Grecia, l’ultimo monaco delle Strofadi

Una vita trascorsa da eremita, su un’isoletta sperduta nel mar Ionio. Padre Grigoris ha trascorso 38 anni in uno dei monasteri più belli e unici del Mediterraneo. Ora che l’ultimo monaco delle Strofadi è morto, un libro narra la sua vicenda e la bellezza del luogo

20/12/2018, Gilda Lyghounis -

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Stamfani (per gentile concessione dell'editore Patakis)

Era un monaco pastore. Non tanto un pastore di anime, perché qui a Stamfani, un atollo di un chilometro quadrato e mezzo di fiori e palme spazzati dal vento a 27 miglia a sud dell’isola di Zacinto, nello Ionio, non c’era nessuno ad ascoltare le sue messe ed omelie. Ma padre Grigoris pastore lo era davvero: girava per l’isoletta con il suo gregge di pecore, dal cui latte preparava il formaggio. Poi arava, raccoglieva il grano, lo macinava e si cuoceva il pane. La sera leggeva alla luce delle lampade a olio, perché l’elettricità del generatore di corrente spesso saltava.

Padre Grigoris ha vissuto così per 38 anni da solo. La sua unica compagnia? Uno dei monasteri più belli e unici del Mediterraneo: un eremo-castello dove per ripararsi dagli assalti dei pirati, dal 1200 in poi, anno della sua fondazione, la chiesetta è racchiusa in una torre alta 21 metri. Tutto attorno alle celle e al refettorio c’è una fortezza con tanto di cannoni e di feritoie per sparare ai corsari che assomiglia ai monasteri del monte Athos. Con la differenza che il cenobio di Stamfani, costruito dai bizantini su una delle due minuscole isole Strofadi, si staglia lontano da tutto, in mezzo al mare, in un piccolo Eden fatto di boschi di cedri e mirti, uccelli migratori, canneti e foche monache mediterranee. E ora che anche l’ultimo monaco, padre Grigoris appunto, è morto un anno fa, al monastero non abita più nessuno. Se non fosse per la presenza di un piccolo gregge di pecore sgomente, non tosate più dal loro pastore, che si arrampicano sugli sterpi e vanno lì a morire.

“L’ultimo monaco delle Strofadi. Memorie da un’isola sconosciuta nel mar Ionio”, pubblicato ad Atene da Patakis editore (in greco e in inglese The last monk of the Strofades. Memories from an unknown Greek island) è un SOS lanciato al mondo per salvare questa meraviglia architettonica, già ferita più volte dai frequenti terremoti, ma che la rovinosa scossa sismica del 1997 ha danneggiato al punto che, se la terra trema un’altra volta e nessuno interverrà prima, l’eremo non esisterà più.

“Se crollerà sarà tutto finito. Cose del genere non possono essere ricostruite. Nessuno può rifare una meraviglia simile” sono state le ultime parole di padre Grigoris, che dal suo capezzale ha commentato una ad una le fotografie scattate dall’americano Robert A. McCabe, figlio dell’editore del quotidiano newyorkese Daily Mirror, e raccolte ora in questo libro, corredate dalle testimonianze dei pochi che hanno conosciuto il pope che amava la solitudine: come il pescatore che una volta al mese d’estate e ogni tre d’inverno sfidava le onde per portargli olio, vino e benzina per il generatore di corrente, o come l’ultimo custode del faro di Stamfani, ora in disuso. Inoltre storici, archeologi, sacerdoti, architetti, botanici e geologi danno ognuno il proprio contributo per fare uscire dall’oblio il miracolo di questa isola sacra irrorata da 18 pozzi.

Un’oasi di solitudine e pace

Ma cominciamo dall’inizio, quando padre Grigoris sbarca per la prima volta a Stamfani, dopo avere preso i voti nel 1965, a 28 anni, con alle spalle un’infanzia e un’adolescenza passate ad Agala, paesino montano di Zacinto, isola natale sua e ancora prima del nostro poeta Ugo Foscolo.

“Ci sono rimasto pochi mesi, prima di andare a monacarmi al monte Athos – racconta Grigoris nel libro – ma quel luogo mi è rimasto nel cuore e ho chiesto di tornarci, stabilmente, dall’ottobre 1976. Lì ho vissuto solo per 38 anni. Solo ma libero. Dicono che sono un uomo strano, difficile… forse perché ho sempre amato la solitudine. E qui alle Strofadi ce n’era eccome”.

Già negli anni ‘50 erano rimasti solo quattro monaci. “Poi venivano spediti qui dei novizi che abitavano l’eremo per due anni, ma tutti poi se ne andavano. Ricordo ancora padre Potamitis, negli anni ‘70: lo vedevo quando andavo a pescare – racconta Lambis Kalofonos, il barcaiolo che faceva la spola mensile fra la casa madre del monastero, posta a Zacinto, e quello di Stamfani – finché è arrivato padre Grigoris che è rimasto”.

