Grecia-Turchia, tra estradizione e asilo
Il destino di otto militari turchi implicati nel tentato golpe del luglio scorso, che hanno richiesto asilo politico in Grecia, si intreccia ai tormentati rapporti tra Atene ed Ankara
La mattina del 16 luglio 2016, poche ore dopo il tentato colpo di stato in Turchia, otto militari turchi sono atterrati con un elicottero militare nella città greca di Alexandroupoli, chiedendo asilo politico. Il governo turco ha chiesto la loro estradizione, accusandoli di essere coinvolti nel colpo di stato appena avvenuto. Il primo ministro greco Alexis Tsipras ha ricevuto una telefonata proprio dal presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, che si dice lo abbia ringraziato per l’atteggiamento del paese durante il colpo di stato – che la Grecia ha condannato ufficialmente – e che poi gli abbia chiesto l’estradizione degli otto.
Nel pomeriggio del 26 gennaio 2017, la Corte suprema civile e penale della Grecia ha però respinto la richiesta di estradizione, esprimendo preoccupazioni per i diritti umani nel paese d’origine. Gli otto rimarranno quindi in custodia fino al possibile ottenimento dell’asilo. Nel frattempo, però, le relazioni tra Grecia e Turchia sono tornate ad essere tese.
Il panorama giuridico
Pochi giorni dopo l’atterraggio in Grecia, i militari hanno affrontato un primo processo al tribunale di Alexandroupoli, dove sono stati condannati a due mesi di carcere – pena poi sospesa per un periodo di tre anni – per essere entrati illegalmente nel paese.
Dopo l’arresto i soldati turchi hanno dichiarato ai funzionari della polizia greca che i loro superiori avevano avuto un ruolo attivo nel colpo di stato e avevano detto loro di portare l’elicottero in una radura fuori Istanbul e attendere ordini. Tuttavia, con gli scontri della notte, i soldati turchi hanno poi dichiarato di aver temuto per la loro vita e di aver visto uccisioni e decapitazioni e di essersi resi conto che se fossero rimasti in Turchia sarebbero stati uccisi. La scelta di atterrare in Grecia si è basata a loro dire su criteri di prossimità e sicurezza.
La richiesta di estradizione nei loro confronti da parte del governo turco è basata sull’accusa di aver tentato di rovesciare l’ordine costituzionale e il Parlamento, uccidere il presidente e sottrarre l’elicottero con la forza.
Durante le procedure legali, il governo turco è apparso fiducioso che la Grecia avrebbe assecondato Ankara, per non turbare le buone relazioni di vicinato. Hüseyin Müftüoğlu, portavoce del ministero degli Esteri turco, ha dichiarato a dicembre che l’esperienza terribile del colpo di stato militare in Grecia (che ha portato alla dittatura del 1967-1973) avrebbe indirizzato la decisione sul caso. Questa dichiarazione è arrivata dopo la prima decisione della Corte d’Appello di Atene di estradare solo tre degli otto militari coinvolti.
Antonis Liogas, procuratore del Consiglio Giudiziario della Corte d’appello, ha fatto però ricorso contro la decisione di estradare solo parte dei militari, con la motivazione che la Grecia avrebbe dovuto seguire le convenzioni internazionali e, pertanto estradarli tutti. Anche i tre condannati ad essere deportati hanno però fatto ricorso: in breve, il caso è arrivato alla Corte Suprema per il verdetto finale.
Secondo quanto dichiarato da Erdoğan ai media turchi dopo la decisione della Corte Suprema greca, Tsipras avrebbe promesso nel corso della loro telefonata nei giorni successivi al golpe l’estradizione degli 8 in Turchia entro 15 giorni. Così non è evidentemente avvenuto. Esperti e analisti greci ritengono che l’intenzione iniziale del governo greco fosse quella di assecondare la Turchia, ma, come è presto emerso, la stragrande maggioranza dei greci la pensava diversamente.
La reazione della società civile
La decisione finale della Corte Suprema – che il 26 gennaio ha definitivamente rigettato la richiesta di estradizione per tutti i militari – è stata definita da Christos Mylonopoulos, avvocato degli otto, come una grande vittoria per i valori europei e il sistema giudiziario greco. Infatti, l’argomento centrale della società civile contro l’estradizione era la distinzione tra i valori europei e le convenzioni dei diritti umani e la mancanza dello stato di diritto in Turchia.
