somatizzazione, le difficoltà nel funzionamento sessuale, i disturbi del sonno. Il suicidio o il tentato suicidio sono più frequenti in questo gruppo.
Le donne-vittime di stupri soffrono più frequentemente, rispetto alle donne che non sono state esposte a torture, di malattie somatiche.
I disturbi somatici più frequenti di cui sono affette le donne vittime dello stupro sono: malattie cardiovascolari, diabete, disturbi della tiroide, sindrome psico-organica, malattie del sistema osseo-muscolare, malattie del tratto genito-urinario.
Nella sfera del funzionamento sociale, le esperienze traumatiche causano un tale caos esistenziale che la vittima – visto che rifiuta la base morale della società – nega spesso intenzionalmente o non intenzionalmente le sue esperienze e cerca di dimenticarle o di incolpare sé stessa per esse. Il risultato di quest’autodifesa è che la vittima, dopo essere stata segregata dal mondo, rifiuta lei stessa il mondo.
Nella nostra società, straziata da una così violenta e brutale aggressione, impoverita e disorganizzata, le donne-vittime di stupri incontrano tutta una serie di ulteriori difficoltà nel tentativo di risolvere le loro questioni esistenziali. Diventate gravi invalidi psichici e fisici, con famiglie distrutte, il più delle volte non sono in grado di svolgere mansioni, lavori e mestieri per i quali sono state istruite, non percepiscono redditi e, la cosa più grave, non hanno risolto la questione abitativa.
Tutti questi elementi lavorano contro il processo di risanamento della persona e portano alla rinnovata ed aggravata traumatizzazione.
La soddisfazione morale per le donne vittime di stupri si ottiene con la punizione dei pianificatori dei crimini, la punizione degli esecutori dei crimini e portando il crimine di guerra nonché le loro sofferenze a livello individuale.
I pianificatori dei crimini come gli stessi esecutori sono, le donne lo sanno bene, persone con nome e cognome, con un preciso luogo di residenza e molto spesso si tratta di persone tuttora partecipi alla vita pubblica.
Punendo i crimini di guerra ed aiutando le donne vittime di torture nella risoluzione dei loro problemi esistenziali, la società aiuta sé stessa, avvia il processo del proprio risanamento, diventa più sana ed umana.
La nostra Associazione è multietnica, multinazionale ed apartitica, anche se, dobbiamo dire con molto rammarico che tutte le donne membri della nostra associazione fino ad oggi sono donne di nazionalità bosgnacca nonostante abbiamo ripetutamente invitato, attraverso i canali TV e la stampa bosniaca tutte le donne – indipendentemente dalla loro appartenenza etnica – ad associarsi a noi.
Da questa tribuna vorremmo lanciare il nostro messaggio al mondo intero che un così vergognoso e mostruoso misfatto non accada mai più a nessuno e in nessun luogo sulla terra.