Grecia, violenza all’ombra degli ulivi

L’inizio del 2013 in Grecia è stato segnato da una serie di attentati e intimidazioni violente, dirette alla politica ma anche a giornalisti accusati di essere "conniventi" col sistema. Violenze che vanno ad aggiungersi a quelle, ormai quotidiane, degli attivisti di "Alba dorata" contro gli stranieri. Un clima catturato dal noto giallista Petros Markaris nel suo ultimo romanzo

29/01/2013, Gilda Lyghounis -

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Olivo in Grecia - Shutterstock.com

Il sommo Platone è stato l’ultima vittima dell’ondata di attentati e rapine che scuotono la Grecia. E non pariamo dei suoi libri, ma di un rogo altrettanto inquietante. Secondo la tradizione il filosofo faceva lezione ai suoi allievi, 2400 anni fa, all’ombra di un grande olivo, presso l’odierna Facoltà di Agraria ad Atene. La vetusta pianta, sacra alla dea Atena patrona della città, da allora aveva resistito a guerre, terremoti e ondate di cemento, ma non è sopravvissuta agli effetti collaterali dell’attuale crisi economica.

Per la precisione, il suo fusto e le sue fronde erano state travolte da un autobus pubblico uscito fuoristrada nel 1978, e da quell’incidente il tronco spezzato è conservato in un’aula della vicina università. L’enorme base con le radici dell’albero però fino a giovedì 17 gennaio erano ancora lì, al loro posto sulla Strada Sacra (Iera Odos) nel centro di Atene: 500-700 chili di legno più vivi che mai visto che il clima mite degli ultimi giorni aveva favorito lo spuntare di qualche rametto, tentativo di ricrescita dell’albero, simbolo della civiltà e della saggezza di un’Ellade che vuole testardamente rinascere.

Invece i "cacciatori di legna" che abitano le notti della crisi greca ( "Ta Nea" e altri quotidiani hanno fatto ripetuti riferimenti ad una "mafia albanese del legno”), non hanno avuto rispetto neppure dell’olivo di Platone. Dopo aver fatto sparire circa 3000 ettari di bosco negli ultimi anni sulle pendici del Pindo, spina dorsale montuosa del Paese, ora i "tagliaboschi della crisi" si sono spinti nottetempo nel cuore di Atene. L’ulivo di Platone è sparito così: probabilmente per finire a riscaldare una famiglia in qualche stufa. Al suo posto rimane una grande e desolante buca.

Nel mirino politici, giornalisti, stranieri

A parte la triste sorte dell’olivo filosofo, la capitale ellenica è scossa da altri più tradizionali tipi di violenza e t[]ismo. All’alba del 14 gennaio una raffica di proiettili partita da un kalashnikov ha colpito le finestre dell’ufficio privato del primo ministro Antonis Samaras in una sede decentrata del suo partito, Nuova Democrazia, in via Siggrou nel quartiere chic del vecchio Faliro. A quell’ora nella palazzina non c’era nessuno, quindi gli attentatori (che ancora non hanno rivendicato il loro gesto) non miravano a uccidere, ma a creare un clima di tensione.

Negli stessi giorni, invece, sempre all’alba, esplosivi di fattura artigianale sono stati fatti scoppiare fuori dai portoni d’ingresso di cinque condomini ateniesi che avevano un solo punto in comune: avere fra i propri inquilini un giornalista. Uno di questi è Antonis Skyllakos, direttore della Athens news Agency. Questa volta l’orchestrato raid anti-stampa ha una firma: in un volantino elettronico postato su un sito web, un sedicente gruppo anarchico battezzatosi “Amanti dell’Illegalità” dichiara che “i giornalisti, pur usando una retorica falsamente a favore dei lavoratori nei loro articoli, in realtà sono i portavoce dei loro referenti politici che hanno portato alla rovina del Paese”.

Alla violenza diffusa nell’Atene ai tempi della crisi si aggiungono gli assalti quasi giornalieri a immigrati e ai loro negozi da parte degli squadristi di Alba Dorata, il partito neonazista che ha ottenuto il 7% dei voti alle elezioni dello scorso giugno. Tanto che i leader dei tre partiti della coalizione di governo hanno rivolto un appello ai greci per unirsi contro il clima di tensione: “La reazione della società contro i fenomeni di violenza deve essere totale e omogenea”, ha tuonato Evanghelos Venizelos, segretario dei socialisti del Pasok. “Il t[]ismo non è che una delle forme di violenza diffusa a cui assistiamo: c’è anche la violenza razzista e xenofoba, abbiamo in generale un flirt con la violenza, vista quasi con consenso”.

Markaris: letteratura, crisi e violenza

Intanto, mentre la polizia brancola nel buio, nelle strade di Atene flagellate dagli incendi provocati da Alba Dorata nei sottoscala abitati da extracomunitari, si aggira un serial killer che uccide sessantenni benestanti accomunati dall’avere partecipato in gioventù alla gloriosa rivolta del Politecnico contro la dittatura dei Colonnelli, nel lontano autunno 1973.

E’ il protagonista dell’ultimo romanzo di Petros Markaris, il giallista ellenico ormai famoso anche in Italia. “Pane, istruzione e libertà” è uscito in Grecia come amara strenna natalizia, ultima puntata della “Trilogia della crisi” dedicata dall’autore alla sua città stremata dalla disoccupazione e dalle ricette economiche lacrime e sangue.

In Italia non è stato ancora tradotto (gli altri libri dell’autore sono stati tutti pubblicati da Bompiani) ma lo sarà prossimamente. L’epilogo descritto da Markaris è quello di una Grecia ormai uscita dall’euro e tornata alla dracma dal primo gennaio 2014, mentre gli stipendi dei dipendenti pubblici, e quindi anche del commissario Charitos, il poliziotto inventato dal Camilleri greco, sono sospesi da mesi. Ma perché colpire gli eroi del Politecnico, a cui ancora oggi i giovani e meno giovani ateniesi dedicano ogni anno un corteo il 17 novembre, nel giorno dell’anniversario dell’eccidio degli studenti da parte dei carri armati golpisti?

“Perché molti rivoluzionari di un tempo hanno poi fatto carriera politica, sindacale o accademica, trasformandosi in una lobby corrotta confluita soprattutto nel Pasok (Movimento socialista panellenico): è la generazione che, a forza di assunzioni clientelari e bustarelle, ha portato il paese alla desolazione in cui si trova ora”, ci spiega Markaris.

“Nel mio libro i loro figli, l’attuale generazione dei trentenni precari, li giudicano e li condannano. Perché molti di ‘quelli del Politecnico’ hanno vissuto di rendita grazie all’aureola della rivolta: hanno occupato i posti di potere. Mentre i loro padri, perseguitati ai tempi del nazismo e della guerra civile durata in Grecia dal 1945 al 1950, hanno pagato duramente per i loro ideali, con le torture, l’esilio, la povertà”.

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