Attraverso i social network, nonché con iniziative pubbliche come una veglia di protesta ad Atene e Salonicco, i greci hanno fatto pressione sul governo, che improvvisamente si è trovato alle strette ed è stato letteralmente salvato all’ultimo minuto da parte della magistratura, che ha offerto la copertura politica di cui aveva bisogno.
L’avvocato greco Panayotis Perakis, presidente della Commissione CCBE "Accesso alla giustizia" e capo dei delegati greci al CCBE, oltre a dichiarare ad OBCT che "è stato un onore" testimoniare al processo, ha spiegato la logica della decisione della Corte Suprema: "Ovviamente si deve estradare qualcuno quando ci sono una richiesta e dei requisiti legali, ma c’è qualcosa di più importante: le leggi internazionali ed europee e la Convenzione dei diritti dell’uomo svolgono un ruolo decisivo. Indipendentemente dal coinvolgimento nel colpo di stato, chi non ha la garanzia di un processo equo nel luogo di estradizione non sarà estradato. Punto".
Secondo Perakis, date le segnalazioni di detenzione a lungo termine, negazione di accesso ad un avvocato, e persino tortura, la Turchia sembra non fornire le necessarie garanzie per i diritti umani. "Le associazioni degli avvocati turchi ci informano che il sistema giudiziario non funziona correttamente. Abbiamo dovuto agire come abbiamo fatto con gli otto, perché vogliamo che la Turchia sia uno stato in cui siano rispettate le istituzioni. È anche nel nostro interesse".
"Una decisione diversa avrebbe significato accettare lo status quo in Turchia, mentre il verdetto è una forma di pressione proprio contro quello status quo. I cittadini democratici della Turchia si aspettano questo da noi", conclude Perakis.
Contro l’estradizione anche giornalisti, studiosi e tutti i partiti di opposizione, ad eccezione dei neonazisti di "Alba Dorata".
Il giorno dopo
Il giorno dopo il verdetto della Corte Suprema, la Turchia ha presentato una nuova richiesta di estradizione. Fino a quando non sarà esaminata (se le prove fornite rimangono le stesse, la decisione della Corte non cambierà), gli otto rimangono in custodia. Il passo successivo sarà una loro nuova richiesta di asilo, in Grecia o altrove, o di uno status equivalente. Qualunque sia l’esito, il caso ha già suscitato forte insoddisfazione in Turchia.
Secondo Afentoulis Langidis, professore di Relazioni Internazionali presso l’Università Panteion di Atene con esperienza nelle relazioni greco-turche, la Turchia era alla ricerca di una possibilità di rispolverare le pretese sul Mar Egeo: una visione condivisa da molti esperti greci.
In effetti, le violazioni turche dello spazio aereo greco sono aumentate (162 violazioni e 12 sorvoli al primo febbraio, secondo i media greci), accompagnate da una serie di provocazioni da parte del governo ed esercito turco. Ad esempio, il ministro degli Esteri Mevlüt Çavuşoğlu, dopo il tributo del suo omologo greco ai soldati greci morti ad Imia durante la crisi del 1996, ha messo in guardia la Grecia dal "rischio incidenti" nel Mar Egeo.
La decisione della Corte potrebbero causare conseguenze sull’accordo sul flusso di rifugiati fra Turchia e UE. "Alla luce del suo passato, la Turchia non ha bisogno di annullare (apertamente) l’accordo: basta permettere silenziosamente l’entrata massiccia di immigrati e rifugiati di passaggio ai confini con l’aiuto di trafficanti turchi. Nelle attuali circostanze, questo metterebbe la Grecia in una posizione difficile", spiega il professor Langidis.
"Dobbiamo chiarire che la Grecia rimane uno stato di diritto che rispetta i valori europei e il diritto internazionale. Il sistema giudiziario ha agito correttamente e non dobbiamo sempre considerare le implicazioni politiche. In ogni caso, la Turchia cercava e cerca sempre un’opportunità e questa volta ha usato questo incidente".
Anche se utilizzata dal governo turco per i suoi piani di politica estera, la decisione della Corte suprema greca – che rivela dubbi sulla protezione dei diritti umani in Turchia – deve essere considerata con attenzione anche dall’UE: non solo perché la Turchia sarà sempre un vicino dell’Europa (se non, un giorno, un membro), ma anche perché al momento è considerata un "paese terzo sicuro" per centinaia di rifugiati che sono fuggiti alla guerra per finire in uno stato autoritario.
Nonostante i costi, l’Europa deve assumersi la responsabilità della protezione dei richiedenti asilo, come la Corte Suprema della Grecia ha fatto nel caso degli otto.