Ma una volta, secoli fa, a Stamfani fervevano la vita e le opere dei popi. Fondato dall’imperatore bizantino Teodoro Lascari e da sua moglie Irene, nel dodicesimo secolo, sulla via marittima che dall’Adriatico porta al Mediterraneo orientale e soprattutto alla Terra Santa, serviva da osservatorio strategico e da luogo di sosta dei viaggiatori, oltre che da oasi di pace per chi votava la propria esistenza alla fede e a alla copiatura di manoscritti.

Nel 1420 pare vivessero qui 40 monaci. Dal 1500 fino al 1797 Stamfani cadde sotto il dominio veneziano, che però la foraggiava di denaro e di tutto quanto serviva a tenere lontano i temuti avversari turchi. Ancora oggi, all’ingresso della fortezza, rimangono gli ultimi due cannoni usati contro i pirati saraceni. Il più grande assalto alla fortezza i corsari lo fecero nel 1717, quando sgozzarono molti novizi: un bassorilievo rimane a immortalare il loro martirio, mentre le loro ossa sono sepolte nel cortile di una delle quattro chiesette sparse per l’isola, quella dedicata a San Giovanni. Ma anche i saraceni sparsero il proprio sangue: “Vedete quella fessura, all’interno delle mura esattamente davanti al portone d’ingresso alla fortezza? – fa notare il pescatore Lambis commentando anche lui le fotografie del libro – da quella feritoia si dice che nell’assedio del 1717 un novizio uccise con il suo fucile diciotto turchi”.

Il luogo della Arpie

Risalendo indietro nel tempo un sacerdote fiorentino, Cristoforo Buontelmonti, viaggiatore nelle acque dell’Egeo scrive nel suo Liber Insularum Archipelagi (1420) che le Strofadi avevano una sinistra fama nell’antichità. Non a caso l’isolotto più piccolo delle due Strofadi, si chiama Arpia. Narra infatti la leggenda che persino il troiano Enea nel suo peregrinare verso l’Italia fece tappa qui, ma fu assalito dalle mostruose Arpie, uccelli dalle unghie adunche e costretto a scappare.

Si dice ancora che i due isolotti furono divisi da un tremendo terremoto. Tutto questo, a padre Grigoris non faceva paura nei giorni e nelle notti solitarie sulla sua isola. “Mi svegliavo ogni giorno e vedevo l’orizzonte: ho vissuto solo ma libero – racconta il pope – ci sono momenti sulle Strofadi che non puoi dimenticare. Come quando il sole si tuffa nel mare al tramonto. Se a quell’ora ti siedi su una panchina e guardi verso Zacinto non lo dimenticherai mai in vita tua”.

Gli bastava poco per vivere: “Qui c’era il vecchio mulino di pietra, ci macinavo il grano, nei primi anni che ero qui ricordo che c’era ancora un’asina a farlo girare. Ora sono rimasti pochi animali. Mangio di rado la carne. Mi piacciono i cibi che preparo da solo, come il formaggio e le verdure bollite”. La sera leggeva: gli avevano regalato una vecchia televisione ma non la guardava mai, “preferivo ascoltare la messa da una radiolina, quando non celebravo io stesso la divina liturgia”. Anche se a farsi il segno della croce mentre lui officiava, c’era qualche ardimentoso turista di passaggio o il pescatore Lambis, al quale aveva insegnato a intonare gli inni ortodossi.

“Una volta il montone del gregge mi ha colpito e mi ha buttato in un crepaccio. Mi sono rotto la testa ma mi sono curato da solo: ho messo dell’alcool sulla ferita ed è passato…” Finché dopo anni di vita dura ma beata, il cuore di padre Grigoris ha ceduto: nel 2014 è stato trasportato prima ad Atene, dove è stato operato, poi a Zacinto ospitato in casa del fedele pescatore fino alla sua morte nell’estate 2017.

Una meraviglia di monumento

Durante il terribile terremoto del 1997 padre Grigoris non era a Stamfani perché era andato per il suo annuale viaggio nella casa madre del monastero, a Zacinto. Quando è tornato, ha continuato ad abitare nella fortezza, a rischio della vita, perché dalla Sovrintendenza hanno mandato un manipolo di operai che hanno fatto delle iniezioni di cemento e hanno ingabbiato con dei ferri gli angoli del torrione, ma nulla più.

Eppure i fondi europei per questo monumento non mancherebbero, tanto più che l’isola è protetta dal programma Natura 2000 per la sua ricchezza e unicità ambientale. Ma nessuno fa niente, come conferma il padre priore del monastero di Zacinto, Dionisios Liveris: “Ricordo che dopo il terremoto del 1997 siamo andati alle Strofadi con un funzionario del ministero e mi ha detto ‘Che meraviglia di monumento è questo, padre mio! Prenda il mio biglietto da visita e mi telefoni periodicamente per ricordarmelo’. Bene. Gli ho telefonato tante volte, ma ecco qui, ancora con le stesse minacciose crepe!”

Padre Grigoris lo diceva spesso scuotendo la testa: “Questo posto era da sempre abitato da uccelli selvatici: le Strofadi le chiamavano le isole delle artine [specie di tortore, ndr] e ci rimarranno solo le artine”.

Speriamo che qualcuno senta il messaggio di questi uccelli, o tema la maledizione delle antiche Arpie, e salvi il monastero.

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