Grecia, morire di crisi
Dimitris Kozaridis, 53 anni, muratore disoccupato con due figlie e una moglie a carico, è morto d’infarto lo scorso 20 ottobre mentre manifestava ad Atene contro le ennesime misure anticrisi votate dal governo Papandreou su richiesta della comunità internazionale. Una vita come tante, spezzata da una crisi che sembra senza via d’uscita
Non era un “incappucciato”, uno di quei giovani definiti anarchici o insurrezionalisti che, dall’inizio della crisi economica, infiltrandosi in coda ai cortei ordinati degli “indignati”, macchiano di sangue, vetrine rotte o macchine in fiamme le vie centrali della capitale greca.
Dimitris Kozaridis, 53 anni, muratore disoccupato con due figlie e una moglie a carico, è morto d’infarto alle cinque della sera mentre manifestava insieme a decine di migliaia di ateniesi giovedì 20 ottobre. Aveva partecipato al grande corteo insieme ai suoi compagni sindacalisti del Pame (il sindacato legato al partito comunista KKE) contro le ennesime misure di austerità votate proprio quel giorno dal governo socialista Papandreu.
Aveva anzi fatto di tutto perché la tensione in piazza della Costituzione non degenerasse, partecipando al tradizionale servizio d’ordine voluto dal Pame: un cordone anti black block, per mantenere ben separata la maggioranza che protestava la propria legittima rabbia e disperazione contro i nuovi tagli agli stipendi e alle pensioni da coloro, invece, che riversavano odio violento non solo contro la polizia ma contro la propria stessa città.
Poi, saranno stati i lacrimogeni lanciati dagli agenti antisommossa, sarà stata la paura di essere strattonato in mezzo ai contendenti, Kozaridis è crollato a terra alle 16.45 e trasportato d’urgenza da un’ambulanza al più vicino ospedale. E’ poi spirato nella clinica “Evanghelismos” di Atene. Il referto del medico legale parla di “infarto” anche se Dimitris non aveva mai sofferto di cuore.
Vivere dignitosamente e lavorare, missione impossibile
“Atene è in fiamme e sono preoccupatissimo perché mio figlio è là in mezzo”, aveva confidato ai suoi amici l’83enne Thanasis Lazaridis, il vecchio padre di Dimitris, il quale ancora abita con la moglie Despoina nel paese natale di Dimitris a Sapes, nella regione della Grecia nordoccidentale dei Rodopi.
Da qui Dimitris era partito all’età di 20 anni alla volta di Atene per cercare lavoro nei cantieri edili. Per molti anni gli era andata relativamente bene: era riuscito a metter su famiglia nel sobborgo ateniese di Virona, ma aveva mantenuto, come fanno tutti i greci immigrati dalla provincia nella grande metropoli, relazioni strette con il paese natale. Vi tornava ogni estate con la famiglia e scriveva pure articoli sul quotidiano locale “Eleftheri Apopsi” (“Libera Opinione”), come racconta il suo editore ed ex sindaco di Sapes, signor Charitopulos.
“Ultimamente Dimitris mi parlava della criminalità in continuo aumento ad Atene. Ma anche della disoccupazione crescente, soprattutto nel suo settore. Raccontava, sospirando, che “ogni tanto riesco a lavorare una giornata in qualche cantiere, ma di lavoro non ce n’è più”.
Dimitris Lazaridis, insomma, è il simbolo di tanti lavoratori ed ex lavoratori disoccupati che formano l’affresco del dramma ellenico. La sua storia, a partire dalla partenza a 20 anni dal paesello natio verso la capitale che oggi conta 4 milioni e mezzo di abitanti su un totale di 10 milioni di greci, una megalopoli cresciuta a dismisura negli ultimi decenni (ovvio che la provenienza dalla provincia sia preponderante), è quella di tanti suoi compatrioti.
La conquista di un dignitoso tenore di vita in un sobborgo popolare come Virona, la speranza di fare studiare le due figlie. Poi la grande crisi economica e il ritrovarsi senza lavoro a più di 50 anni, quando reinserirsi nel mercato produttivo è quasi impossibile.
Dimitris aveva la coscienza dei suoi diritti come lavoratore e come cittadino nel Dna: suo zio Dimitris, da cui Lazaridis aveva appunto ereditato il nome, era caduto lottando contro l’invasione nazista dell’isola di Creta, a Maleme, una delle battaglie cruciali della Seconda guerra mondiale. Anche Dimitris è caduto per difendere i valori in cui credeva.
Misure anticrisi, la Grecia sul baratro
Il tutto mentre nei giorni successivi al suo decesso, e ai funerali svolti sabato ad Atene, molti deputati del partito socialista al governo Pasok (Movimento socialista Panellenico) hanno scritto una lettera al premier per annunciare che non voteranno più altri pacchetti lacrime e sangue imposti dalla trojka inviata dall’Unione europea, dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca centrale europea, per “salvare” la Grecia dalla bancarotta e dall’uscita dall’euro.
L’ultimo pacchetto anticrisi, che prevede ad esempio per gli insegnanti una drastica riduzione dello stipendio: 600 euro circa contro i 1100 del 2009, è stato votato dal Parlamento a maggioranza socialista per avere il sospirato, e sempre rimandato da mesi, pagamento da parte dell’Ue-FMI dell’ultima tranche di otto miliardi di euro circa del megaprestito internazionale alla Grecia deciso nel maggio 2010.
Ora Papandreu in Parlamento può contare su una maggioranza risicata: 153 deputati su 300. Con il rischio di elezioni anticipate, contro una opposizione di centrodestra che ha sempre rifiutato ogni accordo di coalizione di salvezza nazionale.
Da allora, dalla primavera dell’anno scorso in cui è stato deciso il megaprestito alla Grecia, già quattro persone hanno perso la vita sull’altare degli scontri in piazza, tre sfortunati impiegati bancari della centralissima filiale ateniese della Marfin Bank, bruciati vivi il primo maggio 2010, il giorno di uno sciopero generale, in seguito al lancio di molotov all’interno del loro ufficio da parte di manifestanti incappucciati e ora Dimitris Lazaridis, uno che allo svolgersi senza incidenti di una manifestazione antiausterità, benché colpito in prima persona dalle conseguenze dai tagli anticrisi (misure verso cui il partito comunista KKE, del cui sindacato Pame Lazaridis faceva parte è sempre stato contrario) ha sacrificato la vita.